Papa
Giulio III
(1550-55)
- maestro del sacro Palazzo: G.
Muzzarelli
(1550-?)
1551
Marzo
18, intravedendo nella decisione presa il novembre scorso
a Venezia dal Consiglio dei Dieci (estensione del nuovo sistema dell'Inquisizione
a tutto il Dominio) un tentativo di limitare la giurisdizione ecclesiastica
e di intralciare l'opera della Inquisizione che trova difficoltà
anche altrove, emana la bolla Licet a diversis (pubblicata il
27 marzo durante le cerimonie del Venerdì Santo) che proibisce
a qualsiasi potere laico e a qualsiasi persona, pubblica o privata,
di impedire l'opera dei vescovi e degli inquisitori, di mischiarsi nei
processi inquisitoriali. La sanzione prevede la privazione dei sacramenti,
la scomunica maggiore riservata al papa.
Il potere civile può intervenire solo se liberamente richiesto
dai vescovi o dagli inquisitori.
[Al giorno 18 Firpo fa risalire anche un'altra
bolla (è la stessa?): Contra impedientes.]
31, viene coinvolto nella
guerra contro il duca Ottavio Farnese che,
appoggiato dalla Francia, rivendica il possesso di Parma; egli scrive
all'imperatore: «Trovo intollerabile che
un miserabile verme, Ottavio Farnese, si sollevi insieme contro il papa
e contro l'imperatore».
Maggio
6, Giulio III consente
a I. de Loyola
e ai suoi successori alla guida della Compagnia di Gesù di poter
«per sé et per altri che giudicassino
idonei absolvere de casi appertenenti all'heresia in foro conscientiae»,
al fine di poter «consolare molte anime».
22-23, da Roma partono
almeno una trentina di lettere indirizzate ad altrettanti confratelli
per attribuire loro tale facoltà, e altre si aggiungeranno nei
mesi seguenti.
[Resteranno in buona parte oscure le ragioni che hanno indotto Paolo
III e poi Giulio III a emanare un
simile provvedimento a favore di un ordine religioso di recente istituzione
e guardato con ostilità dal Sant'Uffizio.]
Settembre
le trattative tra Venezia e Roma, già iniziate il novembre scorso
e intensificate dopo la pubblicazione della bolla, si concludono ora
dopo l'invio a Venezia di mons. Achille de' Grassi,
associato al nunzio L. Beccadelli,
con un compromesso rispetto al dispositivo della bolla. In base a questo
i tribunali delle città del Dominio sono costituiti dai vescovi
e dagli inquisitori; vi possono assistere i rettori delle città
ma senza i due dottori o altri laici che però possono liberamente
essere convocati dagli inquisitori, in caso di utilità. I rettori
devono eseguire le sentenze emanate sugli eretici.
Concilio
Ecumenico
di Trento
1545-63
secondo periodo
1 mag. 1551-28 apr. 1552
sessioni XI-XVI
1551, si svolge ancora a Trento per volere di Giulio
III;
compaiono alcuni rappresentanti protestanti, i quali perň lasciano ben
presto il concilio per non ricomparirvi mai piů;
senza il loro contributo sono approvati alcuni decreti dottrinali (eucaristia,
penitenza, estrema unzione) e di riforma; tramonta cosě la speranza
che il concilio possa ristabilire l'unitŕ.
Anabattisti
«segue da 1550»
1551
si ha la prima emigrazione italiana nei Grigioni.
Inizia, infatti, rapida e sistematica, la repressione contro gli anabattisti,
contro i sociniani, contro le manifestazioni aperte degli "spirituali",
poi contro i quaccheri e i "levellers", insomma contro
ogni forma di vita religiosa che non rientri nel quadro delle organizzazioni
ecclesiastiche riconosciute e tutelate dagli Stati.
Ciò dimostra l'importanza di coloro che pur essendo disprezzati
come "nebulones" vengono perseguitati inesorabilmente
perché temuti.
In effetti lo spirito critico di questi eretici mette in pericolo la
ricostruzione della società cristiana che i riformatori si propongono.
La mentalità che essi diffondono, di ricerca indipendente, offende
i corpi ufficiali monopolizzatori degli studi, intimorisce i predicatori
ortodossi, custodi politicamente autorizzati della parola divina, ed
è realmente pericolosa alla affermazione delle idee e delle esigenze
politiche e sociali della Riforma, non tanto per se stessa, quanto per
il contenuto che essa tende a prendere, di critica ai dogmi più
sacri della tradizione cristiana, di negazione e critica di quegli elementi
della religiosità e della fede cristiana che si manifestano nell'atteggiamento
riverenziale di fronte a misteri come quello della Santa Trinità.
La negazione di questi e di altri principi fondamentali della dottrina
nega le fondamenta stesse della società cristiana, riduce il
Cristianesimo a una religione fra le altre, identico al Maomettanesimo
e all'Ebraismo.
Ottobre
17, Bologna, Pietro Manelfi,
ex prete marchigiano, un esponente di primo piano dell'anabattismo,
si presenta a un altro inquisitore domenicano Leandro
Alberti per fargli sapere che circa venti giorni prima «tactus
a spiritu sancto, […] cum esset
in haeresi lutherana et perfidia anabaptistica», ha
deciso di tornare alla fede cattolica. [segue lato]
«segue 1553»
Gesuiti
«segue da 1550»
generale: I. de Loyola
(1541-56)
1551, 22 febbraio, Roma (75.000 abitanti): viene inaugurato
il Collegio Romano che, fondato l'anno precedente,
conta già 520 studenti di lettere;
Palermo (60.000 abitanti): dopo dieci mesi dall'apertura del
collegio gli studenti sono già 300;
Venezia (150.000 abitanti): nel collegio, pure aperto l'anno
precedente, gli studenti oscillano tra i 45 e i 55;
la Serenissima, in effetti, si interroga su questi nuovi «Preti
del Gesù», perplessa sul loro modo di educare, di esercitare
i ministeri, di conversare con il prossimo. Quest'ordine di origine
spagnola, devotissimo al papato, vitalmente espansivo, non comprende
tra le sue file nessun veneziano e rari sono gli italiani. Ritirare
loro ogni permesso sembra il più sicuro provvedimento.
Inoltre visto quanto succede a Venezia con i barnabiti, i gesuiti
si ritengono avvisati e devono andar cauti nel promuovere la frequenza
ai sacramenti.
[Juan Alonso de Polanco, Chronicon]
Modena, mentre il nuovo vescovo è il domenicano
E.
Foscarari (che già ha apprezzato
in qualità di Maestro del Sacro Palazzo a Roma il libro degi
Esercizi del p.gen.) vi comincia a predicare p. Silvestro
Landini, di salute precaria ma molto energico; seguendo il procedimento
per così dire classico, comincia a predicare al convento delle
"Pentite" che il vescovo sta riformando;
qui conosce donna Costanza Pallavicini Cortese
[La Cavaliera] che si occupa delle ragazze
perdute dando esempio di pietà e di virtù alle nobili
donne modenesi. Con il suo aiuto il padre gesuita fonda una specie di
associazione femminile che ha lo scopo di occuparsi dei malati poveri,
di appianare le dispute tra donne e di prendersi cura delle ragazze
"dalla virtù in pericolo". La sua predicazione scatena
in città un vero movimento verso l'Eucaristia. Entusiasta, il
vescovo vorrebbe riunire sotto la guida del gesuita le donne della nobiltà
in una comunità concepita sul modello della cristianità
primitiva per una pratica attiva dell'amore di Dio; spetta a La
Cavaliera prenderne la direzione.
Bologna, la piccola comunità di gesuiti, orribilmente
povera, dispone appena di ciò che giorno per giorno è
necessario per il mantenimento dei padri. 31 maggio, la signora
Margherita del Gigli scrive a Roma al fratello
mons. T. del Gigli
il quale mostra la lettera al p.gen.;
dicembre, a fine mese si può aprire il nuovo collegio.
Le classi si sistemano nella casa Santa Lucia; centotrenta piccoli allievi
ne formano la base iniziale; rettore è p. Francesco
Palmio.
Fiandre, fondazione di un collegio a Lovanio:
avendo ricevuto la supplica del p.gen. diretta all'imperatore, re Ferdinando
vi aggiunge una lunga raccomandazione (richiesta da p. Jay)
indirizzata alla sorella reggente Maria d'Absburgo;
da parte sua il cardinale Truchsess redige
una lettera personale per la reggente medesima; carico di questi documenti,
p. Adriaenssens torna a Bruxelles e li
rimette, insieme con una raccomandazione della facoltà di teologia
di Lovanio, all'influente segretario del governo Viglius
van Zwichem che tuttavia risponde con un rifiuto.
A questo punto anche il papa scrive al nunzio, questi parla all'imperatore
il quale promette di far sistemare la faccenda da A.
Perrenot de Granvelle.
Ma in Fiandra si fa orecchio da mercante.
[vedi Domicilia]
«segue 1552»
Barnabiti
«segue da 1550»
1551
Febbraio
21, con decreto del doge Francesco
Donà vengono espulsi da Venezia.
[Potranno far ritorno nel territorio della Repubblica, a Crema, soltanto
nel 1664.]
La ragione fondamentale, a parte l'irrispettosa invadenza di Paola
Antonia Negri (Angeliche) che ha stimolato
le riflessioni del senato, si nutre il sospetto che questi religiosi
e religiose giunti da Milano, più che servire nell'ospedale dei
SS. Giovanni e Paolo e promuovere il fervore della vita cristiana con
la confessione frequente, siano delle spie a servizio del governatore
di Milano Ferrante Gonzaga di cui è
amica la contessa di Guastalla Ludovica Torelli
cofondatrice con A.M. Zaccaria
delle Angeliche; la confessione frequente non
è altro che un mezzo per venire a conoscenza dei segreti di Stato.
Dicembre
recatisi a Roma per protestare contro le calunnie dei loro presunti
persecutori e per sollecitare l'autorizzazione a tornare alle Convertite
di Vicenza, Gian Pietro Besozzi e Paolo
Melso cadono dal settimo cielo quando sono arrestati, in base
al decreto della congregazione del Sant'Uffizio del 29 dicembre, e addirittura
tradotti in catene alla prigione (dalla quale potranno uscire solo nell'agosto
successivo).
«segue 1552»
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ANNO 1551
– Balassi, Bálint
o Bálint Balassa (Kékkö, attuale Modry Kamen 1551-Esztergon 1594) poeta ungherese
Canzoniere (ritrovato solo nel 1874)
L'elogio dei confini.
– Bandini, Giovanni Battista
(1551-1621) tipografo romano, che passò la maggior parte della
sua vita sui testi di culto;
correttore e quindi soprintendente della Typographia
Apostolica Vaticana.
– Bellinzaga Lomazzi,
Isabella Cristina (Milano 1551-1624)
mistica milanese;
Breve compendio intorno alla perfezione cristiana (1611, raccolte
dal padre A. Gagliardi,
opera all'indice nel 1703 sospetta di quietismo)
[Prelude già alle posizioni antiintellettualistiche
e fortemente cristologiche presenti nelle opere del cardinale P.M.
Petrucci.]
Brefs discours de l'abnégation intérieur (traduzione francese
della stessa opera che circolň sotto il nome di P.
De Bérulle).
– Bernardino da
Bergamo (Gorlago 1551-1630) frate cappuccino, padre;
1578, 18 ottobre, indossa l'abito cappuccino;
1598, viene eletto Guardiano di Sovere, e poi, conla stessa prelatura,
nei conventi di Almenno, Badia, Rezzato, Trescore, di nuovo Almenno
e finalente a Drugolo;
[Viene eletto per ben sedici volte Superiore locale.]
1611, per tutto l'anno predica a Venezia;
I - Quattro volumi di prediche da me composte cioè:
1° Quaresimale, 2° Domeniche fra l'anno, 3° Avvento, 4°
Discorsi di Santi.
II - Volgarizzamento delle rivelazioni di S. Brigida, altra volta
dal Cardinale Torre Cremata riconosciute, poi di nuovo stampate in Roma,
presso Stefano Paolini nel 1606; ed ora per profitto grandissimo delle
persone idiote ad onore di Maria e de' Santi suoi, di latino tradotte
in italiano dal servo inutile Frate Bernardino da Bergamo predicatore
Cappuccino.
[Opera da lui rivista nel 1630, con annotazioni]
III - Corona di preziosissime gemme tempestata, della purissima ed
immacolata Madre di Dio Maria Vergine, con la dichiarazione del Pater
noster conforme all'Esposizione del Serafico P. S. Francesco e dell'Ave
Maria.
[Opera manoscritta, iniziata il 15 gennaio 1618 e terminata
il 15 aprile.]
IV - Trattatello sull'arte di amare Iddio (perduto).
V - De interdicto (perduto).
VI - Tre Apologie ed altri opuscoli (perduto).
VII - La dichiarazione dell'Ave Maria fregiata di assaissime gemme,
fedelmente cavata dal volume delle Rivelazioni di S. Brigida.
VIII - Nuovo e breve modo d'esercitare l'orazione mentale e vocale
usata dal servo inutile Fra Bernardino da Bergamo Cappuccino da lui
composta e scritta in lingua volgare di propria mano nell'età
di 80 anni, in Trescore ai 31 agosto del 1630 in tempo di peste.
IX - Tavola delle celesti Rivelazioni di S. Brigida, con due indici
delle materie predicabili per tutte le Domeniche dell'anno.
X - Opera di diritto divisa in due parti:
. Pars 1ª - … de ratione tegendi et detegendi secretum
ex Dominico Scoto, distincta in tribus membris 1. De tegendo; 2. De
detegendo secreto, sive correctione; 3. De prudentia in verbis et revelatione
secreti, quando quis vi et juridice interrogetur.
. Pars. 2ª - È una raccolta di Bolle Pontificie,
Costituzioni e Decreti Apostolici. Gli ultimi documenti in essa portati
hanno la data del 1616. (Forse è l'opera intitolta De interdicto).
– Camden, William (Londra 1551-Chislehurst, Kent 1623) storico
e archeologo inglese
Britannia (1586)
Annales (1615-25, del regno di Elisabetta).
– Giustiniani,
Agostino (Genova 1551-Napoli 1590) gesuita, figlio
di un doge della Serenissima;
1568, settembre, entra a Roma nella Compagnia di Gesù;
1584, prima, tiene un corso di filosofia e insegna 5 anni teologia;
1582-90, professore di teologia nel Collegio Romano;
1589, è anche rettore del Collegio Romano;
1590, 2 marzo, muore.
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«segue da 1550»
1551
l'editto di Chateaubriand (risultato di un momento di
stretta collaborazione tra i teologi dell'Università,
il Parlamento di Parigi e la monarchia), cerca per la prima volta
di mettere ordine in materia di libri posti al bando (giudicati eretici
o contro la morale) stabilendo norme non dissimili delle altre principali
censure cattoliche.
Vengono così imposte la vigilanza sulla produzione e la circolazione
dei libri, il divieto di stampe anonime, le ispezioni sulle importazioni,
le visite ai librai.
L'editto incarica della vigilanza il vescovo e il luogotenente del siniscalco.
Italia
Venezia [vedi]
Firenze [vedi].
«segue 1552».
Inquisizione
spagnola
«segue
da 1550»
1551, in Portogallo esce l'Indice dei libri proibiti;
il primo Indice spagnolo dei libri proibiti, redatto dall'inquisizione
locale, riprende essenzialmente quello di Lovanio dell'anno precedente;
«segue 1555»
Congregazione cardinalizia dell'inquisizione
«segue da 1550»
1551
Roma, generale dell'Inquisizione: A.M.
Ghislieri (1550-?);
Gennaio
7, P.P.
Vergerio [il Giovane], ex vescovo
di Capodistria ormai rifugiatosi nei Grigioni, denuncia la furia dell'anticristo
papale, che «saepe multos trahit in
carcerem, saepe multos ad triremes relegat et saepe in rogum coniicit».
8, Roma,
il Sant'Uffizio delibera formalmente che Giorgio
Siculo, carcerato a Ferrara, sia condotto a Roma.
[Disposizione che resterà tuttavia sulla carta per l'opposizione
di Ercole II d'Este.]
Lo stesso mese M. Cervini
firma da solo una commutazione della pena a favore di un giurista bolognese
la cui vicenda è stata centro di un ennesimo conflitto tra Giulio
III e il Sant'Uffizio.
Febbraio
Roma, ai primi del mese V.
Soranzo arriva da Bergamo con le raccomandazioni del Consiglio
dei Dieci per una sollecita conclusione del processo, «acciò
che 'l possa presto ritornar al suo episcopato», e ringrazia
il papa per non averlo messo «per le mani
degli inquisitori», ottenendone però una risposta
gelida, tale da indurlo a credere che proprio questo sia il destino
che lo attende.
15, Roma, in una lettera
di Celso Martinengo a Ippolito
Chizzola (già rinchiuso in carcere) – agli atti del processo
contro G.G. Morone
– le persone evocate come uniche in grado di lenire i drammatici conflitti
di coscienza di un uomo ormai alla vigilia della fuga a Ginevra (dove
sarà a lungo alla guida della Chiesa degli esuli italiani),
sono:
. R. Pole,
. G.G. Morone,
. V. Soranzo,
. G. Grimani.
In questo scritto (pur debole dal punto di vista probatorio poiché
nessun reo potrebbe essere chiamato a rispondere su affermazioni altrui)
G.P. Carafa trova
palese conferma delle complicità ereticali degli "Spirituali".
Con il ritiro (1550) dei cardinali moderati G.G.
Morone e R. Pole,
subentra il card. G. Verallo, il principale
avversario del Talmud, mentre G.P.
Carafa nomina generale dell'Inquisizione (Grande Inquisitore)
il card.
A.M. Ghislieri (futuro
papa Pio V).
Già commissario dell'inquisizione a Pavia e poi inquisitore a
Como e Bergamo, grazie ai servizi prestati [in meno di un anno,
quasi milleduecento persone, sia agricoltori che nobili, vengono giudicati
dal tribunale dell'Inquisizione. Oltre duecento sono riconosciuti colpevoli
dopo essere stati sottoposti a terribili torture e giustiziati].
Sia G.P. Carafa
che A.M. Ghislieri
devono comunque sottostare a papa Giulio III,
sempre oscillante tra intenti di riforma e mondanità, che ha
lanciato all'inizio del suo pontificato una quantità di progetti
senza portarne a termine alcuno.
Roma, arriva intanto, chiamato a deporre contro V.
Soranzo, il sacerdote Niccolò
Bargellesi, sicuramente ortodosso (che, tuttavia, all'inizio
degli anni Quaranta, Marcantonio Flaminio,
V. Soranzo e B.
Ochino avevano creduto di poter convertire alla fede valdesiana).
I fatti a sua conoscenza (dei quali non potrebbe parlare in sede processuale
a causa del divieto papale di porre domande sul conto di cardinali)
già confluiscono in un breve ma denso appunto sulle eresie professate
da M.A. Flaminio,
dal quale egli ha ricevuto molte lettere, inequivocabili nel dimostrare
«che esso Marco Antonio è luterano».
Aprile
12, Roma,
giunto già da un mese in città, il sacerdote Niccolò
Bargellesi rilascia la sua compromettente testimonianza non al
Sant'Uffizio ma alla Minerva davanti al G. Muzzarelli (in forma privata, quindi, prima di essere interrogato:
un appunto informale, insomma, privo di ogni validità giuridica…
come gli altri quattro memoriali, tutti desunti dalle rivelazioni di
Giovan Battista Scotti);
28, nel corso di un'anomala
udienza privata, Giulio III cerca di convincere
ancora una volta il vescovo V.
Soranzo a rimettersi a lui, senza intestardirsi in una professione
d'innocenza che rischia solo di peggiorare le cose.
Maggio
4, consapevole dell'aggravarsi della situazione ma non
ancora di essere con le spalle al muro, V.
Soranzo ribadisce al pontefice: «Io
sonno apparecchiato semplicemente de dire a Sua Santità tutto
quello che la vorrà sapere da me».
7, una denuncia anonima
perviene a A.M. Ghislieri,
fresco di nomina a commissario generale del Sant'Uffizio, che viene
inviato a Bergamo per nuove indagini sul vescovo V.
Soranzo che ora si trova a Roma.
Quando il processo a V. Soranzo
fa capire che neanche la mitra espiscopale basta a riparare dai fulmini
del Sant'Uffizio, P.P.
Vergerio [il Giovane] percepisce
con chiarezza quanto sta accadendo se scrive: «Fervet
persecutio in Italia».
In effetti, dopo un decennio di azione sotteranea, sull'eresia
italiana comincia a calare la mannaia del Sant'Uffizio.
17, in un colloquio privato
di due ore tra il papa, G. Muzzarelli
e l'ambasciatore veneziano Niccolò Da Ponte
si cerca di trovare il modo di estromettere il Sant'Uffizio dalla sentenza.
A favore del vescovo gioca ora solo la volontà di Giulio
III di compiacer la Serenissima; il papa chiude il colloquuio
dicendo a G. Muzzarelli di voler
«più tosto satisfar questo ambasciator
per la prima cosa che mi dimanda, che punir cento par soi».
20, la scoperta di due
casse di scritti e libri ereticali fatte nascondere a Bergamo segna
però il definitivo tracollo dell'esile strategia difensiva del
vescovo e, a questo punto, anche il papa non può far altro che
imporre a V. Soranzo
una piena confessione, perché in caso contrario «si
convenirano repeter li testimonii et forse mandar da novo ad esaminar»
– come riferisce lo stesso Niccolò Da Ponte
il quale sottolinea inoltre come «questi
cardinali siano molto inanimati contra di lui et pensano che lui sia
un capo dal qual si habbi a nominar molti complici».
A V. Soranzo non
resta altra soluzione che appellarsi alla benignità del pontefice
ma gli inquisitori rifiutano di accogliere tale appello, convinti che
le promesse contenute in esso nascondano solo malafede.
Lo stesso mese Giovan
Battista Susio, è nuovamente rinchiuso in carcere dove
viene sottoposto a tortura «super complicibus»
e infine condannato per le eresie (che poi abiurerà il 22 marzo
1553 insieme con numerosi valdesiani).
Giugno
A.M. Ghislieri viene
chiamato a Roma per succedere a T.
Scullica
nella carica di commissario generale del Sant'Uffizio.
Nello stesso tempo, forte di un robusto apparato accusatorio, il tribunale
avvia la fase repetitiva del processo che prevede:
- la contestazione formale degli articuli d'accusa,
- la riconvocazione dei testimoni,
- la difesa dell'imputato, secondo un iter procedurale di cui
non è difficile prevedere la conclusione.
È proprio ciò che Giulio III ha
finora cercato di evitare e non solo per compiacere la Repubblica di
Venezia quanto per porre un argine allo strapotere del Sant'Uffizio.
Di qui il rapido succedersi di nuove confessiones indirizzate
da V. Soranzo al
papa che, sempre ben informato da G. Muzzarelli,
si sforza di fargli capire una volta per tutte che solo una resa senza
condizioni gli permetterà di salvarlo dalla condanna.
Alla fine V. Soranzo
si deve arrendere.
28, dopo un ultimo colloquio
privato con il papa, che certamente gli prospetta i reali termini della
questione, presenta una nuova confessio in cui ammette con franchezza
tutte le eresie di cui è stato accusato.
Quando giunge il momento di elencare senza reticenze i suoi complici
ed amici quale prova del ravvedimento e della disponibilità a
collaborare nella salvaguardia della fede e delle anime – un dovere
cui V. Soranzo non
può sottrarsi – è costretto a tornare:
- sui nomi già emersi nel corso degli interrogatori,
- sui collaboratori di cui si è circondato,
- sui frati eterodossi cui ha affidato libri proibiti e compiti di predicazione,
- sugli eretici di cui ha avuto notizia.
La confessio impone dunque una delazione dei
compagni di fede, su molti dei quali come:
. M.A. Flaminio,
. la Gonzaga,
. P. Carnesecchi,
. Apollonio Merenda,
i seguaci ed epigoni napoletani di J.
de Valdés, già oggetto di indagini e di processi,
gli inquisitori si sono sempre astenuti dal porre domande, che avrebbero
rischiato di coinvolgere:
. R. Pole,
. G.G. Morone,
. G. Grimani,
. P.A. Di Capua,
cosa che il papa ha espressamente vietato.
[Nulla gli avevano chiesto, per esempio, circa la lettera che il 15
febbraio 1551, ormai alla vigilia della fuga oltralpe, Celso
Martinengo aveva indirizzato a Ippolito
Chizzola per comunicargli i suoi dubbi, invitandolo a parlarne
con alcuni prelati da cui si attendeva risposte e conforto (cosa che
questi non ha potuto fare poiché nel luglio 1549 era già
stato convocato a Roma e qui rinchiuso nel carcere di Ripetta fino alla
condanna all'abiura comminatagli nel dicembre del 1551. La lettera è
stata infatti «consegnata al reverendissimo
cardinale di Napoli», e quindi il tribunale ne conosceva
il contenuto al momento di interrogare V.
Soranzo.]
Comunque siano andate le cose, è certo che i nomi di questi illustri
prelati non sono mai stati fatti nel corso del processo né il
vescovo reo li ha menzionati tra i suoi complici.
Ciò significa che se V.
Soranzo è stato costretto a soccombere sotto il peso
delle accuse, i vertici del Sant'Uffizio hanno dovuto piegarsi alla
volontà papale e accettare che i quattro importanti prelati citati
non vengano coinvolti nell'inchiesta rinunciando quindi a interrogare
un testimone certo ben informato su quanto più sta loro a cuore.
Il clamoroso silenzio sugli spirituali è dunque il prezzo che
il Sant'Uffizio ha dovuto pagare per ottenere l'abiura di V.
Soranzo, il cui processo può ritenersi ormai concluso
dopo la piena confessione «con sincerissimo
animo et dolore d'haver fallato».
29, questo tuttavia, a
riprova del braccio di ferro in corso ai vertici della curia, non è
ancora ritenuto sufficiente dal tribunale che, dopo aver ottenuto una
ulteriore confessio con qualche altra notizia sugli eretici
da lui conosciuti, gli impone di redigere un nuovo e ancor più
esplicito elenco dei suoi errori.
Luglio
3, Roma, dopo che il Sant'Uffizio,
non ancora soddisfatto, ha imposto a V.
Soranzo di redigere un nuovo e ancor più esplicito
elenco:
- dei suoi errori («confessati senza tormento
alcuno» deve precisare),
- dei suoi aberranti comportamenti pastorali,
- delle sue complicità eterodosse,
egli compie un'abiura in piena regola (tale da prefigurare quella che
dovrà pronunciare al momento della sentenza, che sarà
dilazionata per oltre due mesi) compiendo l'ultimo passo che gli viene
richiesto nel confessare che le sue eresie si sono configurate come
consapevole adesione alle dottrine protestanti.
Agosto
-
Settembre
9, Roma, alla presenza dei cardinali:
. G.P. Carafa,
. Álvarez de Toledo,
. G. Verallo,
. G. Muzzarelli, maestro del Sacro
Palazzo,
. Gaspare Dotti, luogotenente della congregazone,
. A.M. Ghislieri,
commissario generale,
il vescovo V. Soranzo
abiura le eresie di cui è reso colpevole.
Nel professare la sua obbedienza alla Chiesa egli giura di esserle fedele,
dicendosi pronto ad accettare qualunque pena.
In virtù delle risultanze processuali, Giulio
III lo dichiara formalmente colpevole «in
haeresibus confessatis et abiuratis» ma al tempo stesso,
tenendo conto del suo pentimento, lo assolve dala scomunica e dalle
altre pene canoniche in cui è incorso.
Nel suo caso, l'applicazione delle norme previste si limita a un periodo
di carcere «arbitrio Suae Sanctitatis»,
che gli assegna come prigione la città di Padova, e a una punizione
salutare che gli sarà comuncata in privato da G. Muzzarelli senza metterne a parte il tribunale.
Di fatto egli mantiene il titolo episcopale ma viene sospeso dal governo
della diocesi di Bergamo.
Faenza, viene arrestato
. Cesare Flaminio (sarà condannato
a Roma nel maggio 1952);
altri:
. Andrea da Volterra,
. Pietro Gelido,
. Ippolito Chizzola,
e alcuni valdesiani di Napoli vengono pure arrestati (1951-53) ed estradati
a Roma.
Lo stesso mese,
Ranieri Gualano, eretico napoletano rinchiuso
nel carcere di Ripetta, molto amico di V.
Soranzo, depone a carico di Giulio
Basalù (ma non risultano tracce di sue deposizioni contro
V. Soranzo e G.G.
Morone nei processi a carico di questi ultimi.)
Da notare che vige l'espresso divieto papale di interrogare
i rei sul conto di cardinali.
Ottobre
autunno, si apre l'interminabile vicenda del cardinalato di P.A.
Di Capua tanto insistentemente sollecitato da Carlo
V e dai Gonzaga quanto osteggiato
dagli inquisitori;
la richiesta di Carlo V affinché
quel «clerigo de buena vida y letrado»
sia chiamato nel sacro collegio urta purtroppo contro la ferrea opposizione
del Sant'Uffizio a causa di «algunos
deffectos».
[Alla fine sarà proprio il Sant'Uffizio a spuntarla a dispetto
di Giulio III.]
9, l'ambasciatore fiorentino già
fa presente che sul suo capo pesa «qualche
taccia d'heresia»;
10, la notizia ha invece lasciato
di stucco don Diego de Mendoza il quale,
dopo essere stato informato dal papa, in una lettera al Granvelle
si dice ora incredulo che tali accuse possano investire «el
mejor hombre i mejor christiano de Italia».
16, appena avutane notizia, Ercole
Gonzaga segnala anch'egli a Carlo V
queste impreviste «difficultà»;
20, nella lettera inviata da don
Ferrante a Carlo
V le "difficultà" diventano veri e propri «impedimenti»
motivati secondo il papa dal fatto che «egli
è notato sui libri degli inquisitori infin da un certo tempo
nel quale s'addunavano in Viterbo molti huomini litterati che sentivano
di dottrina luterana».
Novembre
2, Bologna, nel convento di San Domenico, a riprova dell'autenticità
del suo pentimento, Pietro Manelfi, ex
prete marchigiano, anabattista, consegna al domenicano Leandro
Alberti un lungo memoriale (conservatosi solo in copie parziali)
in cui elenca città per città e nome per nome le centinaia
di eretici da lui conosciuti e frequentati in passato, una delazione
impressionante destinata ad aprire inchieste e processi in tutta Italia.
Null'altro resta dei suoi costituti bolognesi, che sembrano esaurirsi
in questo elenco di persone e di luoghi.
Consegnati a Roma, l'ostaggio e i verbali, dall'inquisitore domenicano
Leandro Alberti – non al Sant'Uffizio romano
ma a un uomo di fiducia di Giulio III ,
quale il maestro del sacro palazzo, suo vecchio amico, concittadino,
confratello e predecessore nella carica di inquisitore a Bologna – il
delatore viene interrogato da G.
Muzzarelli, assistito per l'occasione dal commissario generale
dell'Inquisizione A.M. Ghislieri.
Tra i nomi:
. Firenze: Bartolomeo Panciatichi, potente
banchiere,
. Vicenza: Giulio Trissino, grande aristocratico,
. Pisa: Bernardo Ricasoli, ricco mercante,
. Venezia: illustri patrizi,
. Ferrara: tutta la corte di Renata di Francia.
Molti personaggi menzionati sono tali da indurre gli inquisitori ad
espungerne i nomi (in una delle copie in seguito note dei verbali),
mentre altri saranno sostituiti con una N.
nella trascrizione parziale.
Nulla, comunque, risulta dai Decreta del Sant'Uffizio circa
i costituti dell'ex prete marchigiano che registrano solo una «commissio
generalis» affidata a G.
Muzzarelli.
15, verso la metà del mese
P.A. Di Capua si
precipita a Roma «per giustificarsi delle
imputationi».
Il cardinale di Mantova scrive alla corte di Bruxelles, premurandosi
di intervenire anche a Roma presso i principali avversari di P.A.
Di Capua, gli inquisitori J. Álvarez
de Toledo y Zúñiga e Rodolfo Pio da Carpi.
21, da Siena anche Diego
de Mendoza sottolinea l'aspra avversione personale dei due cardinali
contro il prelato napoletano e il carattere strumentale di queste accuse
di eresia.
23, G.
Muzzarelli viene intanto inviato dapprima a Bologna, dove
riprende la carica di inquisitore (al posto di Leandro
Alberti, già gravemente ammalato…
27, poiché alla fine anche
P.A. Di Capua finisce
col trovarsi costretto a scegliere tra un processo in piena regola e
una purgazione canonica, Ercole Gonzaga
spiega a Diego de Mendoza che quest'ultima
scelta ha sì consentito a Giulio III a
sottrarre agli artigli degli inquisitori altri prelati ma al tempo stesso
ciò implica una macchia indelebile, tale da costringere P.A.
Di Capua a vivere per il resto della sua vita «né
honorato né contento in se stesso nel cospetto del mondo».
Di qui la volontà di giustificarsi «in
ogni modo», di essere proclamato innocente, cosa che il
Sant''Uffizio cerca di rendere ancor più difficile affidando
la causa a due nemici giurati dei Gonzaga
quali gli inquisitori J. Álvarez
de Toledo y Zúñiga
e Rodolfo Pio da Carpi.
Dicembre
16, … G. Muzzarelli
giunge a Venezia dove porta con sé una copia di questo elenco;
27, G.
Muzio è già in
grado di spedire dettagliate informazioni sulla setta degli anabattisti.
Alla fine dell'anno M. Cervini
fa sapere a Daniele Barbaro, il successore
designato di G. Grimani
nel patriarcato di Aquileia, che in «congregatione»
non si è mai parlato di lui.
Durante la permanenza a Roma all'inizio degli anni Cinquanta di Giovan
Battista Scotti – come riferirà in seguito questi al Sant'Uffizio
– Ambrogio Catarino (o Lancellotto)
Politi gli parla di alcuni familiari eterodossi
di cui R. Pole si
è circondato a Trento e gli dice di essere riuscito a ricondurre
all'ovile cattolico l'eterodosso fiorentino Pietro
Gelido [il Pero], in passato «sedutto
dal cardinal Polo», senza subire un processo né
un'abiura formale, ma solo in virtù di una riconciliazione privata.
Alla fine dell'anno (o inizio del prossimo), con il pretesto di sistemare
le pendenze ereditarie del fratello, si reca a Roma G.
Grimani per discolparsi delle striscianti accuse di cui è
fatto segno.
Il papa affida gli interrogatori a G.
Muzzarelli e a G.
Federici, suoi fiduciari quando c'è da mettere il
bastone tra le ruote del Sant'Uffizio, con l'incarico di riferirgli
di persona.
«segue 1552».
Ugonotti
«segue da 1539»
1551, ordinanze reali contro di loro;
«segue 1555»
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