©

Il Viandante

in rete dal 1996


Se ti siamo stati utili effettua una

Nuova Ricerca

Papa
Innocenzo VIII

(1484-1492)

ANNO 1487





1487
SACRO ROMANO IMPERO
Friedrich III
Albero genealogico
(Innsbruck 1415 - Linz 1493)
figlio di Ernst I [il Ferreo], duca di Stiria, e di Zimburga di Masovia [Piasti];
[appartiene al ramo leopoldino degli Asburgo.]
1424-93, duca di Stiria, Carinzia, Carniola e Tirolo (Federico V);
[succeduto al padre]
1440-93, re di Germania e dei romani (Federico IV);
alla morte del cugino Alberto II riceve dai principi elettori sia la corona sia la tutela di Ladislao [Postumo] erede di tutti i territori posseduti dal ramo albertino degli Asburgo nonché delle corone di Boemia e d'Ungheria;
nel 1438, con il concordato di Vienna, ottiene da papa Niccolò V una serie di concessioni e di rinunzie a favore della corona e dei principi tedeschi che gli valgono una notevole preponderanza sulla chiesa in Germania;
1452-93, imperatore del Sacro Romano Impero (Federico III);
riceve la corona imperiale a Roma dalle mani di Niccolò V;
dal 1453 arciduca d'Austria;
1457-93, duca d’Austria (Friedrich V);
nel 1457, alla morte di Ladislao [Postumo], rivendica a sé il diritto all'eredità di tutti i possessi territoriali della casata asburgica e, ottenutili dopo non poche lotte, unifica i domini acquistati, costituendo così il più esteso tra gli stati tedeschi:
Austria eretta in arciducato (1453), Stiria, Carinzia, Carniola, Tirolo;
nel 1458 non riesce a salvaguardare i suoi diritti sui regni di Boemia e d'Ungheria;
nel 1477 combina il matrimonio di suo figlio Massimiliano e Maria di Borgogna, figlia di Carlo [il Temerario], ponendo così le basi della futura potenza asburgica;

Massimiliano I d'Absburgo
Albero genealogico
(Wiener Neustadt 1459 - Wels, Alta Austria 1519)
figlio di Friedrich III e di Leonor di Portogallo;
1477, 19 agosto, sposa Maria di Borgogna, figlia ed erede di Carlo [il Temerario] morto in battaglia all'inizio dell'anno; il possesso dei domini borgognoni gli viene però a lungo conteso dalla Francia contro la quale sostiene una lunga guerra;
1479, vittorioso a Guinegate;
1482, dopo la morte della moglie deve rassegnarsi a stipulare con Luigi XI un accordo in base al quale quest'ultimo entra in possesso dell'Artois e della Borgogna, mentre la Franca Contea viene promessa in dote a sua figlia Margarete, che avrebbe dovuto sposare il delfino; dell'eredità borgognona gli rimangono quindi solo i Paesi Bassi che resisteranno a lungo (1489) prima di riconoscere la sua sovranità;
1486-1519, re dei romani;


1489-1519, arciduca del Tirolo;
1493-1519, arciduca d’Austria;
1493-1519, re di Germania;
1508-19, imperatore del Sacro Romano Impero;

1487
-
Sigmund, arciduca d'Austria, che regna in Tirolo vede di mal occhio che mercanti veneziani e possessori di miniere si siano stabiliti a Primör a sud di Bolzano. Da questo sorgono contrasti con la Signoria di Venezia.
Per metter fine ad una ulteriore penetrazione dei veneziani in suolo tirolese, Sigmund alla spiccia toglie le loro merci ai mercanti che si recano al mercato di Bolzano offendendo così il «diritto consacrato e la sicurezza dei mercanti». Diventa così inevitabile la guerra aperta con la Signoria.
La fortuna delle armi è dapprima dalla parte dell'arciduca Sigmund, ma egli non può valersene perché non ha modo di procurarsi denaro per i mercenari. Inoltre con il suo atto di violenza contro i mercanti si è inimicato l'imperatore, il papa e persino la sua dieta.
Questo contrasto che minaccia la più importante strada commerciale tra Augusta e l'Italia, viene seguito con interesse appassionato anche da Jacob II Fugger. Del resto anche suo cugino Lukas Fugger è stato derubato, assieme ad altri mercanti, in Valsugana.
Valendosi del credito della sua casa, il giovane Jacob II Fugger fa da mediatore in questa difficilssima situazione. Così si amica Venezia e l'arciduca, si guadagna il favore dell'imperatore e del papa, procura ai suoi conterranei vie commerciali di nuovo sicure, scaccia dal Tirolo gli incomodi concorrenti e fa per di più un buon affare.
[Si calcola che il suo guadagno complessivo negli acquisti d'argento fino al 1494 sia di 400.000 fiorini.]
La pace viene conclusa, i mercanti veneziani devono lasciare il Tirolo e vengono tacitati con delle interessenze nello Schwaz; infine l'arciduca per il furto in danno di cittadini veneziani deve pagare una multa di 100.000 fiorini: più della metà viene pagata con rame; il resto viene ridotto a 23.000 fiorini in cifra tonda. Jacob II Fugger è pronto a sborsare la somma insieme al mercante bavarese Anton von Ross ma i suoi fratelli fanno delle difficoltà:
- che l'affare è troppo rischioso,
- che la persona di Sigmund non offre garanzie sufficienti per una somma forte,
- che il Tirolo è già fortemente indebitato a causa dei suoi sperperi.
Jacob II Fugger si ostina nella sua idea e infine concede il prestito detraendolo dalla sua parte di eredità.
Fino ad estinzione del credito egli ha il diritto di acquistare dai più importanti stabilimenti del Tirolo tanto argento e tanto rame quanto può collocarne nei diversi mercati.
Gli stabilimenti più stimati e più ricchi, tra cui i Tänszl e gli Jaufner si fanno mallevadori.
Questo è un primo passo ardito verso nuove vie commerciali.
Il procedimento è semplice. Jacob II Fugger paga per ogni marco-peso d'argento – circa mezza libbra – il valore convenuto di 8 fiorini, ma di esso dà solo 5 fiorini «ai fonditori perché ne facciano argento» e trattiene i restanti 3 fiorini, cioè l'imposta che di volta in volta spetta al signore del territorio come «regalia mineraria».
Oltre a questo egli ha ancora, grazie alla favorevole situazione del mercato, un guadagno sugli acquisti di almeno 2 fiorini. L'affare dà quindi un utile del 40% ed è molto meno rischioso che il commercio al minuto, poiché il governo tirolese garantisce il rimborso della somma dovuta.
A poco a poco anche i fratelli si convincono che si è entrati in una nuova Terra Promessa ma il commercio è ancora minacciato da pericoli troppo gravi.
Dopo aver concluso il primo affare con Jacob II Fugger, l'arciduca Sigmund gli rimane legato.
I rappresentanti nazionali del Tirolo e i cugini austriaci approvano con piacere che ora al posto dei Baumgartner di Kufstein (al momento ancora sudditi bavaresi) prendano il primo posto come fornitori di fondi i Fugger.
Si osserva infatti con crescente diffidenza come il duca di Baviera Albrecht IV [il Saggio], che per i suoi grandi prestiti a Sigmund ha parecchie ipoteche su una gran parte delle entrate tirolesi, si appresti ad incamerare come facile bottino l'eredità tirolese di Sigmund privo di discendenti.
In questo periodo i principi si accingono a coniare monete d'argento più grosse, così per esempio ad Hall il "tallero di Sigismondo". In breve l'argento diventa l'articolo più ricercato.




1487
REGNO di BOEMIA
Ladislao II Jagellone III

(n. 1456 - Buda 1516)
figlio di Casimiro IV re di Polonia e di Elisabetta d’Absburgo;
1471-1516, re di Boemia (Ladislao II);
nel 1478, con la pace di Olmütz, conferma a Mattia Corvino il possesso delle terre conquistate a Giorgio Podebrad (Moravia, Slesia e Lusazia);
nel 1483, si scontra con l'opposizione hussita che crea tumulti a Praga;






1490-1516, re d'Ungheria (Ladislao VII);

 



1487
-



1487
REGNO d'UNGHERIA
Mattia Corvino

(Kolozssvár 1440 - Vienna 1490)
figlio di János Hunyadi;
1458-90, re d'Ungheria;
proclamato grazie alle vaste aderenze e alle ricchezze della sua casata;
nel 1464 attacca il regno di Boemia;
nel 1465, grazie al matrimonio con Beatrice d'Aragona figlia di Ferdinando di Napoli, i contatti con la cultura italiana si fanno più assidui; alla sua corte si costitusce una ricca biblioteca umanistica (Corviniana);
nel 1478, con la pace di Olmütz, Ladislao II Jagellone gli conferma il possesso delle terre conquistate a Giorgio Podebrad (Moravia, Slesia e Lusazia);
1485-86, occupa parte dell'Austria e la stessa Vienna;
occupata Vienna, pone la sua candidatura al trono imperiale, ma la dieta dei principi elettori gli preferisce Massimiliano d'Asburgo;

 



1487
-



1487
REGNO di POLONIA
Casimiro IV
Albero genealogico

(Cracovia 1424 - Grodno 1492)
figlio di Ladislao II Jagellone e di Edvige d’Angiò;
1440-92, granduca di Lituania (Casimiro II);
eletto dalla nobiltà locale, con la sua nomina rende il paese indipendente di fatto dalla corona polacca;
1445-92, re di Polonia;
1456-66, lunga guerra contro i cavalieri teutonici che, con la pace di Torun, sono costretti a restituire la Pomerania e a rendergli omaggio feudale;
nel 1470 combatte contro Mattia Corvino che contende a suo figlio Ladislao (il futuro Ladislao II) il trono di Boemia;




1487
-

1487
Albero genealogico

(Ansbach 1455 - Schloss Arneburg 1499)
figlio di Albrecht III [Achille] e di Margherita di Baden;
1486-99, elettore di Brandeburgo;

1487
Federico III [il Saggio]
Albero genealogico

(Torgau 1463 - castello di Lochau, Annaburg 1525)
figlio di Ernesto duca elettore di Sassonia (linea ernestina) e di Elisabetta di Baviera;
1486-1525, duca elettore di Sassonia;





Alberto IV [il Coraggioso]
Albero genealogico

(Grimma, Lipsia 1443 - Emden, Bassa Sassonia 1500)
figlio di Friedrich II [il Pacifico] e di Margherita d’Austria;
è l'iniziatore del ramo albertino della casa di Wettin;
1464-85, duca di Sassonia;
[regge il ducato con il fratello maggiore Ernesto.]
nel 1474, generale tra i più abili del tempo, appoggia la politica imperiale lottando contro Carlo [il Temerario];
1485-1500, margravio di Meissen (Alberto II)
1485-1500, duca elettore di Sassonia;
dopo la spartizione di Lipsia;
1487
generale tra i più abili del tempo appoggia la politica imperiale lottando contro Mattia Corvino;




1487
ducato di Baviera
Georg di Wittelsbach [il Ricco]
Albero genealogico

(Landshut 1455 - Ingolstadt 1503)
figlio di Ludwig IX [il Ricco] e di Amalia di Sassonia;
1479-1503, duca di Baviera in Landshut e Ingolstadt;




Albrecht IV [il Saggio]
Albero genealogico

(Munich 1447 - Munich 1508)
figlio di Albrecht III [il Pio] e di Anna von Braunschweig-Grubenhagen;
1467-1508, duca di Baviera-Monaco;
[con il fratello Sigmund e poi da solo, cercando invano di estendere i confini fino a Ratisbona.]



1504-08, duca di Baviera-Ingolstadt u.Landshut;
1505-08, duca di Baviera;
[dopo aver riunito i domini]









1487
IMPERO OTTOMANO
Bayezid II [il Giusto o il Pio]

(1447-1512)
figlio di Mehmet II;
1481-1512, sultano;
[pur sospettato di parricidio, mediante l'appoggio dei giannizzeri e di una potente fazione di alti funzionari, supera l'opposizione del fratello Cem.]
nel 1482 il fratello Cem, suo oppositore, fugge a Rodi;
nel 1483 riprende, con esito alterno, la politica espansionistica del suo predecessore; perfeziona la conquista dell'Erzegovina; proibisce la riproduzione meccanica di qualsiasi testo arabo e turco cso il Corano;
nel 1484 combatte contro croati, ungheresi e polacchi, alternando vittorie e insuccessi, guerre e tregue;





1487
-


1487
REGNO di CIPRO e di GERUSALEMME
 

(Venezia 1454 - 1510)
moglie di Giacomo di Lusignano;
1473-89, regina di Cipro e di Gerusalemme;
[sotto la tutela di un ammiraglio veneziano;
nel 1474 muore il figlio James III, nato postumo nel 1473, estinguendosi così così la dinastia dei Lusignano;
si trova subito inserita in un difficile gioco diplomatico, fra le mire degli Aragonesi di Napoli e le pretese di Carlotta erede legittima dei Lusignano;
ben presto, sottraendosi al ruolo di "strumento" che la Repubblica di Venezia gli ha assegnato, intende fare dell'isola un regno indipendente;


1487
-






1487
RUSSIA
Ivan III [il Grande]
Albero genealogico
(Mosca 1440 - 1505)
figlio di Basilio II [il Cieco] ;
1449, già co-reggente del padre;
1462-1505, gran principe di Mosca;
continua con esito favorevole la politica di unione delle terre russe già iniziata dai suoi predecessori, superando l'ostilità della Lituania e dell'Orda d'Oro;
nel 1474 conclude con Mengli-Ghiray, khan della Crimea, un'alleanza contro l'Orda d'Oro e si volge contro la repubblica di Novgorod [ormai in stato di debolezza cronica, divisa al suo interno tra il partito dell'oligarchia commerciale e aristocratica che si appoggia allo stato polacco-lituano e il popolo che si appoggia alla Russia];
nel 1478 prende possesso di Novgorod incorporandone i territori nello stato moscovita;
nel 1480 respinge un attacco di Ahmat khan dell'Orda d'Oro [sarà definitivamente liquidata da Mengli-Ghiray nel 1502];
nel 1483 riesce ad annettere Rjazan;
nel 1485 riesce ad annettere Tver;

 
-
1487
riesce ad annettere Kazan;


1487
Moldavia
Stefano III [il Grande]
(n. 1433 ca - m.1504)
figlio del principe Bogdan II della stirpe dei Musat;
1451, dopo la morte del padre, ucciso dal fratello Pietro III Aron, intraprende con quest'ultimo una lunga guerra;
1457-1504, voivoda di Moldavia;
grazie anche all'appoggio di Vlad III di Valacchia;
nel 1467, con la battaglia di Baia, ferma l'attacco degli ungheresi;
nel 1469, con la battaglia di Lipnik, ferma l'attacco dei tatari;
nel 1475, con la battaglia di Racova, ferma l'attacco dei turchi; allarga il proprio dominio a spese dell'Ungheria e della Valacchia;
nel 1484 perde gli importanti centri commerciali di Kilija e Akkerman;


 
-
1487
-



1487
REGNO di FRANCIA
Carlo VIII
Albero genealogico
(Amboise 1470 - 1498)
figlio di Luigi XI e di Carlotta di Savoia;
[ultimo sovrano della dinastia dei Valois.]
1483-98, re di Francia;
[1483-91 - reggente la sorella Anna di Borbone-Beaujeu.]




Primo ministro
[Sovrintendente delle Finanze]
-
Cancelliere-Guardasigilli
-
Segretario di stato agli Affari Esteri
-
 
1487
-



1487
ducato d’Angiò
Renato II
Albero genealogico

(n. 1451 - Fains, Barrois 1508)
figlio di Federico (Ferri) di Lorena conte di Vaudémont e di Iolanda d'Angiò (figlia di Renato I [il Buono]);
1473-1508, duca di Lorena;
ereditato il ducato dal cugino Niccolò d'Angiò, con il trattato di Nancy deve cedere a Carlo [il Temerario] duca di Borgogna le più importanti piazzeforti del paese;
nel 1475 è costretto a rifugiarsi a Lione dove prende il comando di truppe svizzere;
nel 1476 sconfigge Carlo [il Temerario] a Grandson e a Morat;
nel 1477 uccide Carlo [il Temerario] nell'assedio di Nancy;
1480-1508, duca di Bar;
succeduto a Renato I [il Buono], è attratto dalle vicende italiane;
nel 1483 combatte a fianco di Venezia durante la guerra di Ferrara, senza nascondere le sue ambizioni sul regno dell'Italia meridionale su cui vanta i diritti della sua famiglia materna;
nel 1485 impone alla Lorena la legge salica, vietando la separazione del ducato di Bar; non avendo avuto figli dalla moglie Giovanna d'Harcourt, la ripudia per Filippa di Gheldria che gli dà un successore, Antonio;
allo scoppio della "congura dei baroni" nell'Italia meridionale contro Ferdinando I d'Aragona, nonostante le insistenze di papa Innocenzo VIII e le precedenti promesse, non interviene dedicandosi invece al miglioramento del proprio stato e del suo assetto politico;





1487
-



1487
ducato di Savoia
Carlo I [il Guerriero]
Albero genealogico
(Carignano 1468 - Pinerolo 1490)
figlio di Amedeo IX [il Beato] e di Yolande di Valois;
1482-90, principe di Piemonte;
1482-90, conte di Aosta, Maurienne e Nizza;
1482-90, duca di Savoia;
nel 1485 sposa Bianca del Monferrato;
1487-90, marchese di Saluzzo;
re di Cipro e Gerusalemme (titolare)
[erede dei regni in seguito alla donazione della zia Carlotta di Lusignano († 1487)]





 
-
1487
-

 



1487
REGNO d'INGHILTERRA
Enrico VII Tudor
Albero genealogico

(castello di Pembroke 1457 - Richmond, Londra 1509)
1485, vissuto finora in esilio, è legato alla casa dei Lancaster da un doppio vincolo di parentela in quanto figlio di:
- Edmondo Tudor, conte di Richmond, figlio di Owen Tudor (secondo marito di Caterina di Valois, vedova del re Enrico V) e quindi fratellastro di Enrico VI, e di
- Margherita di Beaufort discendente da Giovanni di Gand, duca di Lancaster.
1455-85, guerra delle due rose;
1485-1509, re d'Inghilterra;
[dopo essersi fatto proclamare re sul campo di battaglia di Bosworth, nel Leicestershire.]
nel 1486 sposa Elisabetta di York, figlia di Edward IV, ed imprigiona Edward conte di Warwick (nipote di Edward IV e unico erede maschio degli York);
nei primi anni di regno il suo potere viene insidiato dai complotti organizzati dal partito yorkista, capeggiato da Margherita di Borgogna (sorella di Edward IV di York);




1487
gli viene opposto Lambert Simnel che, spacciandosi per il conte di Warwick (in realtà prigioniero nella Torre), viene proclamato re dai yorkisti irlandesi e sbarca in Inghilterra alla testa di un esercito; sconfitto dalle truppe reali e smascherato, Simnel finisce a corte come sguattero;

a

1487
REGNO di SCOZIA
James III
Albero genealogico

(Stirling 1453 - Milltown 1488)
figlio di Giacomo II Stuart e di Mary di Guelders;
1460-88, re di Scozia;
succeduto ancora fanciullo al padre;
nel 1469 sposa Margherita di Danimarca ottenendo in dote le Shetland e le Orcadi;
nel 1471 deve affrontare ricorrenti sedizioni e congiure, suscitate dalla nobiltà che lo accusa pretestuosamente di circondarsi di consiglieri mediocri e volgari;
nel 1483, imprigionato dai baroni, viene liberato dal fratello Alessandro duca d'Albany che pure ha in progetto di spodestarlo;
1455-85, guerra delle due rose (schierato con i Lancaster); alla fine della guerra cerca di rafforzare la propria posizione stringendo amichevoli rapporti con Enrico VII d'Inghilterra;

1487
stipula un concordato religioso con Innocenzo VIII;


a

1487
REGNO di DANIMARCA, REGNO di NORVEGIA e REGNO di SVEZIA
Johan I
Albero genealogico
(Aalborg 1455 - Aalborg 1513)
figlio di Christian I e di Dorotea di Brandeburgo;
nel 1478 sposa la p.ssa Christine di Sassonia;
1481-1513, re di Danimarca e di Norvegia;
1483-1501, re di Svezia (Johan II);
duca di Schleswig-Holstein

1487
-



1487
REGNO di PORTOGALLO
Giovanni II [il Principe Perfetto]
Albero genealogico
(Lisbona 1455 - Alvôr 1495)
figlio di Alfonso V [l'Africano] e di Isabella di Braganza;
1471, prende parte alla spedizione paterna in Marocco dove è nominato governatore;
1481-95, re di Portogallo;
salito al trono limita i privilegi della nobiltà e dirige mirabilmente le esplorazioni oceaniche dell'Africa, perfezionando un tipo di nave ritenuto da tutti ideale per tali viaggi: la caravella con vela latina;




1487
B. Dias raggiunge il capo di Buona Speranza e dischiude la via delle Indie a Vasco da Gama; nello stesso anno Pedro de Covilham, inviato sempre dal re su un itinerario opposto a quello di B. Dias, per convergere, però, verso lo stesso obiettivo, non si concluderà sulle coste dell'India e dell'Africa orientale; egli sarà infatti invitato in seguito dal sovrano a portarsi nel regno cristiano d'Abissinia che egli raggiungerà nel 1490;


1487
REGNO di NAVARRA e REGNO di ARAGONA
Ferdinando II [il Cattolico]
Albero genealogico

(Sos, Aragona 1452 - Madrigalejo, Estremadura 1516)
figlio di Giovanni II d'Aragona e della sua seconda moglie Giovanna Enriquez;
1469, Valladolid 19 ottobre, sposa Isabella, sorellastra di Enrico IV di Castiglia;
1474, alla morte di Enrico IV, la figlia Giovanna [la Beltraneja], sposa Alfonso V re del Portogallo;
ne segue una lunga e dura lotta di successione tra le due pretendenti e i rispettivi mariti;
1479-1516, re d'Aragona e di Sicilia;
dopo la conclusione di una lunga e dura lotta per la successione;
con la morte di Giovanni II d'Aragona inizia il regno congiunto dei due sovrani: ciascuno figura come principe consorte nel regno dell'altro, e sul piano costituzionale la Castiglia e l'Aragona rimangono due stati separati, ma tra Ferdinando e Isabella regna una piena intesa;




1503-16, re di Napoli (Ferdinando III);
1512-16, re di Spagna (Ferdinando V);





1487
dal 1478 opera il Sant'Uffizio (Inquisizione spagnola);
1481-92, lunga guerra rivolta tutta al regno di Granada l'ultimo caposaldo arabo nella penisola iberica;



1487
REGNO di CASTIGLIA e di LÉON
Isabella I [la Cattolica]
Albero genealogico

(Madrigal de las Altas Torres, Ávila 1451 - Medina del Campo, Valladolid 1504)
figlia di secondo letto di Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo;
1469, 19 ottobre, liberata dal castello di Madrigal dove Enrico la teneva in una velata prigionia, può sposare Ferdinando d'Aragona, re di Sicilia ed erede della corona aragonese: questo matrimonio, atto di volontà della principessa, non è certo gradito ad Enrico IV né negli ambienti diplomatici portoghesi, inglesi e francesi;
a questo punto molti dei grandi di Castiglia, temendo un rafforzamento che alla corona castigliana sarebbe pervenuto dall'unione con quella aragonese il giorno in cui Ferdinando avesse ereditato l'Aragona, oppongono alle sue ragoni quelle di Giovanna la Beltraneja, figlia presunta di Enrico IV;
1474-1504, regina di Castiglia;
dopo la morte del fratello, anche se la lotta per il riconoscimento dei diritti ereditari continua;
nel 1475 la la battaglia di Toro fra portoghesi e castigliani ha esito incerto;
nel 1476, alla morte del gran maestro dell'ordine cavalleresco di Santiago, pretende che questa carica venga assegnata al marito;
nel 1479 viene sottoscritto il trattato di Alcoçobes (o Alcáçovas) con i portoghesi, in base al quale Giovanna [la Beltraneja] e suo marito Alfonso di Portogallo rinunciano all'eredità castigliana;
nel 1481 si assiste ad importanti sconvolgimenti legislativi;
1487
pretende ancora che la carica di gran maestro dell'Ordine cavalleresco di Calatrava sia assegnato al marito;


1487
-




1487
Monferrato
Bonifacio III Paleologo
Albero genealogico
(n. 1424 ca - m. 1494)
figlio del marchese Giangiacomo Paleologo e di Giovanna di Savoia;
1450, premuto dalle mire dei Savoia e da quelle dei duchi di Milano riconsegna Alessandria, ricevuta dal fratello Guglielmo VIII, a Francesco Sforza;
1483-94, marchese di Monferrato;
nel 1485 sposa, in seconde nozze, Maria, figlia di Stefano Brankovic, ex despota di Serbia;










 
1487
-


1487
REPUBBLICA DI GENOVA
"Compagna Communis Ianuensis"
Paolo di Campofregoso
Albero genealogico

(? - ?)
figlio di
1462 14-31 maggio, 1463 8 gen - apr 1464,
1483 25 nov - 6 gen 1488, doge di Genova;


1487
-



1487
ducato di Milano
Gian Galeazzo Sforza
Albero genealogico
(Abbiategrasso 1469 - Pavia 1494)
figlio di Galeazzo Maria e di Bona di Savoia;
1476-94, duca di Milano;
sotto la reggenza della madre, assistita dal segretario ducale Cicco Simonetta e appoggiata dal partito guelfo;
nel 1479 Bona di Savoia cede e chiama a Milano il cognato;
dal 1480 reggenza e governo effettivo passano nella mani dello zio Ludovico [il Moro ]; nei mesi successivi Bona di Savoia viene estromessa definitivamente e confinata ad Abbiategrasso;
nel 1484 pur avendo ormai raggiunto la maggior età e promesso sposo di Isabella d'Aragona, figlia del re di Napoli, reggenza e governo effettivo rimangono nella mani dello zio Ludovico [il Moro ];


Ludovico Sforza [il Moro]
Albero genealogico
(Vigevano 1452 - Loches, Turenna 1508)
figlio quartogenito di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti;
nel 1476 cerca con gli altri fratelli Sforza Maria, Ascanio e Ottaviano di contrastare la successione del nipote Gian Galeazzo Maria;
nel 1477 un suo colpo di mano tentato assieme ai fratelli viene sventato ed i congiurati, banditi dalla città, vengono confinati in diverse città italiane;
da Pisa egli continua la sua azione per scalzare l'autorità di Bona di Savoia e di Cicco Simonetta, contando anche sull'appoggio di Alfonso d'Aragona (figlio del re di Napoli Ferdinando I) e di Roberto di Sanseverino;
nel 1478 verso la fine dell'anno si porta con i fratelli in Liguria, con l'intenzione di puntare su Milano;
nel 1479, nonostante un nuovo bando per ribellione e nonostante la morte di Sforza Maria, assieme agli altri fratelli prende Tortona; Bona di Savoia cede e lo chiama a Milano;
1479-1500, duca di Bari;
dal 1481 è l'incontrastato signore di Milano;
1482-84, combatte contro Venezia la guerra di Ferrara;
1485-86, porta un valido aiuto a Ferdinando I nel corso della "guerra dei baroni";
1487
ristabilisce il dominio milanese su Genova (ribellatasi dal 1477);



1494-1500, duca di Milano;






 
1487
-


1487
Mantova
Francesco II Gonzaga
Albero genealogico
(n. 1466 - m. 1519)
figlio di Federico I e di Margherita di Baviera;
1484-1519, marchese di Mantova;
succeduto al padre, si avvicina alla Serenissima pur cercando di mantenere il buon vicinato con Milano;

1487
-

1487
REPUBBLICA DI VENEZIA
"La Serenissima"
Agostino Barbarigo
Albero genealogico
(Venezia, 1419 – Venezia, 20 set 1501)
figlio di Francesco e di Cassandra Morosini; ha tre fratelli (di cui uno doge, Marco, suo predecessore);
1486-1501, doge di Venezia; [74°]



- nunzio pontificio: ? (? - ?)
- ambasciatore di Spagna: ? (? - ?)

1487
all'improvviso il duca d'Austria Sigismondo (fratello ??? dell'imperatore Federico) fa arrestare i mercanti veneziani e sequestrare le loro cose nel mercato che annualmente si usa tenere a Bolzano, fa cacciare gli operatori che lavorano nelle miniere d'argento nei monti vicini allo stato austriaco, arrivando infine, con 10.000 soldati tedeschi, a devastare il territorio di Rovereto vicino a Trento; non potendo espugnare la città solo per mancanza di un'artiglieria adeguata, si limitanto a distruggere le case suburbane restando quindi in attesa di migliori opportunità.
Poiché è stata violata la pace senza una dichiarazione di guerra, il senato fa ammassare nel veronese molte truppe dalla Carnia, dal trevigiano e dalla Lombardia, ordina la leva di nuovi soldati, destina provveditori in campo Pietro Diedo prefetto di Verona e Girolamo Marcello, chiamando dalla Romagna Giulio Varano signore di Camerino che tiene il supremo comando delle forze della Repubblica. I tedeschi però, cresciuti di numero e provvisti ora della necessaria e giusta artiglieria, riescono dopo vari assalti ad impadronirsi di Rovereto. Il suo rettore Niccolò Priuli si ritira nella rocca sperando di ricevere soccorso.
Il senato, dubitando che il Varano possa avere la necessaria conoscenza militare per affrontare la guerra, invita Roberto Sanseverino ad assumere unitamente a lui il comando.
I tedeschi continuano nelle loro scorrerie comparendo sui monti del vicentino, di Feltre; anche nel Friuli dove però vigila con attenzione il nobile veneziano Girolamo Savorgnan il quale, raggiunte con i suoi paesani le sommità dei monti, non solo si difende ma mette pure in fuga i tedeschi.
Rovereto non ce la fa a resistere e cade; il Sanseverino riesce a tendere un'imboscata ai tedeschi, anche se provoca un reciproco spargimento di sangue: a lui stesso il figlio salva la vita mentre il Varano esce dal campo ferito. I tedeschi, senza soldi e senza viveri, desistono alla fine dai loro attacchi e ritornano alle loro case, dopo aver tuttavia incendiato il castello di Rovereto.
Allontanati e dispersi i tedeschi e accresciuto l'esercito con la leva operata in Romagna, il generale pensa di impossessarsi di Trento, passo importante della Germania, ed espone il suo progetto ai provveditori. Mentre Luca Pisani (ha sostituito Pietro Diedo ritornato alla prefettura di Verona) è di parere contrario, il provveditor Girolamo Marcello è favorevole all'idea, anzi spinge lo stesso generale ad effettuare l'impresa. Alla fine, convertitosi all'idea anche il Pisani, viene rimessa alla prudenza del Sanseverino la decisione dell'attacco alla città. Non riesce tuttavia la sorpresa e quando i trentini si accorgono della cavalleria nemica inviano solleciti i messi a Giorgio, signore di Pietrapiana, castello sopra Trento, per avere soccorso. Questi unisce alle proprie le genti di Besino, grosso villaggio sopra Calliano, comparendo sopra i monti vicini con mille uomini ma divisi in più truppe e facendo credere che il loro numero sia maggiore del reale.
Il panico si appropria così dei cavalieri veneziani e mentre il Sanseverino cerca di rincuorarli, viene travolto dalla calca e spinto nel fiume dove muore. A questo punto, mancando il comandante, per i tedeschi è facile sconfiggere i veneziani che lasciano sul campo più di 1000 soldati. Nella confusione generale solo Guido Maria de' Rossi riesce con la sua compagnia a respingere il nemico tedesco obbligandolo a ritirarsi con gravi perdite.
Il papa invia Paris vescovo di Osimo a Sigismondo prima e poi a Venezia per esortarli alla pace; il senato non accetta. Ad un certo punto Sigismondo, non potendo più oltre reggere la guerra, accetta le condizioni di pace con cui si restituiscono le cose occupate ai loro possessori primitivi, si risarciscono i danni procurati ai mercanti veneziani mentre per il resto ci si rimette alla decisioni del papa.



1487
Firenze
Lorenzo de' Medici [il Magnifico]
Albero genealogico
(Firenze 1449 - 1492)
figlio del banchiere fiorentino Piero e di Lucrezia Tornabuoni;
1466, inizia l' avventura dell'allume che sarà uno dei motivi principali del crollo di casa Medici;
1469-92, signore di Firenze;
alla morte del padre ha solo 21 anni ed è quindi costretto ad affidarsi all'esperienza di Francesco Sassetti che finisce per diventare l'arbitro assoluto dell'impero economico di famiglia;
nel 1475 viene in urto con Sisto IV e ai Medici viene tolto l'incarico di depositari generali della Santa sede, ora affidato al genovese Melladuce Cigala;
nel 1477 si assicura il commercio del ferro stipulando un contratto con il signore di Piombino proprietario delle miniere dell'isola d'Elba;
nel 1478 prende corpo la "congiura dei Pazzi";
il centinaio di esecuzioni che punisce l'assassinio scatena il papa che scomunica Lorenzo e muove guerra; 
le fortune economiche dei Medici sono ormai tramontate e, a catena, il dissesto si propaga a tutte le proprietà dei Medici; ogni intervento, lecito e non, è inutile;
nel 1485, per ripagare i figli del cugino Pierfrancesco, è costretto a cedere loro tra l'altro la villa di Cafaggiolo dalla quale prende nome il suo ramo;
 
1487
-


1487
ducato di Urbino
Guidobaldo I
Albero genealogico
(Urbino 1472 - Fossombrone 1508)
figlio di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza;
1482-1508, duca di Urbino;
[sotto la tutela del conte Ottaviano Ubaldini e la raffinata educazione dell'umanista Ludovico Odasio;]
1486-89, iniziata giovanissimo, come tradizione di famiglia, la carriera delle armi combatte nella Marca, in Romagna e in Umbria contro feudatari e città ribellatesi a Innocenzo VIII;
 
1487
-



1487
REGNO di NAPOLI e REGNO di SICILIA
Ferdinando I o Ferrante
Albero genealogico

(1431 ca - Napoli 1494)
figlio naturale di Alfonso V [il Magnanimo];
1443-58, duca di Calabria;
[titolo spettante tradizionalmente agli eredi al trono di Napoli.]
nel 1445 sposa Isabella di Chiaramonte;
1454, con la pace di Lodi egli intende mantenere per la penisola lo status quo consacrato;
1458-94, re di Napoli;
succeduto in base alle disposizioni testamentarie del padre, l'ascesa al trono gli viene contestata da più parti:
- da papa Callisto III, signore feudale del regno di Napoli che si rifiuta di riconoscere i diritti di un bastardo;
- da molti baroni favorevoli ad appoggiare le pretese angioine al trono napoletano;
alla morte di Callisto III viene invece riconosciuto dal successore Pio II, cui sta a cuore la pacificazione dei cristiani per poter rilanciare la crociata contro gli ottomani;
il riconoscimento avviene però previa cessione della città di Benevento e corresponsione puntuale del censo che il regno deve alla curia;
non cessa invece l'opposizione dei nobili filoangioini, appoggiati da Genova, che invitano nel napoletano Giovanni d'Angiò perché vi faccia valere i suoi diritti, e al suo fianco si schierano due codottieri illustri, Iacopo Piccinino e Sigismondo Malatesta;
l'intervento di Francesco Sforza al fianco di Ferdinando, l'appoggio di Pio II, l'aiuto apportato dal principe albanese Giorgio Scanderberg salvano il trono aragonese;
nel 1465 cessa ogni resistenza baronale e angioina;
sua figlia Leonora va in sposa a Ercole I d'Este, duca di Ferrara, mentre una sua figlia naturale sposa Leonardo della Rovere, nipote di Sisto IV;
nel 1467 sottoscrive insieme con Milano, Firenze e il papa una lega difensiva che lo assicura contro Venezia;
nel 1478 l'alleanza con Sisto IV e gli interessi espansionistici verso la Toscana meridionale lo fanno coinvolgere nel complotto contro i Medici e nella guerra che ne segue; nello stesso tempo, temendo il prepotere in Milano del ministro Cicco Simonetta, gli fa appoggiare il colpo di stato di Ludovico [il Moro];
nel 1480 la diplomazia tempestiva di Lorenzo [il Magnifico] lo induce a imporre al papa la pace con Firenze;
nuova lega tra Milano, Firenze e Napoli;





Alfonso II
Albero genealogico

(Napoli 1448 - Mazzara, Messina 1495)
figlio di Ferdinando e di Isabella di Chiaromonte;
1458-94, duca di Calabria;
nel 1465, riprendendo la politica di riavvicinamento ai duchi di Milano, sposa Ippolita Maria figlia di Francesco Sforza;
1478-79, nella guerra che segue alla congiura dei Pazzi, viene inviato come gonfaloniere a combattere contro Firenze;
1480-81, si distingue contro i turchi che hanno occupato Otranto;
1482-84, si distingue nella guerra di Ferrara;
nel 1485 concede in moglie la figlia Isabella al duca Gian Galeazzo Sforza;
nel 1486, in occasione della congiura dei baroni, sostenuta da Innocenzo VIII, riesce a superare vittoriosamente la crisi costringendo il papa alla pace e dominando i nobili;



1494-95, re di Napoli;




1487
-

 

La congiura dei baroni

Gennaio
6
, Antonello Sanseverino, principe di Salerno, torna di nuovo a Napoli per presentarsi al re in tarda serata e partire per Roma la mattina successiva;
[Secondo una cronaca romana, egli giungerà a Roma il 17 gennaio 1487. È certo che il 26 giugno successivo, appreso che a Napoli il figlio è stato catturato insieme ad altri, egli si trasferirà a Venezia, dove gli sarà consigliato di riparare in Francia.]
7, l'oratore estense Battista Benededei riferisce che da quando è a Napoli (ossia 5 anni) non ha mai visto la corte
«cussì triunfante et fiorita de tanti baroni et tanti signori capitanei, lombardi et romani»;
10, l'oratore estense Battista Benededei descrive la condizione di Francesco Coppola, conte di Sarno, e le numerose intercessioni che sono pervenute in suo favore alla corte: «Ha etiam molte intercessori et presertim el populo, perché sotto lui vivevano gente assai, et per le cose marittimme et terrestre, maxime per li panni
de lana che facea in grandissima quantità, et havea parte et traffico in omni digna mercantia, permo’ che a questa città era de honore assai
».

Dopo la sua fuga a Roma, all’inizio dell'anno, per mettere in ulteriore difficoltà il sovrano il principe di Salerno dice al papa che Ferrante desidera gli sia rimesso il censo e che il figlio Federico ottenga il cardinalato, «cosa che – sottolinea l’oratore estense – è tanto aliena del vero quanto che ’l diavolo sii bono».
[Subito dopo la cattura gli abitanti di Gallipoli, soggetti al principe
di Taranto, sono stati informati dell’accaduto e lo stesso Federico ha scritto loro al momento del rilascio, il 15 dicembre 1485.]

Lo stesso mese vengono arrestati:
. Pier Berardino Caetani, conte di Morcone;
[In realtà è stato il padre, conte di Fondi, e uno tra i baroni più fedeli al re da vecchia data, a chiedere a Ferrante di procedere a
un arresto cautelativo. Onorato Caetani si sente minacciato e, «per non stare ad ogn’hora con lo cortello alla canna», ha prospettato o di lasciare il regno, o di far uccidere il figlio.
La soluzione escogitata è senz’altro la più vantaggiosa per il conte, ma dà ulteriore carico al re.
Qualche mese più tardi lo stesso conte di Fondi si convincerà che il sovrano intende espropriarlo delle fortezze.
Il 26 marzo successivo sarà intanto giustiziato un uomo per aver cercato di favorire l'evasione di Pier Berardino Caetani.]
. Francesco Spinelli, barone di Roccaguglielma, cugino del precedente.
[Poco tempo dopo sarà squartato un complice per aver tentato di farlo fuggire.]
Al momento dell’arresto il conte e il cugino si trovano in Castelnuovo con gli altri baroni, che rimangono atterriti e pensano di subire la medesima sorte. Pier Berardino Caetani sta giocando e ha appena vinto una scommessa di oltre cento ducati, la quale per ironia della sorte gli ha fatto pronunciare le seguenti parole: «Dio me facia da bene, perché sempre soglio perdere».

Lo stesso mese – secondo alcune fonti – muore in carcere Pier Berardino Caetani, conte di Morcone, disgustato per essere stato ‘tradito’ dal padre.
[La notizia non trova altre conferme e va considerata con la debita cautela.]

[Nei primi mesi del 1487 gli ambasciatori residenti a Napoli accennano ai ribelli con minor frequenza rispetto al passato e ogni volta con affermazioni assai generiche.]

Aprile
durante le festose celebrazioni di alcuni matrimoni tra casa reale e membri delle famiglie baronali fedeli e la consegna delle insegne dell’ermellino al condottiero Virgino Orsini, qualcuno riferisce che si sta preparando anche un altro tipo di «horendissimo spectaculo», ossia la decapitazione, che si prevede nuovamente nella piazza del mercato, «del meschino secretario et del conte di Sarno»;
in molti dell’ambiente di corte pensano invece che il segretario e il mercante avranno salva la vita, ma non vale nemmeno l’intercessione della duchessa di Calabria presso Lorenzo [il Magnifico], affinché convinca il re a graziare Francesco Coppola.
[Non si conoscono i motivi che hanno indotto la duchessa Ippolita Sforza ad esporsi in favore del mercante.]

La moglie di Aniello Arcamone è scarcerata quasi subito; il figlio già poche settimane dopo la cattura ha la concessione regia di «ire per el castello a suo beneplacito» e questo mese di aprile è completamente libero a fronte del versamento di 10.000 ducati di cauzione.
Declassato nel titolo nobiliare (la contea di Borrello è ora donata dal re a Ludovico [il Moro]), privato di buona parte delle ricchezze, Aniello Arcamone ha salva la vita e nei suoi anni di detenzione godrà di ampie concessioni e permessi di libera uscita. Lo stesso anno è spostato dalla Torre di San Vincenzo a una più agevole camera in Castelnuovo.

Maggio
11, su un palco allestito nella cittadella di Castelnuovo, viene eseguita la sentenza capitale del segretario Antonello Petrucci e di Francesco Coppola, conte di Sarno. Il primo è sepolto nella sua cappella in S.Domenico, il secondo in S. Agostino.

Chi più chi meno, tutti i ribelli sono sorvegliati da tempo.
Non sono passate inosservate le vendite di bestiame da loro effettuate nel tentativo di disporre di denaro liquido da portare con sé; si sa di ambascerie segrete inviate nel regno dal principe di Salerno e dal cardinale di San Pietro in Vincoli, e sono anche state intercettate lettere che sottolineano l’intenzione di raggiungere Roma per mettersi in salvo e preparare poi un grande ritorno.
[Aggiungendo sospetto al sospetto, la corte ha appreso i contenuti di una lettera del principe di Salerno alla consorte, in cui la sollecita a non badare a spese e farsi condurre il più presto a Benevento.]
A sollecitare la fuga è Antonello Sanseverino, il quale
preme perché i suoi parenti, e in particolare il cugino Carlo, conte di Mileto, scorti fuori del regno il piccolo Roberto Sanseverino, erede del principato di Salerno. La sua azione, condotta da Roma, è appoggiata da un illustre barone di origini valenzane, fuoriuscito e riparato a sua volta in Sicilia: Antonio Centelles, che continua a fregiarsi del titolo di marchese di Cotrone, appartenuto all’omonimo padre, ha pagato mille ducati al comandante
di una nave perché raggiunga Napoli e imbarchi i ribelli.
La via di terra, attraverso il passo del Garigliano, anche se sfruttata con successo da un altro fuggitivo, Matteo di Marano, non è giudicata la soluzione migliore: si tratta di farvi transitare un numero di uomini e bestie da soma che non passerebbe certo inosservato.
Nemmeno la proposta di fuggire su una galea da Pozzuoli rassicura i baroni; essi chiedono in appoggio un’imbarcazione più grande. Quella noleggiata a Messina da Matteo Perpignano, spagnolo e uomo di fiducia di Antonio Centelles, è perfetta,
ma una volta nel porto di Napoli il capitano Giovanni de Guevara si ammala e Ferrante lo fa arrestare, insieme allo stesso Matteo Perpignano.

Durante l’estate le ‘retate’ principali sono due, cui si aggiungono altri fermi, condotti alla spicciolata.
I primi arresti hanno luogo in giugno.

Giugno
8
, iniziano gli interrogatori;
[Il secondo processo ha luogo tra l’8 giugno e il 16 luglio 1487; sarà stampato il 30 giugno 1488 e nuovamente il 18 dicembre dello stesso anno.]
A ciascun teste:
. Giovanni de Guevara,
. Matteo Perpignano,
. Ruggero Cozza,
. Carlo Sanseverino,
. Paolo Ferrillo, braccio destro dei principi di Bisignano,
. Salvatore Zurlo, braccio destro dei principi di Altamura.
. Sigismondo Sanseverino,
è posta la medesima domanda: viene chiesto come e quando
sia stata organizzata la fuga di Carlo Sanseverino, conte di Mileto, e del figlio del principe di Salerno.

Appreso da questi interrogatori che i primi a tentare la fuga sono stati il conte di Mileto col figlio del principe di Salerno, il sovrano ordina anche la loro cattura, oltre a quella dei più stretti collaboratori di altri due importanti feudatari sospettati.
[L’ingenuità dei baroni forse è da individuare proprio
nell’incapacità dei superstiti di pianificare o affrettare la fuga, dal momento che tra le due catture sono trascorse almeno tre settimane.]

estate, al nunzio papale Pietro Menzi, giunto ora a Napoli, dopo che il re ha disatteso tutti gli accordi (ci sono state due ondate di
arresti, alcuni baroni sono stati processati e altri addirittura giustiziati), Ferrante risponde senza possibilità di replica che non intende pagare il censo e che i crimini commessi recentemente dai suoi baroni non sono garantiti dagli accordi di pace dell’anno prima.
[Tra schermaglie e compromessi, si arriverà a una composizione solo il 27 gennaio 1492.]

 

Luglio
4
, «adì IIII de iuglio 1487, ad hore 22, – così scrive notar Giacomoessendose facta la iostra in lo fosso del castello, per ordinacione de la maestà predicta foro prisi in lo Castello Novo lo principe de Altamura, lo prencepe de Bisignano, la contessa de Sancto Severino la vecchia, lo conte de Lauria con lo figlio, signore Berardino; lo conte de Ogento, lo duca de Melfe et multi altre persune».
[Quest’ultima affermazione, con la chiusa che rimanda a un numero imprecisato di personaggi coinvolti, fa capire come anche la rosa dei nuovi prigionieri sia difficile da stabilire.]
La corte incarcera quindi altri sette leader della rivolta:
. Pirro Del Balzo, principe di Altamura;
. Angilberto Del Balzo, conte di Ugento, suo fratello;
. Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano;
. Giovanna Sanseverino, la contessa vecchia;
. Barnaba Sanseverino, conte di Lauria, figlio della contessa;
. Berardino Sanseverino, nipote della contessa;
. Giovanni Caracciolo, duca di Melfi.
6, nella lettera alla figlia Eleonora, duchessa di Ferrara, il sovrano spiega che il progetto baronale è deleterio per chiunque desideri
vivere pacificamente. A essere in pericolo è sì il regno aragonese, ma pure l’Italia e la cristianità, le quali sarebbero poste in nuovi tumulti e messe in serio pericolo dall’intenzione dei ribelli di chiamare in soccorso i Turchi.
Per questo istituisce un secondo processo – che si premura di sottolineare ha scopo «informativo e non condannativo – e ne invia copia presso le maggiori potenze italiane e straniere.
Precisa più volte che la sua azione è dettata dal bisogno di sicurezza e non da «cupidità de robba»: avere il controllo
delle fortezze non vuole essere un modo per annullare la feudalità.
Costume regio è creare «nòvi baroni, non disfare li vecchi», e per
questo sono sempre stati «confortati ad stantiare in Napoli, […] accarezzandoli et honorandoli continuamente, più presto como figlioli che como subditi».
Con due metafore mediche assai colorite, quasi sicuramente da
attribuire all’arguto Giovanni Pontano, la corte dichiara di aver sperato «con lo tempo et con piacevoli modi, non solo le piaghe seriano sanate, ma etiam extricate le cicatrice de quelle»; purtroppo la fiducia accordata non è stata ripagata, e per questo si ammette che,«non bastandoce grati e piacevoli cibi, siamo constricti ad usare medicine et remedi de ammalati, anche de
infirmitate disperate et incurabile
».

La corte vuole ora conoscere le modalità della fuga dei rimanenti ribelli e il grado di coinvolgimento di Giovanni Caracciolo, duca di Melfi.
Oltre che al diretto interessato e al suo cancelliere, Francesco di Ripacandida, ne chiede conto a:
. Ludovico Spallato de Vigiliis,
. GirolamoSanseverino,
. Barnaba Sanseverino,
. Pirro Del Balzo,
. Angilberto Del Balzo,
. Antonio Damiano (medico),
. Berlingeri Caldora.
Anche questi rivoltosi, come i precedenti, cercano di salvare se stessi o di attenuare il grado di colpevolezza additando i compagni, ma poiché l’intento regio sembra non sia tanto di accusarli, quanto di conoscere la verità e sondare se siano rimasti in circolazione altri elementi potenzialmente pericolosi, essi non ottengono alcuno sconto di pena.
La sentenza del resto non viene mai pronunciata: a Ferrante basta tenerli in carcere, dove non potranno più nuocere alla Corona.
Se si guardano i nomi di coloro che saranno liberati prima del 1494 è evidente che si tratta dei baroni meno prestigiosi.
I vertici della rivolta sono tutti al sicuro. Non sono stati uccisi,
ma l’annientamento politico di fatto risulta una condanna quasi peggiore dell’eliminazione fisica.

 

Tabella 2: Baroni arrestati nell’estate 1487
 
FONTI
ARRESTATI
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
Pirro Del Balzo
x
x
x
x
x
x
x
x
Angilberto Del Balzo
x
x
x
x
x
x
x
Giovan Paolo Del Balzo
x
Girolamo Sanseverino
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Barnaba Sanseverino
x
x
x
x
x
x
x
Berardino Sanseverino
x
x
x
x
x
Giovanna Sanseverino
x
x
x
x
x
Roberto Sanseverino
x
x
x
x
x
Carlo Sanseverino
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Giovanni Caracciolo
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Costanza da Montefeltro
x
Andrea M. Acquaviva
x
Salvatore Zurlo
x
x
x
x
x
x
x
x
x
frate Paolo di S. Agostino
x
Paolo Ferrillo
x
x
x
x
x

Fonti:
01. lettere regie a G. Albino;
02. lettera del re alla figlia Eleonora;
03. istruzioni regie;
04. dispacci dell’oratore estense;
05. dispaccio dell’oratore fiorentino;
06. Lettera duca di Milano ad Ascanio Sforza;
07. Raimo, Annales;
08. notar Giacomo, Cronica;
09. Passero, Giornali;
10. Fuscolillo, Croniche.

01 - Si tratta di tre dispacci inviati a Giovanni Albino, tutti a firma del segretario Giovanni Pontano; due sono di Ferrante (4 e 6.VII.1487) e uno è del duca Alfonso (7.VII): Albino,
Lettere, pp. 120-123 e pp. 127-129.
02 - Il 6 luglio Ferrante scrisse alla figlia Eleonora d’Aragona: Figliuolo, Il banchetto, Appendice, n. III, pp. 162-164. Questo dispaccio fu stilato da Giovanni Pontano e per questo motivo il testo è molto simile a quello dei documenti citati nella nota precedente.
03 - Le due istruzioni di Ferrante erano dirette ad altrettanti suoi rappresentanti, Geronimo Recco e Vincenzo da Nola, inviati rispettivamente ai re di Ungheria e di Spagna per spiegare le motivazioni dei nuovi arresti: Volpicella, Regis Ferdinandi, pp. 130-132 e pp. 141-146.
04 - Cfr. tre lettere di Battista Bendedei al duca di Ferrara dell’11.VI, 4 e 7.VII, Paladino, Per la storia, nn. CLXI, CLXII e CLXIII, pp. 288-290.
05 - B. Rucellai il 12.VI.1487 scrisse sia agli Otto di Pratica (ASF,Otto. Responsive, III, c. 266, edizione Pontieri, La politica mediceo-fiorentina, n. 232, p. 284) che a Lorenzo de’ Medici (ASF,MAP,XLIX, doc. 108); lo stesso fece il 7.VII: ASF, Otto. Responsive, III, c. 372, e ASF, MAP, XLIX, doc. 112 (edizione Pontieri, La politica mediceo-fiorentina, n. 239,
pp. 288-289). Rucellai diede molto presto comunicazione dei nuovi arresti al collega Lanfredini che in quel periodo era ambasciatore presso la curia. Quando la notizia giunse al
papa, all’incirca all’ora di pranzo, Innocenzo VIII si alterò molto e non volle parlarne con nessuno: G. Lanfredini a Lorenzo de’ Medici, 7.VII, ASF, MAP, XL, doc. 92.
06 - Resta una lettera del 27.VI.1487, del duca di Milano ad Ascanio Sforza, suo rappresentante a Napoli, per dire di aver appreso della cattura del conte di Mileto e del figlio del principe di Salerno: ASMSPE, Napoli, 247, s.n.
07 - Nella ricostruzione del Raimo, Annales, p. 240, ci sono alcuni errori di identificazione: il conte di Lauria è chiamato «Bernardo de San Severino» in luogo di Barnaba (Berardino
è il figlio) e subito dopo scrive che il figlio di Lauria è «Anghilberto Del Balzo», conte di Ugento. Tra i catturati di luglio (ma la fonte riporta il mese di giugno!) è posto «il
figlio del conte di Noja, chiamato Gian Paolo Del Balzo»: Giovanni Paolo Del Balzo era conte di Noia ed era figlio di Angilberto. Per concludere, Raimo segnala tra gli arrestati
anche la principessa di Salerno, assieme ai figli.

Le fonti più sicure restano le istruzioni e i dispacci regi; le lettere dell’oratore estense, seguite da quelle posteriori e superstiti del fiorentino e del duca di Milano.
In coda sono state inserite le cronache: a eccezione di quella di notar Giacomo, esse mostrano le maggiori oscillazioni e sulla loro attendibilità è bene nutrire qualche riserva.

[Elisabetta Scarton, La congiura dei baroni del 1485-87 e la sorte dei ribelli. www.academia.edu
Periodo considerato: 1484-1495.]

Alcune affermazioni della corte sono solo delle mezze verità, in particolare quelle inerenti il disinteresse verso la «robba» dei feudatari. Nonostante si dichiari che le rendite ordinarie sono sufficienti a mantenere l’opulenza della Corona, sono in molti a credere che le confische frutteranno qualche decina di migliaia di ducati, e si vocifera che i più ricchi siano la contessa vecchia, il principe di Bisignano e il duca di Melfi.
Ferrante ha reso noto che i figli dei ribelli – a eccezione di quello
del conte di Lauria – sono tutti liberi, «tenuti in careze» e intitolati
degli stati paterni, con le rispettive entrate e giurisdizioni.

La realtà dei fatti è un po’ diversa.
In mancanza di eredi, come nel caso del conte di Mileto, le terre sono poste in mano a officiali regi; simile sorte tocca ai beni del principe di Bisignano e del principe di Salerno, con la giustificazione che i figli sono troppo giovani per succedere al padre.
[È comunque interessante notare che nel dicembre del 1486 i figli del principe di Bisignano non sono stati considerati poi tanto giovani; il primogenito è stato eletto camerario regio, mentre il secondogenito è stato posto al servizio del duca di Calabria.]

L’intero stato del principe di Altamura è già nelle mani del sovrano: Isabella Del Balzo, un tempo promessa al defunto don Francesco, nel maggio del 1487 li ha portati in dote al secondogenito del re, Federico, il quale li ha a sua volta rimessi
nelle mani del padre, assieme al principato di Taranto.
Il figlio del duca di Melfi – che con la madre ha strenuamente difeso la rocca e l’ingente patrimonio fino al 18 luglio – si vede riconsegnare tutte le terre, a eccezione di due fortezze (tra cui Melfi); riottiene il bestiame e i beni mobili, ma non il denaro, trattenuto assieme a circa 700 carri di grano.
Pure il figlio del conte di Ugento rientra in possesso dello stato paterno, decurtato della città di Nardò.
Commissari regi sono inviati «a pigliare la corporale possessione delli detti stati […] et defennere tutti li beni loro».
Ogni cosa deve essere inventariata e venduta al maggior prezzo possibile, oppure affittata e tassata. Se si trovasse «qualche cosetta electa et gentile», si deve avvisare personalmente il sovrano prima di procedere alla vendita.
[Le vendite riguardano il bestiame (a eccezione di giumente e cavalli) e le derrate alimentari (grano, legumi, olio e vino);
mulini, abitazioni, vigne, prati e similari devono essere arrendati o affittati per un anno.
Un funzionario erariale e un credenziere devono riscuotere a nome della Corona tutte le entrate e i diritti baronali.]

Agosto
-

Settembre
-

Chi si salva da questo nuovo sconvolgimento è il marchese di Bitonto, il quale è «non solamente preservato de tale detenctione, ma tractato honoratissimamente ».
Ferrante dichiara infatti che Andrea Matteo Acquaviva, per essersi mantenuto fedele dopo la firma della pace, è stato nominato
gran siniscalco e gli sono state restituite le fortezze.
Dal momento che gli abitanti di Bitonto «non lo volevono per odio», e come quelli di Salerno preferiscono stare in demanio, il titolo di cui si fregia gli viene commutato in quello di marchese di Martina.
Dalla corte viene ignorato anche il cognato di Andrea Matteo Acquaviva, Berlingeri Caldora, che era entrato nella ribellione nel novembre del 1485 e a fronte del suo impegno ha ottenuto in sposa la sorella del marchese;
12, Berlingeri Caldora è libero e prende parte a una giostra in Castelnuovo;

Dopo il giuramento di fedeltà al sovrano, rimasti in pochi, in parte spogliati delle terre e fortezze, consapevoli di essere controllati, i baroni non si rendono più protagonisti di grandi azioni collettive o di manovre di disturbo verso la Corona.
Come emerge durante i processi, essi vanno ripetendo:
«Hogie tucti stamo senza le castelle, pegio che privati, et in le terre et stati nostri simo reputati baglivi […], perché havemo perduta la obedientia».
La loro colpa maggiore nel corso del 1487 è stata quella semmai di tentare di sopravvivere ed elaborare un piano di fuga. La vecchia contessa Giovanna Sanseverino aveva infatti suggerito che tutti i baroni lasciassero il regno, a eccezione del figlio Barnaba Sanseverino, conte di Lauria, e del duca di Melfi, le cui fortezze, molto ben difendibili, avrebbero permesso loro di rinserrarvisi in attesa dell’arrivo del duca di Lorena.
Giovanna Sanseverino andava asserendo che «quando avessero fatte salve le persone loro, sempre recuperariano li stati con li tempi, perché ogni dispositione se muta».

Nel 1486 il più pericoloso era stato individuato in Francesco Petrucci; dopo gli ultimi arresti, è Antonello Sanseverino, principe di Salerno, a essere demonizzato, ma ci si rende presto conto, a conclusione del secondo processo, che tra i baroni la personalità più temibile è proprio quella della contessa vecchia Giovanna Sanseverino. Costei, che nel 1486 era ancora giudicata «molto savia e prudentissima», solo pochi mesi dopo è additata da ciascuno, e persino dal figlio Barnaba Sanseverino, come «la peggiore de tucti, et havea saputo ogni cossa et, se l’havesse voluto, havrìa possuto obviare a multi mali et inconvenienti, dove li aiutava et nutriva».
Mentre da Roma il nipote Antonello Sanseverino prepara la controffensiva ed esorta i ribelli a raggiungerlo, a Salerno la contessa stabilisce chi farà cosa, in quale modo e con quali tempi; quindi manda messi ai principali signori, oppure li convoca personalmente nella sua residenza per convincerli ad aderire al progetto.
Durante il processo tutti gli inquisiti puntano l’indice contro di lei (e in piccola parte anche contro sua sorella Margherita Sanseverino, contessa di Capaccio) attribuendole un ruolo primario: con buona probabilità è una tattica.
Giovanna Sanseverino ritiene che la sua veneranda età la metta al riparo dai sospetti e a maggior ragione dal carcere.
Lo stesso forse pensano gli altri ribelli quando si vedono incarcerati: scaricarle addosso molte delle responsabilità permetterà loro di discolparsi, almeno in parte, a scapito di un’anziana verso la quale si pensa che Ferrante potrebbe essere clemente. Certo è che la donna non subisce l’interrogatorio,
o almeno nel processo non ve n’è traccia alcuna
.

I ‘crimini’ e i moventi vanno dunque cercati prima del 1487, e ne è consapevole lo stesso Alfonso, duca di Calabria, quando asserisce che la promessa di matrimonio tra suo fratello e la figlia del principe di Altamura «era sta’ causa de tucti quisti mali suspecti che erano fra quisti baroni».

Novembre
18
, mentre Pirro Del Balzo è già in carcere, viene celebrato lo sposalizio tra Federico d’Aragona e Isabella Del Balzo.
Le nozze del principe con Lucrezia d’Aragona (un tempo promessa al duca di Urbino) sono invece procrastinate a lungo, divenendo motivo di sospetto.
[Il parentado tra Francesco d’Aragona e Isabella Del Balzo, secondogenita di Pirro Del Balzo, era stato concordato sin dal 1483 e aveva scontentato sia il padre della giovane sia il cognato. Per volontà di Ferrante il contratto prevedeva infatti
che la casa reale entrasse in possesso del principato di Altamura; una terra e un titolo che di diritto spettavano alla figlia primogenita, Gisotta Ginevra Del Balzo, andata in sposa a Pietro de Guevara. Quando nel maggio del 1485 aveva cominciato a pretendere con maggiore insistenza di disporre dei beni dotali, il re aveva rinforzato la convinzione della feudalità che la reintegrazione delle terre nel demanio fosse cosa concreta. Ma anche la corte, dal canto suo, nutriva dei timori. Il principe di Altamura era considerato il più importante tra i baroni: egli godeva dei titoli di duca di Andria e Venosa, oltre che dell’ufficio di gran connestabile. Tenerlo ben disposto significava assicurarsi che anche gli altri si mantenessero fedeli alla Corona e non si producesse un pericoloso effetto domino. Per riuscirvi Ferrante ha offerto in moglie al principe, rimasto vedovo, la figlia naturale Lucrezia ottenendone in cambio una nuova terra – la futura Torre Alemanna (Foggia) – importantissima per la dogana delle pecore, mentre il matrimonio è destinato a rimanere uno strumento paragonabile a uno specchietto per allodole.]

Salvatore Zurlo, uomo di fiducia di Pirro Del Balzo, confessa che questi è scontento del re per due motivi:
- per essere rimasto privo dello stato, passato in toto nelle mani del genero, figlio di Ferrante;
- per sentirsi dileggiato nella promessa di avere in moglie Lucrezia d’Aragona.
Simile la testimonianza di un cancelliere del principe, tale Ludovico Spallato de Vigiliis.
Poche settimane prima della seconda ondata di arresti, Lucrezia d’Aragona è stata promessa anche al principe di Bisignano, per il figlio primogenito.
[Nel 1491 a proposito del principe di Altamura la corte dirà: «Benché paia grossolano, è homo maligno, et di ogni male è stato lui prima e principale causa, […] pretendeva lui farsi re».
(P. Nasi a Lorenzo [il Magnifico], 4.VIII.1491, Corrispondenza ambasciatori fiorentini, VI, n. 97, p. 135.)

Pirro Del Balzo molto probabilmente è stato colui che ha incoraggiato l’adesione alla congiura del fratello Angilberto Del Balzo, dei nipoti Giovanni Paolo e Guglielmo, nonché del genero Pietro de Guevara. Molto vivace è stata la sua partecipazione soprattutto dopo che la sollevazione di Salerno ha reso manifeste le intenzioni e i nomi dei ribelli. Con alcuni compagni egli si è fatto infatti promotore di numerose scorrerie e incursioni a danno
dei territori regi in Puglia: «El principe di Altamura, marchese di Bitonto e gran sinischalcho cum pocha gente non restano di stuzzichare el vespaio e molestano alchuni luoghi loro comodi».
[La motivazione che ha spinto Angilberto Del Balzo ad aderire molto probabilmente era legata al fatto che Ferrante non gli aveva più restituito la cittadina di Nardò, recuperata dopo essere stata occupata dai Veneziani nel 1484, insieme a Gallipoli e altre terre del litorale pugliese. (G. Lanfredini ai Dieci di Balia, 27.VIII e 1.IX.1485, Corrispondenza ambasciatori fiorentini, II, n. 162 e 170, pp. 255 e 274).]

Antonello Sanseverino, generalmente riconosciuto come uomo
«molto sospectoso et di mal cervello», è da temere per la parentela con Giovanni della Rovere (duca di Sora e prefetto di Roma), oltre che per la posizione strategica di alcune sue roccaforti, tra le più importanti del regno, tra Salerno e il Vallo di Diano. Prima che il 19 novembre 1485 la rivolta baronale partisse proprio dalla sua città, circolavano voci che spiegavano l’origine del suo attrito verso la Corona.
I motivi erano fondamentalmente due;
- 1° motivo è il fatto che, se il piano regio di reintegrare le terre demaniali per un raggio di trenta miglia intorno a Napoli era vero (e lo si stava accertando), il principato di Salerno sarebbe stato lambito, se non addirittura minacciato.
- 2° motivo è invece di ordine personale e riguardava le offese più o meno dirette che il cardinale d’Aragona, figlio di Ferrante, gli aveva indirizzato quando era stato a Salerno per il battesimo del figlio Roberto Sanseverino.
[Il cardinale d’Aragona aveva trovato che il principe e la sua famiglia stavano occupando il palazzo episcopale per l’incomodità della rocca. Il prelato lo aveva invitato ad allontanarsi, adducendo come pretesto il fatto che non intendeva dividere quegli alloggi con delle donne e aveva rincarato la dose criticando l’incompletezza del molo cittadino, i cui lavori erano stati avviati alcuni decenni prima.]
Tali presupposti, insieme ai timori per la stabilità della casata, numerosa e molto radicata sul territorio, lo indussero a proporsi come leader della cospirazione.
A lui – sostenuto dalla nonna Giovanna Sanseverino – si deve quasi certamente il coinvolgimento del fratello Giovanni Sanseverino (conte di Tursi), dei cugini principe di Bisignano e conte di Mileto (rispettivamente Girolamo Sanseverino e Carlo Sanseverino), oltre che dello zio Barnaba Sanseverino (conte di Lauria).
Tra i Sanseverino si trovano anche altri protagonisti della congiura, attivi fuori dai confini del regno: il condottiero Roberto Sanseverino, conte di Caiazzo, e il figlio Gaspare [Fracassa] Sanseverino. Il conte di Capaccio, Guglielmo Sanseverino, è tra i pochi membri illustri della famiglia a mantenersi fedele alla Corona, ma con ben poca soddisfazione dal momento che, quando nel 1494 diverrà re, Alfonso lo farà incarcerare assieme al figlio e ad altri baroni proprio per presunte colpe legate a quel passato.
[È il caso ad esempio di:
. Restaino Cantelmo, conte di Popoli, che nel 1485 non ha lasciato transitare sulle sue terre Alfonso, diretto in Abruzzo;
. Luise Gesualdo, conte di Conza;
. Guglielmo Sanseverino, conte di Capaccio, e di suo figlio Amerigo Sanseverino.
Nel 1494, morto Ferrante, la successione di Alfonso avverrà tranquillamente, nonostante si tema da un lato una nuova insurrezione baronale e dall’altro il consumarsi della vendetta regia verso coloro che, sia in carcere sia in libertà, sono sospettati di trame antiaragonesi.]

Altro personaggio di spicco dalla condotta ambigua è Giovanni Caracciolo.
[Il duca di Melfi – come osserverà Giuliana Vitale – temporeggiò
ed entrò nella congiura con maggior determinazione dopo la pace dell’agosto del 1486. Fino ad allora – forte della perizia militare che gli era riconosciuta – egli aveva negoziato il proprio ruolo contemporaneamente coi ribelli e col sovrano.
Ai ribelli aveva dettato le prime condizioni alle quali avrebbe aderito alla coalizione già durante il convegno di Miglionico.
Le fonti su questo punto – secondo Giuliana Vitale – sono discordanti. Girolamo Sanseverino testimoniò che il duca per sé chiedeva di essere capitano delle truppe baronali con una condotta di 4.000 ducati e altri 200.000 per 200 uomini d’arme; desiderava che la figlia andasse in sposa al principe di Altamura; che il primogenito avesse la contea di Avellino; che il secondogenito ottenesse uno stato di 1.500 ducati di entrata e altri 1.000 di provvigione e infine che il fratello fosse nominato cardinale. Tra marzo e aprile del 1486 Giovanni Caracciolo aveva avanzato nuove richieste, consistenti soprattutto in beni patrimoniali.]
La corte aveva iniziato a nutrire presto sospetti sul suo conto: il duca era ritenuto pericoloso «tanto per la sufficientia et prudentia sua, quanto pel sito [Melfi], che è importantissimo».
I dubbi nei suoi confronti si erano in piccola parte attenuati quando egli si era presentato al re e aveva addirittura insistito per essere assoldato dalla Lega.
Durante il processo testimoniò di essere riuscito a coinvolgere nella cospirazione anche il conte di Avellino.
[Ciò pone un problema di interpretazione. La contea di Avellino era stata confiscata ai Caracciolo sin dal 1468: detentore delle terre e del titolo era il capitano di galee aragonese Galceran Requesens, ma è possibile che Giovanni Caracciolo si riferisse
al fratello Giacomo, al quale la contea avellinese sarebbe dovuta spettare di diritto. Dalla documentazione non sono emersi riferimenti che indichino Giacomo Caracciolo e Galceran Requesens come aventi un ruolo nella congiura.
Forse quella del duca fu una manovra scorretta, architettata per vendetta verso colui che gli era subentrato alla guida di uno stato di notevole importanza?
Resta il fatto che, anche se il nome di Galceran Requesens non appare tra quello dei ribelli, la sua persona non era del tutto scevra da sospetti. In un’istruzione di Ferrante a Daniele da Isernia, inviato nell’area del Principato Ultra e in Capitanata per riordinare e inventariare le terre e i beni sottratti ai ribelli e incamerati dalla Corona, sono elencati anche gli stati del capitano: le contee di Trivento e di Avellino.

Lo stesso mese l’ambasciatore a Napoli Francesco Valori informa il collega a Roma che negli ultimi giorni alcuni baroni hanno ricevuto un trattamento di favore: «Comprendo che da qualche dì in qua habbino alargato el principe di Altamura, di Bisignano, duca di Nardò et conte di Lauria e che, di più prigione dove stavono, ne habbino facta una, accioché possino insieme conversare».
[Michele Riccio scriverà che i baroni furono lasciati in vita per soli quattro mesi dopo la cattura del 1487; in linea con queste idee sarà anche Angelo di Costanzo, antiaragonese, secondo il quale la corte finse a lungo di devolvere i pagamenti per il mantenimento in carcere dei ribelli al solo scopo di far credere che fossero ancora vivi. Altre fonti sostengono che Ferrante, incitato dal figlio Alfonso, abbia condannato nelle segrete
di Castelnuovo «in vari tempi, e con diverse generationi di morti, tutti li prigioni».]

 

[Elisabetta Scarton, La congiura dei baroni del 1485-87 e la sorte dei ribelli. www.academia.edu
Periodo considerato: 1484-1495.]

 

a





Hektorovic, Petar o Pietro Ettoreo (Hvar 1487-Stari Grad 1572) poeta dalmata;
Libri di Ovidio di una persona innamorata (1528, manoscritto in croato di una sua versione di parte dei Remedia amoris di Ovidio)
La pesca e i discorsi pescherecci (Venezia, 1568, in croato).

Ismā'īl I (Ardabil 1487-1524) scià di Persia (1501-24), fondatore della dinastia safawide;
[Figlio dello sceicco Haydar.]
fece leva sul culto sciita per radunare intorno a sé i seguaci del padre e i capi delle tribù turkmene;
1501, dopo aver vinto in battaglia i turkmeni del Montone bianco (Aq qoyunlu) ed essersi impadronito dell'Azerbaigian, si proclama scià, e nel giro di un decennio sottomette tutta la Persia, l'Iraq, l'Armenia, il Khurasan e la Georgia; 
1514, viene battuto a Cialdiran dagli ottomani, contro i quali ha cercato invano l'aiuto degli stati europei;
è considerato il creatore del moderno stato iranico, il cui elemento unificatore viene da lui trovato nell'islamismo sciita.

Ochino, Bernardino (Siena 1487-Slavkov, Moravia 1565, di peste) frate italiano passato alla Riforma nel 1542.

Olivier, François (Parigi 1487-Amboise 1560) politico francese, nato in un'illustre famiglia di nobiltà di toga e protetto da Margherita d'Angoulême, divenne cancelliere del ducato di Alençon
1523, consigliere del parlamento di Parigi
1536, presidente
1544, guardasigilli
1545, cancelliere di Francia
1551, l'ostilità di Diana di Poitiers, favorita di Enrico II, alla cui prodigalità egli tenta invano di porre freno, lo costringe ad abbandonare la vita politica
1559, torna guardasigilli sotto Francesco II, e sebbene sia ritenuto favorevole al partito ugonotto si schiera nelle guerre di religione con i Guisa, mostrandosi duro nella repressione della congiura calvinista dell'anno successivo (congiura di Amboise).

Ulrico di Württemberg (Reichenweiler, Alsazia 1487-Tubinga 1550) 
1498-1519, duca di Württemberg; schieratosi al fianco dell'imperatore Massimiliano ottiene alcuni ingrandimenti territoriali;
1514, i contadini si sollevano costringendolo ad ampie concessioni;
1519, in appoggio a Francesco I di Francia che aspira all'elezione imperiale, occupa la città imperiale di Reutlingen; la lega sveva e Carlo V invadono allora il Württemberg costringendolo all'esilio;
1520, affidano il governo a Ferdinando I d'Austria; egli si ritira a Montbéliard e si converte al protestantesimo; ell'intento di riconquistare il ducato egli cerca l'appoggio dei principi tedeschi;
1534-50, duca d Württemberg; con l'aiuto di Filippo d'Assia, riottiene il Württemberg a condizione di riconoscere la sovranità della casa d'Austria; rientrato nei suoi domini riorganizza lo stato in senso assolutistico e vi introduce la riforma luterana;
1546, il duca d'Alba, in risposta all'adesione del duca di Württemberg alla lega di Smalcalda, lo sconfigge ed occupa Stoccarda; per mantenere il ducato egli deve allora cedere varie fortezze alla casa d'Austria, che però insisté per la sua destituzione; alla sua morte, il Württemberg, grazie alla mediazione della Baviera, rimane al figlio Ulrico Cristoforo.

Torna su

Stampa

«segue da 1486»
1487
Venezia, esce l'edizione della Vulgata di Giorgio Arrivabene, prima "ristampa" a recare un frontespizio: un foglio con impressa la sola parola "Biblia".
Papa Innocenzo VIII, avvertendo i primi rischi di uno sviluppo dell'attività tipografica al di fuori di ogni controllo, affida al Maestro del Sacro Palazzo, per Roma, e ai vescovi, nelle altre diocesi, l'obbligo di vigilare che non si diffondano libri contrari alla religione e alla morale.
«segue 1488»

Nuova Ricerca