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Benedetto [Bettino] CRAXI

(Milano 24 febbraio 1934 – Hammamet, Tunisia 19 gennaio 2000)

uomo politico italiano, esponente del PSI (Partito Socialista Italiano), collaboratore di P. Nenni;

[Figlio primogenito dell'avv. Vittorio Craxi (1906-1992), antifascista e perseguitato politico, la cui famiglia paterna era originaria di San Fratello (comune della provincia di Messina sui Nebrodi), e di Maria Ferrari, una casalinga di Sant'Angelo Lodigiano (un comune della provincia di Lodi in Lombardia).
Padre di Stefania e di Vittorio [Bobo].] ]

1940-45
durante la seconda guerra mondiale, la famiglia decide di affidarlo al collegio cattolico "De Amicis" a Cantù, sia per il carattere turbolento, sia per allontanarlo dai pericoli che corre a causa dell'attività antifascista del padre che, dopo la liberazione, assume la carica di vice-prefetto a Milano e poi quella di prefetto a Como;

terminata la guerra, frequenta il Liceo ginnasio statale Giosuè Carducci a Milano e inizia ad avvicinarsi giovanissimo alla politica;

1953
entra nella federazione milanese del PSI (Partito Socialista Italiano), diventandone funzionario;

1957
viene eletto nel comitato centrale del PSI;
nel frattempo frequenta la facoltà di giurisprudenza, diventando vicepresidente dell'Unuri, il parlamentino degli studenti;
prosegue la sua ascesa all'interno del PSI;

1960
consigliere comunale a Sant'Angelo Lodigiano;

assessore nella sua Milano;

1965
diviene membro della direzione nazionale del PSI;

1968
5 giugno, eletto deputato (V Legislatura);

1969
avviene il fallimento dell'unificazione socialista (cioè la riunificazione coi socialdemocratici);

1970
diventa vicesegretario nazionale del PSI, su nomina di Giacomo Mancini;
all'interno del partito è un convinto sostenitore di P. Nenni e del centro-sinistra "organico" che in questi anni governa l'Italia;

1972
25 maggio, rieletto deputato (VI Legislatura);
giugno-giugno 1973 (II "governo Andreotti");

con l'elezione di Francesco De Martino a segretario nazionale del PSI, durante il congresso di Genova, egli viene confermato insieme a Giovanni Mosca nel ruolo di vicesegretario, ricevendo l'incarico di curare i rapporti internazionali del partito;
da rappresentante del PSI presso l'Internazionale Socialista stringe legami con alcuni dei protagonisti della politica estera del tempo, da Willy Brandt a Felipe González, da François Mitterrand a Mario Soares, da Michel Rocard ad Andreas Papandreou;

A partire da questa funzione di responsabile del PSI per gli esteri, e per tutto il seguito della sua carriera politica, finanzia alcuni partiti socialisti messi al bando dalle dittature dei rispettivi Paesi, tra cui:
- Partito Socialista Operaio Spagnolo;
- Partito Socialista Cileno di Salvador Allende, di cui è amico personale;
- Partito Socialista Greco.
[In omaggio all'apporto dato ai socialisti cileni, sarà insignito del Premio Allende alla memoria, al Festival del cinema latino-americano di Trieste del 2009.]

 

1973
luglio-marzo 1974 (IV "governo Rumor");

1974
14 marzo-3 ottobre  (V "governo Rumor");
novembre-gennaio 1976 (IV "governo Moro");

1976
12 febbraio-30 aprile (V "governo Moro");
un articolo sull' «Avanti!» del segretario socialista Francesco De Martino causa la caduta del V "governo Moro", provocando le successive elezioni anticipate che si concludono con una crescita impressionante del PCI di Enrico Berlinguer, mentre la Dc riesce a rimanere il partito di maggioranza relativa solo per pochi voti;
per il PSI invece, queste elezioni sono una pesante sconfitta: i voti scendono sotto la soglia psicologica del 10%;
5 luglio, rieletto deputato (VII Legislatura);

segretario del PSI (Partito socialista italiano);

Secondo Craxi, poco dopo la sua elezione a segretario, la popolarità del partito, secondo un sondaggio da lui commissionato, era scesa ai minimi storici del 6% (solo da Mani pulite in poi il PSI scenderà più in basso).[13] De Martino, che puntava ad una nuova alleanza con i comunisti, fu costretto alle dimissioni e si aprì all'interno del partito una grave crisi. Alla ricerca di una nuova identità che rilanciasse il partito, il 16 luglio il comitato centrale si riunì in via straordinaria presso l'Hotel Midas di Roma ed elesse Bettino Craxi, da pochi giorni capogruppo alla Camera, nuovo segretario.

La scelta di Craxi fu frutto di una mediazione fra le varie correnti socialiste che si presentavano fortemente frammentate e quindi incapaci di far emergere un segretario, appoggiato da una solida maggioranza. Emerse così la volontà di eleggere un "segretario di transizione" che guidasse il partito fuori dalla crisi. Il primo a proporre il nome di Craxi fu Giacomo Mancini, che riuscì a far convergere sul suo nome anche i voti delle correnti guidate da Claudio Signorile ed Enrico Manca. Si opposero alla sua elezione soltanto i cosiddetti "demartiniani", ostili a colui che era considerato il "pupillo di Nenni", i quali però al momento delle votazioni preferirono astenersi.

Craxi mostrò immediatamente le sue doti politiche, palesando di essere tutt'altro che un semplice "segretario di transizione". Nominò suoi collaboratori personalità nuove, alcune molto giovani, tanto da dare inizio a quella che sarà chiamata la "rivoluzione dei quarantenni". Si mosse con determinazione ed energia, puntando al rilancio del partito, che "partendo dalla sua grande tradizione, ritrovasse il suo orgoglio e il coraggio di intraprendere nuove strade, di dare inizio a quello che il segretario chiamò "il nuovo corso". Volendo tracciare nuovi sentieri, Craxi si oppose al compromesso storico e delineò per il futuro una linea dell'alternanza fra la DC e il suo partito. Già nei primi anni di segreteria ci fu una rivalutazione del pensiero socialista libertario rispetto al marxismo, una riscoperta di Proudhon rispetto a Marx. Basta leggere un saggio scritto da Craxi stesso su L'Espresso e intitolato «Il Vangelo socialista», dove si ha una profonda critica del leninismo:

«La profonda diversità dei «socialismi» apparve con maggiore chiarezza quando i bolscevichi si impossessarono del potere in Russia. Si contrapposero e si scontrarono due concezioni opposte. Infatti c'era chi aspirava a riunificare il corpo sociale attraverso l'azione dominante dello Stato e c'era chi auspicava il potenziamento e lo sviluppo del pluralismo sociale e delle libertà individuali [...] La meta finale è la società senza Stato, ma per giungervi occorre statizzare ogni cosa. Questo è, in sintesi, il grande paradosso del leninismo. Ma come è mai possibile estrarre la libertà totale dal potere totale? Invece [...] Si è reso onnipotente lo Stato [...] Il socialismo non coincide con lo stalinismo [...] è il superamento storico del pluralismo liberale, non già il suo annientamento.»[14]


1978
marzo-gennaio 1979 (IV "governo Andreotti");

durante il sequestro di Aldo Moro è l'unico leader politico insieme ad Amintore Fanfani e Marco Pannella a dichiararsi disponibile ad una trattativa, attirandosi addosso parecchie critiche;

[Lo stesso anno si svolge a Torino il XLI congresso del PSI in cui egli riesce a farsi rieleggere segretario grazie al consolidamento del pur innaturale "asse" con la sinistra lombardiana, rappresentata da Claudio Signorile, malgrado la sua corrente dell' "Autonomia Socialista" sia giunta a questo punto in aperto contrasto con quella demartiniana, rappresentata da Enrico Manca.
Egli si presenta agli Italiani in una maniera totalmente nuova: da un lato prende esplicitamente le distanze dal leninismo rifacendosi a forme di socialismo non autoritario, e dall'altro si mostra attento ai movimenti della società civile e alle battaglie per i diritti civili, sostenute dai radicali, cura la propria immagine attraverso i mass media e mostra di non disdegnare la politica-spettacolo.
Avvia una campagna per la "governabilità del governo", assumendo toni sempre più decisionisti, con quella che nei giornali sarà chiamata la "grinta" di Craxi; vi è anche chi la presenta come l'unica forma di alternativa fino a quando vi sarà una "democrazia bloccata" dalla presenza del più grande partito comunista dell'Occidente.]


1979
20 giugno, rieletto deputato (VIII Legislatura);

deve rinunciare all'incarico di formare un nuovo governo, conferitogli dal presidente della Repubblica Alessandro [Sandro] Pertini;


1980
-

1981
-

1982
-

 

 


1983
12 luglio, la sua azione, aspramente criticata dalla sinistra interna, trascina il partito all'ottimo risultato raggiunto alle elezioni (IX Legislatura);
eletto deputato, chiede e ottiene la presidenza del Consiglio;
1° agosto-27 giugno 1986, presidente del Consiglio dei Ministri (I "governo Craxi");
[Primo socialista a ricoprire tale incarico.
Il suo I "governo Craxi" è sostenuto dal Pentapartito, un'alleanza fra Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli.
Quest'alleanza nasce non da accordi pre-elettorali o da una comune identità di vedute, ma dall'opportunità, fortemente da lui sfruttatai, offerta dal capovolgimento delle alleanze tra le correnti della Dc (la cui gestione interna si è assestata sulla linea del "Preambolo" di Donat Cattin, che ha sostenuto la necessità di «tenere i comunisti fuori dal governo»): è l'unica maggioranza, in pratica, capace di potersi formare, senza coinvolgere in nessun modo il Pci.
Nonostante ciò, il suo governo sarà uno dei più lunghi nella storia della Repubblica e riuscirà a lasciare una traccia profonda nella politica italiana. ]

5 agosto, appena un giorno dopo aver formato il suo primo governo, istituisce il Consiglio di Gabinetto, dando seguito ad un impegno assunto con i partiti del Pentapartito nel corso delle consultazioni:
«Si tratta -egli dice - di un Consiglio nel quale saranno rappresentate tutte le forze politiche; un Consiglio politico, che dovrà consentire consultazioni più rapide su tutte le questioni che saranno poi sottoposte al vaglio del Consiglio dei ministri, su tutte le questioni di indirizzo importanti. Si tratta di un organismo autorevole in cui saranno rappresentati anche i ministeri politici ed economici più importanti».

26 agosto, si svolge la prima riunione del Consiglio di Gabinetto cui prendono parte, oltre a lui:
. Arnaldo Forlani, vicepresidente del Consiglio
. Giulio Andreotti, ministro degli Esteri,
. Giovanni Goria, ministro del Tesoro,
. Oscar Luigi Scalfaro, ministro dell'Interno in rappresentanza della Dc,
. Giovanni Spadolini, segretario del Pri e ministro della Difesa,
. Renato Altissimo ministro dell'Industria del Pli,
. Gianni De Michelis, Psi, e ministro del Lavoro
. Pietro Longo, Psdi, e ministro del Bilancio.
Fanno parte del Consiglio quindi i rappresentanti di tutti e cinque i partiti dell'alleanza di governo.

1986
Repubblica Italiana
Presidente
della Repubblica
Francesco Cossiga (Dc)
(giu 85 - 92) (apr 87 - mar 88)
IX Legislatura 1983 12 lug - 1 lug 1987
Presidente
della Camera
L. Jotti (Pci)
(83 - 87)
Presidente
del Senato
A. Fanfani (Dc)
(83 - 87)
Presidente
del Consiglio
B. Craxi (Psi)
(1 ago 83 - 27 giu 86) I (8 ago 86 - 3 mar 87) II
Vice-presidente A. Forlani (Dc)
(ago 83 - mar 87)
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio G. Amato (Psi)
(ago 83 - mar 87)
Interno
O.L. Scalfaro (Dc)
(ago 83 - lug 87)
Esteri 
G. Andreotti (Dc) 
(ago 83 - lug 89)
Difesa
G. Spadolini (Pri)
(ago 83 - mar 87)
Marina mercantile
Gianuario Carta
(ago 83 - giu 86)
 
Tesoro
G. Goria (Dc)
(dic 82 - giu 87)
Finanze
B. Visentini (Pri)
(ago 83 - mar 87)
Bilancio
Pier Luigi Romita
(84 - mar 87)
o Pietro Longo ????
Partecipazioni statali
C. Darida (Dc)
(ago 83 - lug 87)
Commercio estero
N. Capria (Psi)
(giu 81 - giu 86)
 
Agricoltura e foreste
F.M. Pandolfi (Dc)
(ago 83 - mar 88)
Indust.-Comm.-Artig.
R. Altissimo (Pli)
(ago 83 - giu 86)
V. Zanone (Pli)
(ago 86 - mar 87)
Lavori Pubblici
F. Nicolazzi (Psdi)
(ago 79 - mar 87)
Trasporti
C. Signorile (Psi)
(ago 83 - mar 87)
Lavoro
G. De Michelis (Psi)
(ago 83 - mar 87)
Grazia e Giustizia
M. Martinazzoli (Dc)
(ago 83 - giu 86)
V. Rognoni (Dc)
(ago 86 - mar 87)
Pubblica Istruzione
Franca Falcucci
(dic 82 - lug 87)
Poste e Telecomunicazioni
A. Gava (Dc)
(ago 83 - lug 87)
Sanità
Costante Degan
(ago 83 - mar 87)
Turismo e spettacolo
L. Lagorio (Psi)
(ago 83 - giu 86)
N. Capria (Psi)
(ago 86 - mar 87)
Ministri senza portafoglio
Interventi straordinari per il Mezzogiorno
SalverinoDe Vito
(ago 83 - mar 87
)
Affari regionali
Aristide Gunnella (Pri)
(?-?)
C.M. Vizzini (Psdi)
(ago 86 - mar 87)
Funzione pubblica
R. Gaspari (Dc)
(ago 83 - lug 87)
Rapporti Governo Parlamento
Oscar Mammì (?)
(ago 83 - mar 87)
Ricerca scientifica e Tecnologica
L. Granelli (Dc)
(ago 83 - lug 87)
Beni Culturali
P.A. Gullotti (Dc)
(ago 83 - lug 87)
Affari europei
Francesco Forte (?)
(ago 83 - mar 87)
Ecologia
A. Biondi  (Pli)
(ago 83 - mar 87)
Ambiente
  F. De Lorenzo (Pli)
(ago 86 - mar 87)
Protezione civile
Vincenzo Scotti (Dc)
(ago 83 - lug 87)
  SalverinoDe Vito
(ago 83 - mar 87
)
 

 

Il Consiglio di Gabinetto assumerà in seguito un ruolo centrale e agirà come sede di concertazione delle principali decisioni politiche nel successivo triennio, contribuendo alla fama di "governo forte" che assume questo Esecutivo.
Presenzia alle riunioni il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato (PSI).

Fra i più importanti provvedimenti varati dal "governo Craxi":

- Il Nuovo Concordato con la Santa Sede, detto "Accordi di Villa Madama" perché firmato nel 1984 a Villa Madama con il card. Agostino Casaroli segretario di Stato vaticano;
[Il cattolicesimo abbandona la nozione di "religione di Stato" e viene abolita la "congrua". Viene istituito il contributo dell'8 per mille per i finanziamenti alla Chiesa cattolica e alle altre religioni e l'insegnamento facoltativo della religione cattolica nelle scuole.]
- Il taglio di tre punti della Scala mobile, a seguito del cosiddetto "decreto di San Valentino", ottenuto con la concertazione della CISL e della UIL, ma contestato dal Pci e dalla CGIL. Quest'ultima abbandona le trattative e dà vita a massicce manifestazioni di massa, con la collaborazione del Pci, che nel frattempo scatena in Parlamento un ostruzionismo durissimo. Il decreto passa con la fiducia e in seguito viene avviata una raccolta di firme che porta ad un referendum abrogativo.
Al referendum, che si tiene nella primavera del 1985, il presidnete del Consiglio partecipa attivamente alla campagna elettorale a sostegno della sua riforma, riuscendo ad ottenere, a sorpresa, la sconfitta degli abrogazionisti.
- Una politica economica di cui rivendica i successi, l'inflazione, dal 1983 al 1987, scende dal 12,30% al 5,20%, e lo sviluppo dell'economia italiana vede sia una crescita dei salari (in quattro anni, di quasi due punti al di sopra dell'inflazione) diventando il quinto paese industriale avanzato del mondo.
D'altro lato però, in questi stessi anni il debito pubblico passa da 234 a 522 miliardi di euro (dati valuta 2006) e il rapporto fra debito pubblico e PIL passa dal 70% al 90%.
[Ciò farà dire che la sua gestione del bilancio - sul punto non correttiva degli squilibri accumulatisi nei conti pubblici già nel decennio precedente - ha contribuito a provocare allo Stato l'enorme debito pubblico, decisamente superiore alla media europea.]
- La battaglia agli evasori fiscali nel commercio al minuto, che produce l'obbligo del registratore di cassa e dello scontrino fiscale grazie ad una battaglia condotta dal ministro delle Finanze Bruno Visentini.
- Il "condono edilizio Nicolazzi" del 1985: esso è inserito in una legge urbanistica, che non sarà mai realmente applicata, che ha l'ambizione di voltare pagina rispetto al passato ed introduce un sistema di regole penali e una diretta attribuzione di responsabilità alle amministrazioni comunali per la repressione degli abusi.
- Il "decreto Berlusconi", varato dopo la decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Fininvest di proprietà di Silvio Berlusconi, ancora un semplice imprenditore con cui il presidente del Consiglio ha una forte amicizia (fa da testimone al suo secondo matrimonio).
[Il decreto stabilisce la legalità delle trasmissioni delle televisioni dei grandi network privati, ma suscitò aspre critiche da parte delle piccole emittenti private e di costituzionalisti, ed è approvato dal Parlamento solo tramite il voto di fiducia.]

Tra i progetti non realizzati:
- la mancata riforma delle istituzioni
;
- la sua proposta della "lira pesante";
[Un progetto – sulla scorta di analoghe operazioni effettivamente realizzate negli anni Settanta in Grecia e, negli anni Cinquanta nella Germania Ovest di Konrad Adenauer – per la parità uno a mille della valuta: si dice con la possibile coniazione di una moneta con l'effigie di Garibaldi, ma l'operazione non avrà alcun seguito.]

 

Con i potentati economici del Nord il rapporto è sempre alquanto dialettico: al congresso della CGIL del 1986 accusa gli industriali di voler «lucrare senza pagare», ricevendo dalla platea sindacale un caloroso applauso e dando così l'impressione di un'efficacia redistributiva maggiore di quella che – dopo la marcia dei quarantamila, che aveva visto spuntarsi le armi del sindacalismo confederale – era promessa dal massimalismo di sinistra facente capo al PCI.
Di contro la Confindustria evidenzia polemicamente che da un lato si chiede agli industriali un contributo al benessere della collettività, ma a ciò non corrisponde una buona condotta della politica nella gestione del denaro pubblico.
Infatti, dagli anni Settanta la spesa pubblica è decollata e il sistema partitico non fa nulla per porvi un freno.
Assai più criticati, perché rientranti in una nozione di ingerenza dello Stato nell'economia, sono gli interventi del "governo Craxi" per la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca (elusa dal consiglio di amministrazione con la sua nomina a presidente onorario) e l'opposizione alla vendita del complesso alimentare dell'IRI – la SME – negoziata direttamente dal suo presidente Romano Prodi e smentita da una direttiva del Governo.

 

Politica estera
Nella politica estera, il "governo Craxi" e il personale intervento del Presidente del Consiglio "si caratterizzano per scelte coraggiose volte a sollecitare e portare avanti il processo d'integrazione europea, come apparve evidente nel semestre di presidenza italiana (1985) del Consiglio Europeo".
[Si tratta di un indirizzo che proseguirà anche nei successivi governi a partecipazione socialista e che porterà al deciso avallo del trattato di Maastricht nel 1992.]


Craxi e il presidente francese François Mitterrand:
Egli continua anche la politica atlantista dei suoi predecessori, ai quali ha dato l'appoggio del suo partito per l'installazione in Sicilia degli "euro-missili" posizionati contro l'URSS;
[Secondo Zbigniew Brzezinski, l'ex segretario di Stato di J. Carter: «senza i missili Pershing e Cruise in Europa la guerra fredda non sarebbe stata vinta; senza la decisione di installarli in Italia, quei missili in Europa non ci sarebbero stati; senza il PSI di Craxi la decisione dell'Italia non sarebbe stata presa. Il Partito Socialista italiano è stato dunque un protagonista piccolo, ma assolutamente determinante, in un momento decisivo».]

Nel contempo, però egli:
- mantiene una linea di attenzione ad alcune cause terzomondiste, come già lasciava prevedere - prima del suo arrivo alla guida del Governo - il sostegno dato all'Argentina nella Guerra delle Falkland, senza però interferire in alcun modo nel conflitto.
- stipula accordi con i governi della Jugoslavia e della Turchia;
- sostiene anche il dittatore della Somalia Muhammad Siad Barre, già segretario del Partito Socialista Rivoluzionario Somalo;
- fornisce un appoggio convinto alla causa palestinese e intreccia relazioni diplomatiche con l'OLP e con il suo leader Yasser Arafat, di cui diviene amico personale, sostenendone le iniziative.
Obiettivo dichiarato è quello di fare dell'Italia una potenza regionale nell'area del Mar Mediterraneo e del Vicino Oriente.
In quest'ambito, tre episodi sono considerati quelli più significativi, e tutti e tre coinvolgono gli Stati rivieraschi di fronte alle coste italiane: Egitto, Libia e Tunisia.

La crisi di Sigonella
La cosiddetta "Crisi di Sigonella" rappresenta l'episodio più noto a livello internazionale della politica estera craxiana. Il complesso caso diplomatico avviene appunto nella base NATO di Sigonella, in Sicilia, nell'ottobre 1985, e rischia di sfociare in uno scontro armato tra VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) e Carabinieri da una parte e gli uomini della Delta Force (reparto speciale delle forze armate statunitensi) dall'altra, all'indomani di una rottura politica - poi ricomposta - tra il presidente del Consiglio e il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, circa la sorte dei sequestratori della nave da crociera italiana Achille Lauro, che hanno ucciso un passeggero disabile, statunitense ed ebreo.
Egli ritiene che i terroristi vadano processati sotto la giurisdizione italiana, e così avviene, anche se il loro capo riesce a sfuggire alla cattura e si rifugia in Iraq.

Il bombardamento statunitense di Tripoli]
All'epoca del bombardamento statunitense contro Tripoli, avvenuto il 14 aprile 1986, il suo ruolo è reputato eccessivamente prudente ed è per questo criticato dalla stampa nazionale per non aver reagito alla rappresaglia libica (il lancio di missili su Lampedusa, avvenuto il giorno successivo al raid statunitense).
[In realtà egli – come emergerà, oltre venti anni dopo, da una diversa descrizione dei fatti – avrebbe avvertito preventivamente Gheddafi dell'imminente attacco statunitense su Tripoli, consentendogli in tal modo di salvarsi.
Si tratta di una ricostruzione conforme con le note posizioni del governo italiano, che considera la ritorsione statunitense, scaturita dalla politica di appoggio al terrorismo della Libia, come un atto improprio, che non deve coinvolgere come base di partenza dell'attacco il suolo italiano. Tale versione è coerente anche con alcune ricostruzioni dei missili su Lampedusa, segnatamente quella secondo cui i missili sarebbero stati un espediente per coprire "l'amico italiano" agli occhi degli statunitensi: lo dimostrerebbe la scarsa capacità offensiva di penetrazione dei missili, che per altro sarebbero caduti in mare senza cagionare alcun danno.
[Tale tesi, nel contempo, però, non spiega come egli facesse a conoscere l'attacco due giorni prima, visto che esso è stato condotto da navi della VI flotta alla fonda nel golfo della Sirte e che ostentatamente all'epoca si disse che il governo italiano - così come tutti gli altri governi della NATO con l'eccezione di quello Regno Unito - non era stato coinvolto nella sua preparazione.
Sul punto, però, è giunta recentemente una testimonianza diretta del consigliere diplomatico di Craxi a palazzo Chigi, l'ambasciatore Antonio Badini, secondo cui Reagan inviò Vernon Walters ad informare il governo italiano dell'imminente attacco a Gheddafi e Craxi, non essendo riuscito a convincere gli statunitensi a desistere, decise di salvare la vita al leader libico per evitare un'esplosione di instabilità in un Paese islamico di fronte all'Italia.


Nicolae Ceausescu con Bettino Craxi

La deposizione di Bourghiba
Nel novembre 1987 la senescenza fisica e mentale del "padre della patria" tunisino, Habib Bourguiba, induce la diplomazia francese a cercare di "teleguidare" un proprio candidato alla successione: ma ventiquattr'ore prima della loro mossa, la successione di Habib Bourguiba avviene con un colpo di Stato incruento di Zine El-Abidine Ben Ali, che prende il potere – lo manterrrà per oltre 23 anni (fino al gennaio 2011) – , al quale immediatamente Craxi offre il necessario sostegno internazionale.
[
Dieci anni più tardi, le memorie dell'ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi, riveleranno che non solo si è avuto il prematuro (e concordato) riconoscimento internazionale italiano del nuovo governo tunisino, ma addirittura la scelta del nuovo Presidente "bruciando sul tempo" il candidato di Parigi.]

1986
8 agosto-3 marzo 1987, presidente del Consiglio dei Ministri (II "governo Craxi");


Una nuova crisi esplode nel 1986.
Ciriaco De Mita, segretario della Dc, ottiene che il secondo incarico conferito dal nuovo Capo dello Stato Francesco Cossiga a Craxi sia vincolato ad un informale "patto della staffetta", che vedrebbe un democristiano alternarsi alla guida del governo dopo un anno, per condurre al termine la legislatura;

1987
17 febbraio, dopo aver taciuto per mesi intorno al "patto della staffetta", avallandone implicitamente l'esistenza, egli sconfessa ora l'accordo in un'intervista a Giovanni Minoli nella trasmissione Mixer;
la sfida così pubblicamente lanciata ricompattò la Dc ed è raccolta da Ciriaco De Mita;
a questo punto, con un ulteriore gesto di sfida, egli dichiara che non gli interessa guidare il governo durante il periodo elettorale, perché «non stiamo in America latina, dove è il prefetto che decide l'esito delle elezioni in una provincia».
[L'esito elettorale – che non porta molto avanti l' "onda lunga" del consenso del PSI, da lui ripetutamente vaticinata – si incarica di smentire quest'assunto.]

Ciriaco De Mita fa nuovamente cadere il governo;

3 marzo, cade il II "governo Craxi";

La fine del II "governo Craxi" porta ad attestazioni di stima e di rammarico per la sua caduta da parte di diversi giornali stranieri, come «Le Monde», «Wall Street Journal», «Financial Times».

17 aprile-luglio, (VI "governo Fanfani);


2 luglio, rieletto deputato (X Legislatura);

Dal 1987 in poi, la Dc non è più disponibile a dargli la fiducia, preferendo sostenere come presidente del Consiglio prima Giovanni Goria e poi Ciriaco De Mita.
È solo uno degli episodi degli scontri fra lui e Ciriaco De Mita, spiegabile forse nel fatto che il leader democristiano è anche il punto di riferimento della sinistra Dc, quella cioè più vicina al Pci.
Anche alla luce di questo orientamento, egli ha retto il gioco ad A. Forlani e a G. Andreotti nella progressiva sottrazione a Ciriaco De Mita della "segreteria Dc" e poi della Presidenza del Consiglio.
Rimarrà agli atti, di questa stagione di decisionismo senza lui presidente, l'approvazione della modifica dei Regolamenti parlamentari che abolisce il voto segreto nell'approvazione delle leggi di spesa; invano da lui richiesta per anni da Presidente del Consiglio, è conseguita grazie alla sua politique d'abord, di attacco al "governo De Mita".
In questi anni egli ottiene importanti ruoli alle Nazioni Unite:
-è rappresentante del segretario generale dell'ONU Peréz de Cuéllar per i problemi dell'indebitamento dei Paesi in via di sviluppo (1989);
- successivamente svolge l'incarico di consigliere speciale per i problemi dello sviluppo e del consolidamento della pace e della sicurezza (rinnovatogli nel marzo 1992 da Boutros Ghali).


luglio-marzo 1988 ("governo Goria");

1988
aprile-luglio 1989 ("governo De Mita");

1989
luglio-marzo 1991 (VI "governo Andreotti");
riconfermato segretario del PSI, è vicepresidente dell'Internazionale socialista e rappresentante personale del segretario generale dell'ONU Pérez de Cuellar, per i problemi di indebitamento dei Paesi in via di sviluppo;

1991
aprile-aprile 1992 (VII "governo Andreotti");
riconfermato segretario del PSI, persegue una politica di alleanza con la Dc nel «CAF» (asse Craxi-Andreotti-Forlani) e rifiuta l'alleanza con PCI-PDS;

1992
23 aprile, rieletto deputato (XI Legislatura);
giugno-aprile 1993 (I "governo Amato");
viene travolto dagli scandali di "Tangentopoli" «Mani pulite» e si rifugia ad Hammamet in Tunisia;

[Subirà due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano, e morì mentre erano in corso altri quattro processi contro di lui.[1] Egli respinse fino all'ultimo giorno della sua vita l'accusa di corruzione, mentre ammise di aver accettato finanziamenti illeciti, prassi diffusa, per permettere la dispendiosa attività politica del PSI[2], meno potente finanziariamente dei due grandi concorrenti, la DC e il PCI.[3] Il governo e il partito di Craxi vennero sostenuti anche da Silvio Berlusconi, suo amico personale[4], avendo altresì una forte sintonia con dei leader della sinistra europea del calibro di Felipe González e Mário Soares, con cui vi fu una grande vicinanza rispetto all'allargamento dell'Ue ed al ruolo del "socialismo mediterraneo"[5][6][7].

È uno degli uomini politici più rilevanti della cosiddetta Prima Repubblica[8], ma anche uno dei più controversi a causa delle dette indagini di Mani Pulite, che ne condussero all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale. Craxi non scontò mai la pena perché lasciò il Paese, rifugiandosi in Tunisia, mentre erano ancora in svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti; pertanto, da latitante, «morì in solitudine, lontano dall'Italia».[9]


1993
aprile-aprile 1994 ("governo Ciampi");

presidente del consiglio dei ministri, primo socialista a ricoprire tale incarico;


2000,
19 gennaio, muore ad Hammamet in Tunisia.

[Subì due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano, e morì mentre erano in corso altri quattro processi contro di lui.
Egli respinse fino all'ultimo giorno della sua vita l'accusa di corruzione, mentre ammise di aver accettato finanziamenti illeciti, prassi diffusa, per permettere la dispendiosa attività politica del PSI, meno potente finanziariamente dei due grandi concorrenti, la DC e il PCI.
Il governo e il partito di Craxi vennero sostenuti anche da Silvio Berlusconi, suo amico personale, avendo altresì una forte sintonia con dei leader della sinistra europea del calibro di Felipe González e Mário Soares, con cui vi fu una grande vicinanza rispetto all'allargamento dell'Ue ed al ruolo del "socialismo mediterraneo".

È uno degli uomini politici più rilevanti della cosiddetta Prima Repubblica, ma anche uno dei più controversi a causa delle dette indagini di "Mani Pulite", che ne condussero all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale.
Craxi non scontò mai la pena perché lasciò il Paese, rifugiandosi in Tunisia, mentre erano ancora in svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti; pertanto, da latitante, «morì in solitudine, lontano dall'Italia».]

 

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La fine degli anni ottanta
La rendita di posizione e la deriva partitocratica
Il ritorno al governo della Democrazia cristiana fu accompagnato da un'accentuata conflittualità, all'interno dell'alleanza col PSI: Craxi inaugurò una tecnica di "movimentismo" (corredata di frequenti minacce di crisi di governo, che rientravano dopo aver ottenuto dal partner di governo le concessioni richieste), che fu definita "rendita di posizione"[49]. Conseguenze furono importanti battaglie condotte - al di fuori del vincolo di maggioranza - a fianco di alleati occasionali: quella sulla responsabilità civile dei giudici a fianco di Pannella, quella sulla chiusura delle centrali nucleari a fianco dei Verdi, ambedue coronate dal successo referendario; quella sull'ora di religione e quella sulla penalizzazione del consumo di droghe a fianco dell'ala conservatrice dello schieramento politico.

Ma la sensazione che se ne trasse fu di un'estrema disinvoltura tattica, lontana dalla rimozione delle cause del dissesto del Paese[50] e finalizzata solo ad acquisire vantaggi elettorali. La traduzione di questi vantaggi in cariche pubbliche - secondo un metodo di spartizione assai accurato e, quel che è peggio, generalizzato a tutti i livelli della vita politica, sia nazionale che locale, con capovolgimenti di alleanze locali in base ad esigenze nazionali - era foriera, invece, di un'estremizzazione dei vizi partitici già intrinseci al sistema politico italiano[51].

Uno degli assunti più reiterati della retorica craxiana - la facile polemica sull'assemblearismo ed il consociazionismo, che aveva "favorito nel nostro paese rendite di posizione (...) di coloro che hanno amministrato senza doverne dare troppo conto all'opposizione, che assai spesso è pervenuta ad accordi con la maggioranza"[52], ritardando o impedendo la modernizzazione del Paese - veniva quindi controbilanciato da un fenomeno gravido di conseguenze proprio sul piano dell'efficienza del sistema: "la formazione della volontà politica non avviene più attraverso un processo pubblicistico e collegiale, quanto piuttosto attraverso un processo privatistico e contrattuale"[53].

Persino un momento di trasparenza della vita politica come l'abolizione del voto segreto nell'approvazione delle leggi di spesa - per il quale Craxi insistette fino ad ottenere, nel novembre 1988, l'apposita revisione dei regolamenti parlamentari - fu guardato con sospetto, dall'opinione pubblica: sin da allora ci si chiese se "l'estensione del voto palese andrà nel senso di rafforzare l'elemento pubblicistico e collegiale, oppure se la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica saranno chiamati semplicemente a ratificare accordi raggiunti nell'ambito delle coalizioni governative"[54].

Il dominio sul PSI, l'"unità socialista" e i rapporti col PCI
A partire dalla vittoria elettorale del 1983, con la crescita di consenso per il PSI, si estinse all'interno del partito socialista l'opposizione a Craxi, tanto che nei successivi congressi, fu sempre rieletto con voti plebiscitari; l'unica corrente ufficialmente non craxiana rimase quella di Michele Achilli, con meno del 2% degli iscritti. A porsi contro Craxi rimasero alcuni esponenti, anche prestigiosi, che condussero solitarie battaglie. Uno su tutti Giacomo Mancini, che esclamò in un congresso "Questo non è più il partito socialista italiano; è il partito craxista italiano". Anche fra i sostenitori di Craxi vi era coscienza della grande autorità che aveva il segretario nel partito, senza precedenti nella storia del socialismo italiano.


Discorso di Craxi durante un congresso del PSI
All'inizio degli anni ottanta, Craxi – che già nel 1979 aveva avviato una revisione ideologica, inneggiando al socialismo umanitario di Proudhon in luogo di quello scientifico di Marx – proseguì ed incoraggiò una revisione anche estetica del partito. Ad esempio, vennero cancellati dal programma politico alcuni termini che potevano ricondurre al marxismo; venne eliminato il termine autonomismo che venne sostituito con la parola riformismo, giudicata più inerente dalla corrente moderata e riformista. Venne inoltre abolito il termine "Comitato Centrale" (perché esso riconduceva immediatamente ai partiti comunisti), sostituito dal più neutro "Assemblea Nazionale", nella quale entrarono a far parte oltre ai politici anche uomini dello spettacolo, della moda, dello sport e della cultura.

« È immensa come una nave, oblunga e travolgente e sarebbe impossibile vedere lui (Bettino Craxi) se non irradiasse la sua immagine elettronica dall'enorme piramide multimediale dell'architetto Filippo Panseca »
(Giuseppe Genna, Dies irae)
Alcuni eccessi di spettacolarizzazione (celebri le scenografie congressuali ideate dall'architetto Filippo Panseca) furono criticati dai suoi stessi compagni di partito: Rino Formica coniò, per l'Assemblea Nazionale del 1991, l'eloquente immagine di una "corte di nani e ballerine". Si rinunciò al tradizionale anticlericalismo socialista (con l'approvazione del Concordato) e fu infine ridotta e poi eliminata (dal 1985) la falce e martello dal simbolo storico del PSI, sostituendola col garofano rosso, che da allora divenne emblema del partito. Soprattutto dopo il 1989, (quando cadde il muro di Berlino), ritenendo ormai prossima la crisi del PCI, nelle intenzioni di Craxi[55] entrò anche il lancio di un progetto annessionistico a sinistra, con la parola d'ordine dell'"unità socialista", scritta che fu aggiunta al simbolo del partito.

Il rapporto assai travagliato con il PCI risale agli anni della guerra fredda, quando citando Guy Mollet Craxi aveva sostenuto che "I comunisti non sono a sinistra, sono a est": ma furono "i comunisti della seconda generazione, quella dopo Togliatti e Longo" quelli che "non apprezzano la sua posizione e gliela fanno pagare cara, avvalendosi anche dell'implacabile collaborazione del direttore di Repubblica, che pure nei lontani anni sessanta era stato fraternamente appoggiato da Craxi, con Lino Jannuzzi, nella campagna elettorale"[56].

L'impulso ad una trasformazione del grande partito della sinistra italiana in senso occidentale era impresso da Craxi con una metodica scevra dalle sudditanze politiche dei suoi predecessori, giovandosi della posizione di potere acquisita con i lunghi anni di governo con la DC, tanto che essa è descritta da Claudio Petruccioli come una disperante sindrome da "riserva indiana" in cui il PSI costringeva in un ghetto politico il PCI ponendosi "all'imboccatura della valle" della politica di governo ed esigendo un pedaggio democratico che non gli venne mai concesso[57].

Quando però il PCI guidato da Achille Occhetto si stava per trasformare nel PDS, per costituire un'unica forza politica ispirata al riformismo socialdemocratico, la sua strategia non seppe adeguarsi altro che con la volontà di unificare PSI, PSDI e il nuovo partito, in una logica visibilmente annessionistica che fu particolarmente criticata dai riformisti del PCI (cosiddetta corrente "migliorista"), i quali videro nel mancato tentativo di arruolare Gianfranco Borghini nel PSI un'aggressione da rintuzzare con decisione (alla fine fu solo suo fratello, Giampiero Borghini, a passare dall'altra parte).

Craxi fu anche favorevole all'entrata del neonato Partito Democratico della Sinistra nell'Internazionale Socialista (di cui lo stesso leader socialista fu vicepresidente fino al 1994, quando fu sostituito proprio dal segretario della "Quercia" Achille Occhetto). Il progetto di alcune limitatissime liste comuni, sperimentato nelle elezioni amministrative del 1992 (dove non riscosse molto successo), naufragò definitivamente in seguito alle inchieste di Tangentopoli.

Il CAF e i governi Andreotti

Craxi, Andreotti e Forlani
Nel 1989, Craxi torna alla carica contro la maggioranza della Democrazia cristiana espressione della sinistra interna: è deciso a ritornare a Palazzo Chigi, ma per farlo deve scalzare De Mita dalla guida del governo e del partito. Forma perciò con i democristiani Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani un'alleanza di ferro: il C.A.F. (dalle iniziali dei cognomi dei tre protagonisti), che fu definita la "vera regina d'Italia". Nel LXII congresso del PSI, Craxi, dopo essere stato rieletto segretario con una maggioranza schiacciante, fa approvare una mozione che - anche per le modalità con cui viene illustrata dal fidatissimo vicesegretario Claudio Martelli[58], allora considerato il suo delfino 'in pectore' - suona come esplicita sfiducia al governo De Mita.

De Mita rassegna le dimissioni da Presidente del Consiglio, dopo che aveva perso già la segreteria democristiana che era andata nelle mani di Arnaldo Forlani, alleato di Andreotti. Quest'ultimo, assume la guida di due governi che reggono fino al 1992. Sono anni "di assoluto immobilismo": il governo sembra incapace di prendere decisioni concrete; nel Paese si diffonde un forte malcontento, accentuato dai sospetti emersi con lo scandalo Gladio. Craxi confida apertamente in un logoramento democristiano e spera nella possibilità di portare il partito socialista al centro della scena politica, assumendo quel ruolo-guida, che fino a quel momento apparteneva alla Dc.

Si mostra fiducioso di sé, anche quando il referendum sulla preferenza unica, promosso da Mario Segni – al quale Craxi si era opposto invitando gli italiani ad "andarsene al mare" – raccoglie invece un larghissimo consenso. Il progetto di Craxi, coltivato a lungo, non si sarebbe però mai realizzato: secondo Giuliano Amato, dopo il crollo del muro di Berlino si finì per contare "più sulla definitiva disfatta dell'ex Pci che non sulla prospettiva di assumere noi la guida della sinistra. Sbagliammo: invece di attendere che il cadavere del Pds passasse sul fiume, avremmo dovuto invocare noi le ragioni della convergenza"[59].

Nella stessa circostanza Amato affermò che "forse ebbe un peso anche la sua malattia, molto seria, alla quale teneva testa solo grazie alla sua fibra veramente robusta, perché nei fatti non si curava, era sregolatissimo. Mi venne detto da medici esperti che l'incedere del diabete determina anche incertezze nuove nel carattere delle persone che ne soffrono. Può essere dunque che il suo ritrarsi da una decisione rischiosa fosse anche la conseguenza di un cattivo stato di salute"[59]; in effetti, all'agosto 1990 risale il primo ricovero di Craxi al San Raffaele di Milano per le complicazioni derivate dal diabete mellito che l'avrebbe portato alla morte dieci anni dopo.

Un'altra chiave di lettura è invece quella secondo cui "per un cattivo governo il momento più pericoloso è sempre quello in cui comincia a riformarsi", secondo la "legge" enunciata da Alexis de Tocqueville e di cui in quegli stessi anni sperimentarono la fondatezza altre "democrazie bloccate" come il Giappone monopolizzato dal partito liberaldemocratico[60]. La recessione economica, la crisi politica della Prima Repubblica, l'aumento del già abnorme debito pubblico e l'affermazione delle liste regionali (in particolare la Lega Lombarda) causarono il crollo del sistema politico di cui egli fu grande protagonista; inoltre, le inchieste giudiziarie avviate nei suoi confronti causarono la sua caduta, stavolta definitiva.

La caduta

Bettino Craxi ed il PM Antonio Di Pietro al processo Cusani Enimont, 1993
L'impatto di Mani Pulite sulla fine della carriera politica
L'epicentro del potere socialista e craxiano era Milano, centro nevralgico della finanza e degli affari, con il cui ambiente il PSI finì per identificarsi. Nel dicembre del 1986 si avvicenda alla guida del comune Paolo Pillitteri, cognato di Craxi, sostituendo Carlo Tognoli, con una giunta pentapartito[61][62]. Il 17 febbraio 1992, l'ingegnere Mario Chiesa, esponente del PSI, già assessore del comune di Milano con l'ambizione alla poltrona di sindaco, viene arrestato in flagrante per aver intascato una tangente da una ditta di pulizie.

Craxi al TG3 del 3 marzo, a un mese dalle elezioni politiche, commenterà sostenendo che «una delle vittime di questa storia sono proprio io... Mi trovo davanti a un mariuolo che getta un'ombra su tutta l'immagine di un partito che a Milano, in 50 anni, non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione»[63]. Il 23 marzo Chiesa inizia a confessare svelando ai pubblici ministeri dell'inchiesta Mani Pulite il complesso sistema di tangenti che coinvolgono i dirigenti milanesi del PSI[64]. Craxi, fiducioso che il crollo della DC sia imminente, organizza una massiccia campagna elettorale, puntando alla presidenza del Consiglio. Il 6 aprile l'intero Quadripartito del governo Andreotti VII esce dalle urne con un clamoroso 48,8%. Il PSI, dal canto suo, passa dal 14,3 al 13,5%, ma a Milano c'è già un crollo di oltre 5 punti (dal 18,6 al 13,2%)[65].

«Un piccolo calo» commenta Craxi «rispetto alla crisi dei partiti di governo». In virtù di questo, Craxi chiede la guida del nuovo governo, per poter portare «l'Italia fuori dal caos». Ma il nuovo Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro rifiuta di concedere incarichi ai politici vicini agli inquisiti. Craxi è costretto a farsi da parte; al suo posto viene nominato il socialista Giuliano Amato. Dal maggio 1992 Mani Pulite era però ormai una questione nazionale, tanto da spingere Craxi il 3 luglio 1992 alla Camera, durante il discorso di fiducia al governo Amato I, a chiamare in correità tutto il Parlamento dichiarando «spergiuro» chi avesse negato di aver fatto ricorso al finanziamento illecito dei partiti[66].

Il giuramento cui sfidò tutto il Parlamento non fu raccolto da nessuno[67], ma fu per anni sentito come un silenzio ipocrita. Secondo Gerardo D'Ambrosio il discorso craxiano fu «onesto»[68], mentre il silenzio altrui era dovuto al fatto che «in quel periodo gli altri partiti speravano di farla franca, anziché affrontare il problema lasciarono Craxi solo»[69]. Per Piero Ostellino il discorso conteneva anche un appello "all’etica della responsabilità"[70], un appello che "non è stato colto, per opportunismo e per viltà, ieri; non è colto, per conformismo e per incultura, oggi"[71].

Secondo Piero Fassino, in quell'occasione «non c’è dubbio che ci fu un silenzio assolutamente reticente e ambiguo da parte di tutta la classe politica davanti al discorso che Craxi fece alla Camera e nel quale disse con parole crude che il problema del finanziamento illegale non riguardava soltanto il PSI ma l’intero sistema politico»[72]. In un corsivo sull'Avanti! – firmato con il consueto pseudonimo "Ghino di Tacco" – attaccò[73] gli inquirenti e Di Pietro: "non è tutto oro, quello che luccica". Questo attacco, cui fece seguito il giudizio riferito da Rino Formica circa il "poker d'assi" che Craxi aveva mostrato in una direzione del suo partito sul conto di Di Pietro, non riuscì ad emanciparsi dall'impressione che Craxi difendesse se stesso non con i fatti, ma con vaghe teorie "complottistiche", volte a chiamare a raccolta sostenitori politici che non vennero mai allo scoperto[74].

L'impotenza politica di Craxi[75] si accentuò quando la situazione processuale precipitò a causa della sua chiamata in correità da parte della magistratura milanese, fino a quel momento solo adombrata: il 15 dicembre 1992 Craxi ricevette il primo degli avvisi di garanzia della Procura di Milano[76].


Craxi interviene per l'ultima volta al Parlamento (29 aprile 1993)
Il sentimento anticraxiano esplose nel Paese: "fu un autentico contagio di massa, un meccanismo accusatorio" nel quale "non passava giorno senza che Craxi incontrasse per strada giovinastri che gli gridavano «Ladro!» mostrandogli i polsi incrociati. Nacque una specie di ritualità” nella pubblica riprovazione, tanto che un giorno "il sosia televisivo Pier Luigi Zerbinati si nascose in un'auto per paura di essere scambiato per Craxi"[77].

Il 23 marzo 1993 gli avvisi di garanzia - tutti per episodi circostanziati di corruzione e finanziamento illecito di partito - erano diventati 11[78], ma già l'11 febbraio 1993 Craxi si era visto costretto a dimettersi dalla segreteria del PSI[79].

L'ultima difesa parlamentare e la contestazione pubblica
Il nuovo governo ebbe vita tormentata fin dagli inizi. Poco dopo l'avviso a Craxi una "pioggia di avvisi di garanzia" cadde sulle teste dei principali leader politici nazionali. Il PSI venne travolto dalle inchieste; la sua dirigenza fu letteralmente decimata e perse la guida del governo dopo la mancata firma del presidente Scalfaro al decreto Conso che mirava ad una "soluzione politica" depenalizzando il finanziamento illecito ai partiti.

Craxi stesso ricevette una ventina d'avvisi di garanzia e dopo aver accusato la Procura di Milano di muoversi dietro "un preciso disegno politico", si presentò alla Camera il 29 aprile del 1993 e in un famoso discorso tuonò: "Basta con l'ipocrisia!"; tutti i partiti –secondo Craxi– si servivano delle tangenti per autofinanziarsi, anche quelli "che qui dentro fanno i moralisti". La sua linea di difesa fu incentrata sulla tesi secondo cui i finanziamenti illeciti sarebbero stati necessari alla vita politica dei partiti e delle loro organizzazioni per il mantenimento delle strutture e per la realizzazione delle varie iniziative; il suo partito non si sarebbe discostato da questo generale comportamento[80] e, quindi, più che dichiarare sé stesso innocente, Craxi giungeva a sostenere che egli era colpevole né più né meno di tutti gli altri[81].

In altre parole, egli si dichiarò colpevole, anche davanti ai giudici, solo di finanziamento illecito al PSI, ma negò sempre ogni accusa di corruzione per arricchimento personale.[82] Il 29 aprile 1993, la Camera dei deputati negò l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti provocando l'ira dell'opinione pubblica e facendo gridare allo scandalo numerosi quotidiani. Nella stessa aula, seguirono momenti di tensione, con i deputati della Lega e dell'MSI che gridavano "ladri" ai colleghi che avevano votato a favore di Craxi. Alcuni ministri del governo Ciampi si dimisero in segno di protesta.


Craxi contestato fuori dall'Hotel Raphael
Il 30 aprile in tutt'Italia si svolsero manifestazioni di dissenso: a Roma circa 200 giovani dell'istituto Einstein sostarono in piazza Colonna scandendo slogan contro governo e Parlamento; un altro centinaio protestarono davanti alla sede del PSI in via del Corso; un terzo gruppo, proveniente dal liceo Mamiani, percorse in corteo il centro storico soffermandosi anch'esso davanti alla sede del PSI venendo però disperso dalle forze dell'ordine. Ci furono anche una manifestazione del Movimento Sociale Italiano nella galleria Colonna - seguita da un incontro stampa del segretario Gianfranco Fini per sottolineare l'impossibilità di tenere in vita questo parlamento - e un'altra dimostrazione, tenuta in serata per iniziativa del PDS, la cui riunione di segreteria era stata per l'occasione sospesa.

Diverse migliaia di persone si radunarono in piazza Navona per ascoltare i discorsi del segretario del PDS Occhetto, di Francesco Rutelli e di Giuseppe Ayala: tutti loro avevano incitato i presenti a protestare contro il voto parlamentare a favore dell'ex Presidente del Consiglio. Un piccolo corteo, organizzato dalla Lega Nord, sfilò infine da piazza Colonna al Pantheon. In coincidenza con la fine del comizio tenutosi a Piazza Navona, una folla invase Largo Febo e attese Craxi all'uscita dell'hotel Raphael, l'albergo che da anni era la sua dimora romana. Quando Craxi uscì dall'albergo, i manifestanti lo bersagliarono con lanci di oggetti, insulti e soprattutto monetine e cantilene irridenti[83]. Con l'aiuto della polizia, Craxi riuscì a salire sull'auto e poi lasciò l'hotel. Quest'episodio, ritrasmesso centinaia di volte dai telegiornali, viene preso come simbolo della fine politica di Craxi.[84]. Egli stesso definì quanto aveva subito "una forma di rogo" in un'intervista a Giuliano Ferrara trasmessa su Canale 5[85].

La fuga ad Hammamet, la latitanza e la morte
Nel corso del 1993 ed a seguito della sua testimonianza al processo Cusani emersero sempre più prove contro Craxi: con la fine della legislatura e l'abolizione dell'autorizzazione a procedere, si fece sempre più vicina la prospettiva di un suo arresto. Il 15 aprile 1994, con l'inizio della nuova legislatura in cui non era stato ricandidato, cessò il mandato parlamentare elettivo che aveva ricoperto per un quarto di secolo e, di conseguenza, venne meno l'immunità dall'arresto.


La tomba di Bettino Craxi ad Hammamet in Tunisia
Il 12 maggio 1994 gli venne ritirato il passaporto per pericolo di fuga[86], ma era già troppo tardi perché Craxi, si seppe solo il 18, era già in Tunisia[87] ad Hammamet, protetto dall'amico Ben Alì; già il 4 maggio era stato avvistato a Parigi, dato che inizialmente era intenzionato a chiedere asilo politico alla Francia[88].

Il 21 luglio 1995 Craxi sarà dichiarato ufficialmente latitante[89]. Ci fu anche chi disse già dal 1993, cosa subito smentita, che Craxi volesse candidarsi al parlamento europeo nelle file del Partito Socialista francese.[90] La fuga all'estero del leader socialista fu percepita dall'opinione pubblica come un tentativo di sottrarsi all'esecuzione delle condanne penali inflittegli[91].

Dalla latitanza in Tunisia, con fax e lettere aperte, Craxi continuò a commentare le vicende della politica italiana, perseverando nelle accuse rivolte al PDS e ai giudici di Mani Pulite, e nell'affermazione di aver ricevuto finanziamenti illeciti, ma non a fini di corruzione. Si soffermò anche su alcuni suoi ex sodali, come Giuliano Amato, da lui dipinto come il becchino, in alcuni dei quadri, della cui pittura si dilettò nella parte finale della sua vita. Dall'estero, assistette alla fine del PSI, con la divisione dei suoi maggiori esponenti, confluiti in parte nel Polo delle Libertà, in parte nell'Ulivo, in genere non approvandone spesso le scelte politiche.[92][93]

Craxi, secondo quanto dichiarato dai figli, nutriva inoltre la convinzione che i giudici di Mani Pulite fossero stati manipolati da parte di ex comunisti e spinti anche da settori del governo degli Stati Uniti, che volevano un "cambio di regime politico" dopo la crisi di Sigonella, poiché, anche se non antiamericano, Craxi era considerato troppo "indipendente", e approfittarono del finanziamento illecito ai partiti.[94][95][96][97][98] Craxi ipotizzò anche un intervento della Central Intelligence Agency, volto a guidare l'azione del pool di Milano.[99]

Affetto da cardiopatia, gotta e da molti anni malato di diabete, colpito poi da un tumore a un rene, Craxi morì il 19 gennaio del 2000 per un arresto cardiaco.[100] L'allora presidente del Consiglio e leader dei Democratici di Sinistra Massimo D'Alema propose le esequie di Stato, ma la sua proposta non fu accettata né dai detrattori né dalla famiglia stessa di Craxi, che accusò l'allora governo di avere impedito al leader socialista di rientrare in Italia per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico presso l'ospedale San Raffaele di Milano (operazione effettuata invece a Tunisi).

I funerali di Craxi ebbero luogo alla cattedrale di Tunisi e videro una larga partecipazione della popolazione autoctona. Ex militanti del PSI e altri italiani giunsero in Tunisia per rendere l'ultimo saluto al loro leader. Le precedenti vicende dell'epoca Mani Pulite, ancora vicine, non erano dimenticate dalla folla di socialisti giunta fuori la cattedrale della città tunisina e la delegazione del governo D'Alema, formata da Lamberto Dini e Marco Minniti, venne bersagliata da insulti e da un lancio di monete che voleva rappresentare la simbolica restituzione di quanto ricevuto con l'episodio all'Hotel Raphael[101]. La sua tomba, nel piccolo cimitero cristiano di Hammamet, è orientata in direzione dell'Italia[102].

Giudizio storico ed accertamenti giudiziari
Il "craxismo" tra revisione "estetica" e rivoluzione modernista
Il termine "craxismo" e "craxiano" vennero usati per definire, in senso prima dispregiativo, poi storico-politico, la stagione politica di Craxi, ma non furono mai usati dal leader socialista. Egli stesso definiva la sua azione come ispirata al socialismo riformista classico e autonomista, ma ebbe gli elogi, per il patriottismo che si richiamava a Giuseppe Garibaldi, di parti politiche opposte alla sua: il giornalista e storico di destra Giano Accame definì quello di Craxi un "socialismo tricolore", ossia un socialismo nazionale, ma di stampo democratico e di sinistra.[103]

Nella storiografia più recente è stato evidenziato "il nesso che Craxi riuscì a stabilire tra la modernizzazione in atto nella società italiana e la necessità di operare una modernizzazione sia nei partiti sia nelle istituzioni. Questa modernizzazione egli la interpretò, sembra giustamente, nel senso di un rafforzamento della leadership sia all'interno dei partiti sia nell'apparato decisionale con una stabilizzazione ed un consolidamento del ruolo del capo del governo. Al primo aspetto si legò lo sforzo di plasmare la struttura socialista in senso «leggero» e progressivamente deideologizzato: un partito agile adatto ad una «guerra per bande», come lo avrebbe definito nel 1987 Gaetano Arfé. Al secondo appartenne una prassi di governo che accentuò molto il ruolo personale e certi elementi di decisionismo appartenuti alla personalità del leader socialista"[104].

Il lato negativo del craxismo è che indubbiamente, più di quanto già facevano i partiti concorrenti, accentuò la necessità di procurare risorse al partito per procurare consensi tramite convegni, manifestazioni, ecc. in cui tutte le spese erano a carico del partito; ma ancor più grave fu la deliberata politica di espansione del deficit pubblico per aumentare il benessere immediato dei cittadini, senza tagliare nessuno spreco, lasciando così il conto da pagare alle generazioni future. Sul mutamento introdotto da Craxi nella politica e nella società italiana, vi è chi ha sottolineato come, al di là delle estremizzazioni mediatiche, il craxismo abbia "lanciato" una generazione di giovani di cui, ancora a vent'anni di distanza e dagli opposti fronti degli schieramenti parlamentari, le istituzioni e la gestione della cosa pubblica ancora si avvalgono.[105]

Ma il quesito storiografico è se questa spinta modernizzatrice abbia avuto anche un valore in sé, oltre all'emersione di una nuova generazione di politici e di amministratori[106]. Secondo alcuni[107] gli anni di Craxi “sono il frutto di quell'idea di moderno in cui l'individualismo senza princìpi si sostituisce alle solidarietà tradizionali in crisi”, di cui quel governo seppe solo accelerare la “destrutturazione” senza sostituirvi nuovi valori.


Bettino Craxi
Secondo altri[108], invece, “Craxi interpreta le domande di dinamicità di una società che cambia e chiede alla politica di stare al passo”, a differenza di chi vedeva “nei cambiamenti un'insidia, anziché un'opportunità”; la teoria - elaborata da Craxi insieme con Claudio Martelli - dei «meriti e bisogni», "che fu contrapposta all'egualitarismo delle culture politiche allora vigenti, ha fatto da apripista a quella meritocrazia della quale - almeno a parole - oggi nessuno riesce a prescindere"[109]. Gennaro Acquaviva, in particolare, gli riconosce «la dote, che fu particolarmente sua, di saper prendere decisioni politiche serie e rischiose con freddezza e al momento giusto, costruendosi contemporaneamente condizioni e forza sufficienti a fargli convogliare sulla decisione un consenso ampio e solido, in grado di portarlo alla realizzazione della decisione stessa».[110]

Certo è che dagli anni ottanta parole d'ordine come "governabilità" e "decisionismo" - dopo la deriva degli anni settanta, in cui ogni forma di autorità era osteggiata come potenziale fonte di autoritarismo - sono state successivamente invocate da destra e da sinistra per proporre un approccio modernistico all'organizzazione del sistema-Paese. Vi è stato però chi ha sottovalutato l'apporto ideale di tale approccio, rilevando che esso andava incontro ad una pulsione già presente nella politica italiana negli anni cinquanta ed all'epoca soddisfatta dall'interventismo in economia del primo Fanfani e dalle ricette solidaristiche e stataliste dei morotei; Craxi avrebbe soltanto "aggiornato" le soluzioni offerte dalla politica degli anni ottanta, sposando un moderato liberismo economico più in voga nell'epoca di Reagan e Thatcher. Da ciò la spiegazione della competizione senza quartiere che si scatenò tra PSI craxiano e sinistra DC per oltre un decennio, vista come deleteria dalla parte più tradizionalista del Paese che vi leggeva il pericolo di un riformismo foriero di un tracollo delle strutture-partito su cui si fondava la democrazia italiana del dopoguerra[111].

Come arma di tattica politica, volta a spezzare il connubio tra democristiani di sinistra e partito comunista che negli anni settanta aveva compresso lo spazio di manovra del PSI, abbandonò la delimitazione dei rapporti politici all'"arco costituzionale": ricevette Almirante nelle consultazioni di governo[112] e consentì all'elezione di un deputato del partito di destra ad un organo parlamentare di garanzia[113]. Vi è stato chi, vent'anni dopo, ha ritenuto di leggere da tutto ciò un'apertura politica alla destra, anticipando lo "sdoganamento" di Fini da parte di Berlusconi nel "discorso di Casalecchio" del 1993[114]. Eppure, una testimonianza circa il ruolo consulenziale che avrebbe svolto Craxi nel 1993 nei confronti dell'ingresso in politica di Silvio Berlusconi, esclude che nel suo disegno fosse coinvolta la destra post-fascista[115].

Quali che fossero destinati ad essere i suoi orientamenti tattici dopo la rovinosa caduta degli anni novanta, la sua formazione personale e politica restava strategicamente di sinistra[116]: per tutti gli anni ottanta l'attenzione per il progresso sociale e le conquiste sociali della sinistra non fu da lui abbandonata[117], se è vero che, ancora vent'anni dopo, Massimo D'Alema indicava in Craxi uno dei due soli leader (l'altro è lui stesso) di partiti di sinistra che abbiano assunto la carica di capo del Governo nei 148 anni dall'Unità d'Italia[118]; analoga posizione ha assunto Piero Fassino[119].

Le sentenze di condanna
Craxi è stato condannato con sentenza passata in giudicato a:

5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo ENI-SAI il 12 novembre 1996[120];
4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese il 20 aprile 1999[121].
Per tutti gli altri processi in cui era imputato (alcuni dei quali in secondo o in terzo grado di giudizio), è stata pronunciata sentenza di estinzione del reato a causa del decesso dell'imputato. Fino a quel momento Craxi era stato condannato a:

4 anni e una multa di 20 miliardi di lire in primo grado per il caso All Iberian il 13 luglio 1998[122], pena poi prescritta in appello il 26 ottobre 1999[123].
5 anni e 5 mesi in primo grado per tangenti ENEL il 22 gennaio 1999[124];
5 anni e 9 mesi in appello per il conto protezione, sentenza poi annullata dalla Cassazione con rinvio il 15 giugno 1999[125];
3 anni in appello bis per il caso Enimont il 1º ottobre 1999[126];
Craxi fu anche rinviato a giudizio il 25 marzo 1998 per i fondi neri Montedison[127] e il 30 novembre 1998 per i fondi neri Eni[128].

Le prove sulla base delle quali furono emesse le prime sentenze di condanna della vicenda giudiziaria di Craxi, secondo alcuni autori, si incaricheranno di smentire due dei suoi principali assunti difensivi. Il primo era quello secondo cui i reati erano stati compiuti solo per eludere le forme di pubblicità obbligatoria del finanziamento dei partiti, e non in contraccambio di atti amministrativi: in un caso (sentenza ENI-SAI) la sua condanna definitiva fu per corruzione[23], e non solo per finanziamento illecito di partito (ciò spiega l'insistenza dei suoi eredi nell'attaccare la procedura di quella sentenza dinanzi alla Corte di Strasburgo).

L'altro assunto era quello secondo cui i proventi dei reati contestatigli era destinato al partito e non a fini personali; varie sentenze - non passate in giudicato solo per il decesso dell'imputato - sostennero in motivazione che Craxi aveva utilizzato parte dei proventi delle tangenti (circa 50 miliardi di lire) per scopi personali (Finanziamento del canale televisivo GBR di proprietà di Anja Pieroni, acquisto di immobili, affitto di una casa in Costa Azzurra per il figlio)[129]; durante le indagini (dopo un fallito tentativo di far rientrare tali proventi in Italia, bloccato dal nuovo segretario del Psi Ottaviano Del Turco) Craxi li versò sul conto di un prestanome, Maurizio Raggio[130].

La lettura di un uso privato dei fondi, ancora assai ricorrente, fu sostenuta da Vittorio Feltri all'epoca dei fatti, ma è stata dallo stesso abbandonata più di recente[131] (lo stesso Feltri ammise anche di aver attaccato Craxi in maniera eccessiva[132]) venendo così sostanzialmente a coincidere con quanto sempre sostenuto dai familiari circa l'esistenza di conti segreti ascrivibili al solo PSI[133]. Distinguendo tra movente e comportamenti, uno dei giudici del pool anticorruzione di Milano, Gerardo D'Ambrosio, sostenne in proposito: «La molla di Craxi non era l'arricchimento personale, ma la politica»[134].

Le sentenze di assoluzione
Craxi venne invece assolto:

nel processo per le tangenti Intermetro, dal tribunale di Roma nel 1999.[135]
nel processo alle irregolarità degli appalti per la costruzione della metropolitana di Lima, in Perù; l'estraneità dell'ormai defunto Craxi venne riconosciuta, sempre a Roma, nella sentenza che assolse tutti i co-imputati nel 2002.[136]
I ricorsi a Strasburgo contro le sentenze di condanna
Il 5 dicembre 2002 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo (dopo aver bocciato il ricorso in prima istanza[137]) ha emesso una sentenza d'appello - in riferimento al processo preso in esame, quelli ENI-Sat - che condanna la giustizia italiana per la violazione dell'articolo 6 ("equo processo"), paragrafo 1 e paragrafo 3, lettera D ("diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni") della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, in ragione dell'impossibilità di «contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della condanna», condanna formulata «esclusivamente sulla base delle dichiarazioni pronunciate prima del processo da coimputati (Cusani, Molino e Ligresti) che si sono astenuti dal testimoniare e di una persona poi morta (Cagliari)».[138][139]

Tuttavia, la Corte ha rilevato anche che i giudici, obbligati ad acquisire le dichiarazioni di questi testimoni dal codice di procedura penale, si sono comportati in conformità al diritto italiano. Per quanto riguarda gli altri ricorsi valutati (diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie alla difesa) la corte non ha rilevato violazioni. Per la violazione riscontrata la corte non ha comminato nessuna pena, in quanto ha stabilito che «la sola constatazione della violazione comporta di per sé un'equa soddisfazione sufficiente, sia per il danno morale che materiale».[138]

La Corte ha emesso una seconda sentenza il 17 luglio 2003, questa volta riguardante la violazione dell'articolo 8 della Convenzione ("diritto al rispetto della vita privata"). La Corte ha rilevato infatti che «lo Stato italiano non ha assicurato la custodia dei verbali delle conversazioni telefoniche né condotto in seguito una indagine effettiva sulla maniera in cui queste comunicazioni private sono state rese pubbliche sulla stampa» e che «le autorità italiane non hanno rispettato le procedure legali prima della lettura dei verbali delle conversazioni telefoniche intercettate». Come equa soddisfazione per il danno morale, la Corte ha elargito un risarcimento di 2000 € per ogni erede di Bettino Craxi.[140]

Eredità politica
La forte personalità di Bettino Craxi incise in tal modo sulla strutturazione stessa del PSI da determinarne, dopo la sua uscita di scena e anche a causa delle inchieste di Tangentopoli, il rapido e repentino disfacimento. Dei tre immediati eredi del PSI, i Socialisti Italiani (eredi legali del simbolo e del nome), la Federazione Laburista e il Partito Socialista Riformista, sarà quest'ultimo, nonostante la breve vita, ad ospitare la maggioranza dei membri della corrente craxiana rimasti in politica.


Craxi al congresso socialista del 1978
Oggigiorno, molti esponenti socialisti già a lui fedeli hanno aderito a Forza Italia, il partito dell'amico Silvio Berlusconi (tra gli altri, la figlia Stefania (poi fondatrice di un partito autonomo denominato Riformisti Italiani), Fabrizio Cicchitto, Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta, Franco Frattini), altri sono andati a sinistra, aderendo prima ai Socialisti Italiani e successivamente al partito dei Socialisti Democratici Italiani, guidato da Enrico Boselli (tra cui Ugo Intini e Ottaviano Del Turco; quest'ultimo poi ha aderito al Partito Democratico), o confluendo nei DS (la Federazione Laburista di Valdo Spini e i Riformatori per l'Europa di Giorgio Benvenuto).

Anche la corrente di maggioranza della CGIL (oggi vicina al Partito Democratico) è stata guidata da un ex-craxiano, Guglielmo Epifani, che fu anche segretario confederale; Guglielmo Epifani è stato poi nominato segretario del PD nel 2013 dall'Assemblea Nazionale, ponendo quindi un esponente del gruppo craxiano degli anni Ottanta alla guida del partito che comprende una parte degli ex comunisti, tra cui molti che furono accesi rivali e forti critici di Craxi stesso; socialista era anche il giurista del diritto del lavoro Marco Biagi, poi assassinato dalle Nuove Brigate Rosse.

Altro partito erede della politica craxiana è il Nuovo PSI (nato dalla fusione del Partito Socialista - Socialdemocrazia e della Lega Socialista), che vede nelle sue file uno dei più importanti esponenti socialisti degli anni ottanta, Gianni De Michelis, già ministro degli esteri; tuttavia, De Michelis e Bobo Craxi, figlio secondogenito di Bettino, a seguito di un infuocato congresso celebratosi verso la fine del 2005 si sono contesi con reciproche contestazioni la guida del partito, con strascichi anche giudiziari. L'oggetto del contendere furono le alleanze politiche: Bobo Craxi intendeva far entrare il Nuovo PSI, che finora ha appoggiato i governi berlusconiani, nell'Unione di centrosinistra, mentre De Michelis, pur concordando nel ridiscutere il rapporto con Berlusconi, si era dichiarato contrario a questa alleanza; anche Stefania Craxi, in contrapposizione con Bobo, si è fermamente opposta ad un passaggio dei socialisti craxiani nella coalizione prodiana.

Tuttavia Bobo Craxi ha fondato una sua lista in appoggio della coalizione dell'Ulivo, denominata I Socialisti (oggi un piccolo partito denominati Socialisti Uniti e guidato da Saverio Zavettieri). L'anno successivo, però, anche De Michelis ha abbandonato il centro-destra, per avvicinarsi, seppur brevemente e criticamente, al centro-sinistra, per tornare poi a collaborare col ministro berlusconiano Renato Brunetta. Claudio Martelli ha invece aderito prima allo SDI, poi al Nuovo PSI, prima di ritornare alla sua precedente attività giornalistica. Nel 2007 molti craxiani hanno aderito alla Costituente Socialista di Enrico Boselli, volta a ricostituire il PSI, che ha sancito la rinascita del Partito Socialista, seppur in forma ridotta, rispetto quello dell'epoca craxiana.

Sia Boselli che il successore come segretario, Riccardo Nencini, hanno rivendicato al PSI moderno l'eredità politica migliore di Craxi, cosa fatta anche, nell'area laica, dal leader radicale Marco Pannella.[141] A parte queste contese strettamente partitiche, l'eredità politica di Craxi è oggi contesa da parte del centrosinistra, sia da numerosi esponenti del Partito Democratico (alcuni dei quali provenienti dal PSI craxiano), sia dal rinato Partito Socialista Italiano ma anche dal Popolo della Libertà (centro-destra), alleato con il Nuovo PSI.

Nel bene e nel male, si tratta di comunque di una figura che ha segnato indiscutibilmente la politica e la storia italiane del dopoguerra.[142] Nel libro Segreti e Misfatti (2005), scritto dal suo fotografo personale e amico fidato fino agli ultimi giorni tunisini Umberto Cicconi, si scoprono molti retroscena curiosi ma anche di grande interesse politico, storico ed umano. Sempre lo stesso anno, la pubblicazione del libro di Bruno Vespa, L'Amore e il Potere, contenente anche gossip su Craxi e le sue presunte amanti, ha provocato la reazione del figlio Bobo, che ha definito il carattere del libro "particolarmente odioso".[143]

La Fondazione Craxi
« La mia libertà equivale alla mia vita »
(Epitaffio della tomba di Bettino Craxi)
La Fondazione Craxi è una fondazione nata il 18 maggio 2000 allo scopo di tutelare la personalità, l'immagine, il patrimonio culturale e politico di Bettino Craxi attraverso la raccolta di tutti i documenti storici che riguardino la sua storia politica. Principale animatrice è la figlia Stefania Craxi, già deputato del gruppo Misto e oggi presidente del movimento politico Riformisti Italiani. La sede principale è a Roma, mentre un'altra importante sede si trova ad Hammamet, in Tunisia, luogo dove è sepolto Bettino Craxi.

Tra le attività della fondazione vi è la costituzione e valorizzazione dell'"Archivio Storico Craxi", costituito riunendo documenti conservati in diversi luoghi (Milano, Roma, Hammamet), costituiti essenzialmente da corrispondenza, memorie, discorsi, articoli, interviste, atti processuali. L'obiettivo generale è quello di "riabilitare" la figura dello statista italiano coinvolto nei processi di Mani Pulite e di riqualificarne l'importanza storica nonostante le svariate condanne penali riportate. La fondazione figura anche come organizzatrice di convegni e mostre inerenti alla vita e all'attività politica di Bettino Craxi, cui affianca anche un'attività editoriale.

Riconoscimenti
A seguito del ricorrente tentativo di conseguire un atto ufficiale che esprima una condivisione pubblica dell'operato del personaggio[144], si apre periodicamente il dibattito sull'opportunità o meno di intitolare in Italia una strada al leader socialista. Ad una disamina condotta nel dicembre 2009, risultano i toponimi "piazza Bettino Craxi" nei comuni di Grosseto e Lissone[145] e "via Bettino Craxi" in quelli di Valmontone, Lecce, Botrugno, Marano Marchesato, Alà dei Sardi e Scalea[146]. Nella città di Aulla (provincia di Massa e Carrara) nel 2003 per iniziativa dell'allora sindaco Lucio Barani era stata eretta anche una statua di Craxi (di marmo bianco, con la scritta: "A Bettino Craxi, statista, esule e martire"[147]), oltre ad intitolargli una piazza.[147]

La frase sulla tomba di Craxi ("La mia libertà equivale alla mia vita"), a lui stesso attribuita, è scolpita anche nel monumento alle vittime di Tangentopoli, situato sempre ad Aulla. La statua (proprietà del Nuovo PSI, che la commissionò, secondo quanto dichiarato da Barani) fu messa in vendita dall'amministrazione successiva. Lo scultore Maurizio Cattelan ha scolpito un altro monumento marmoreo a Bettino Craxi.[148] Il monumento è stato scolpito dall'artista veneto ispirandosi ad un modello non utilizzato dagli scultori della cave di Carrara, per la realizzazione della statua posizionata ad Aulla, ma includendo rimasugli di un'opera degli anni Trenta, modificata per l'occasione. Intenzione di Cattelan era posizionarlo a Carrara al posto della statua di Giuseppe Mazzini, per dimostrare la "vulnerabilità della storia", ma successivamente, in seguito a proteste, è stato messo in un vicino cimitero.

L'opera raffigura una sorta di piccolo tempio greco in bassorilievo, con due angeli piegati, mentre due putti sollevano un tondo con un ritratto di profilo del leader socialista.[149][150] Il governo tunisino ha provveduto, il 19 gennaio 2007, in occasione del settimo anniversario della sua morte, a intitolargli una via. Il 15 gennaio 2007 in un comune laziale di 2.500 anime, Sant'Angelo Romano, a 20 chilometri da Roma, l'amministrazione di centrodestra guidata dal sindaco Angelo Gabrielli, ex socialista, ha inaugurato una piazza all'ex leader socialista.

Per quanto riguarda le grandi città, violente polemiche hanno frenato la decisione toponomastica: sette anni dopo la sua morte aveva preso avvio il progetto di intitolare una strada di Roma a Bettino Craxi. La decisione è stata presa la prima volta dal sindaco della Capitale Walter Veltroni[151], in accordo con la sua giunta di centro-sinistra, e poi ribadita dal nuovo sindaco Alemanno. Nel 2009 identica proposta è stata avanzata dal sindaco di Milano Letizia Moratti, portando ad una manifestazione di protesta, svoltasi il 9 gennaio 2010 in piazza Cordusio, durante la quale Beppe Grillo e Antonio di Pietro hanno arringato gli oltre cento partecipanti.[152]

Cultura di massa
Ha dato anche il nome ad una band musicale degli anni 2000, i Craxi.[153]

Soprannomi
Per alcuni anni fu soprannominato il "Cinghialone" dai suoi detrattori, dopo esser stato così definito in un articolo di Vittorio Feltri sul quotidiano L'Indipendente; più raffinatamente, Indro Montanelli, sul Giornale, nel giorno delle sue dimissioni da segretario del PSI, lo definì un "imano", volendo intendere forse la parola imam,[154] dandogli quindi il senso di un dignitario/satrapo orientale. Matt Frei[155] afferma che nella Roma politica il suo epiteto sarebbe stato il "Maestro", in quanto padrone delle mille tattiche utili alla strategia politica che lo aveva posto al centro della vita nazionale per oltre un decennio.
Nella polemica su Tangentopoli, era comune in quel periodo storico sentire definito Craxi come "ladrone", detentore di un tesoro alla Ali Baba[156]. Rispetto a questo tipo di definizioni - la cui ampia diffusione nell'opinione pubblica sfugge oramai ad un giudizio solo processuale, essendo la forma di percezione pubblica di un giudizio storico - più eleganti appaiono i richiami storici ricercati da autori di più auliche similitudini. Ad esempio, Francesco De Gregori lo definì Nerone in una sua canzone[157].
Craxi usò lo pseudonimo Ghino Di Tacco, epiteto datogli da Eugenio Scalfari, per firmare articoli anonimi sul giornale Avanti![158]. A volte il nome fu storpiato dagli avversari in Ghigno Di Tacco, in riferimento presunto all'espressione facciale di Craxi.[159] Giorgio Forattini, che allora lavorava per la Repubblica, il giornale diretto da Scalfari, storpiò a sua volta questo soprannome in Benito di Tacco, perché era solito rappresentare Craxi in camicia nera e stivali, per via dei suoi modi "da Duce".
Scritti
Socialismo e realtà, Milano, Sugar & C., 1973.
Soldado amigo, Milano, Studio Tecno Service, 1973.
Nove lettere da Praga, Milano, Sugar & C., 1974.
Socialismo da Santiago a Praga, Milano, Sugar & C., 1976.
Costruire il futuro, Milano, Rizzoli, 1977.
Lotta politica, Milano, SugarCo, 1978.
Pluralismo o leninismo, Milano, SugarCo, 1978.
Uscire dalla crisi costruire il futuro. Relazione e replica al XLI congresso Torino 29 marzo-2 aprile 1978, Roma, Aesselibri, 1978.
L'Internazionale socialista, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1979.
Prove. Marzo 1978 - gennaio 1980, Milano, SugarCo, 1980.
La campagna di primavera, Milano, Biblioteca rossa, 1980.
Un passo avanti, Milano, SugarCo, 1981.
Il riformismo socialista italiano, vol. 8, Il rinnovamento socialista, Venezia, Marsilio, 1981.
Rinnovamento socialista per il rinnovamento dell'Italia. Relazione e replica al XLII congresso Palermo 22-26 aprile 1981, Roma, Aesselibri, 1981.
Turati e Pertini. Discorso del segretario del Psi al convegno storico internazionale "Filippo Turati e il socialismo europeo" Milano, dicembre 1982, Roma, Calanchini, 1982.
Cento anni dopo, Milano, Biblioteca rossa, 1982.
Cristianesimo e socialismo, Padova, Marsilio, 1983.
Tre anni, Milano, SugarCo, 1983.
Ignazio Silone, la via della verità. Testo integrale del discorso del Presidente del Consiglio, Pescina, 2 dicembre 1984, Roma, Edizioni del garofano, 1984.
L'Italia liberata, Milano, SugarCo, 1984.
Il rinnegato Silone, Roma, Edizioni del garofano, 1984.
Una società giusta una democrazia governante. Relazione e replica al XLIII congresso Verona 11-14 maggio 1984, Roma, Aesselibri, 1984.
Il progresso italiano, 2 voll., Milano, SugarCo, 1985-1989.
E la nave va, Roma, Edizioni del garofano, 1985.
L'Italia che cambia. Viaggi e discorsi di Bettino Craxi 1983-1985, Milano, SugarCo, 1985.
Il nuovo ruolo di pace di un'Italia sempre più integrata nell'economia mondiale, Roma, Edizioni Avanti, 1985.
La cultura dello sviluppo. Quattro anni di ripresa nella stabilita di governo attraverso i discorsi alla Fiera del Levante, Bari, Laterza, 1986.
Fiducia nell'Italia che cambia, Roma, Edizioni Avanti, 1986.
Misura per misura. Ricordo di una tragedia, Roma, Edizioni Avanti, 1986.
Cresce l'Italia, Milano, SugarCo, 1987.
L'Italia che cambia e i compiti del riformismo. Relazione e replica al XLIV congresso Rimini 31 marzo-5 aprile 1987, Roma, Aesselibri, 1987.
Una responsabilità democratica, una prospettiva riformista per l'Italia che cambia. Relazione introduttiva del segretario del PSI al XLIV Congresso. Rimini, 31 marzo - 5 aprile 1987, Roma, Edizioni Avanti, 1987.
Per il socialismo e per il progresso dell'Italia. Discorso di chiusura del XLIV Congresso del PSI Rimini 5 aprile 1987, Roma, Edizioni Avanti, 1987.
Un'onda lunga. Articoli, interviste, discorsi. Gennaio-dicembre 1988, Milano, SugarCo, 1988.
La politica socialista. Discorsi, articoli, interviste giugno 1987 - febbraio 1988, Roma, Aesselibri, 1988.
Una prospettiva d'avvenire. Articoli, interviste, discorsi. Gennaio-dicembre 1989, Roma, Aesselibri, 1989.
Al lavoro per il mondo più povero, Milano, Fiorin, 1990.
Pagine di storia della libertà, Firenze, Le Monnier, 1990.
Per il bene comune, Roma, Aesselibri, 1990.
Il caso C., Milano, Giornalisti editori, 1994.
Il caso C., (parte seconda), Milano, Giornalisti editori, 1995.
Il caso Cagliari, Milano, Giornalisti editori, 1995.
Capitolo finale, Milano, Giornalisti editori, 1995.
Garibaldi a Tunisi, Tunis, Med ed., 1995.
Il finanziamento della politica, Milano, Giornalisti editori, 1996.
Rosso giallo nero sporco e grigio, Milano, Giornalisti editori, 1996.
Guerra d'Africa, Milano, Giornalisti editori, 1997.
Memoria numero 1. Per una Commissione parlamentare di inchiesta su Tangentopoli, Milano, Giornalisti editori, 1998.
Quattro anni di governo, Milano, Giornalisti editori, 1998.
La Rivoluzione di Milano. Un cittadino di Porta romana, Milano, Giornalisti editori, 1998.
Ghino di Tacco. Gesta e amistà di un brigante gentiluomo, Roma, Koine Nuove edizioni, 1999.
Sempre qualcosa di nuovo dall'Africa, Brescia, Edizione Di la dal fiume e tra gli alberi, 1999.
Craxi. Un artista tra dada e pop art, Roma, Cosmopoli, 2000.
Fax dall'esilio, Roma, L'Avanti!, 2001.
Pace nel Mediterraneo, Venezia, Marsilio, 2006.
Discorsi parlamentari, 1969-1993, Roma, GLF editori Laterza, 2007.
Passione garibaldina, Venezia, Marsilio, 2007.

V, VI, VII, VIII, IX, X, XI

 

I Governo CRAXI 4 agosto 1983 al 1º agosto 1986

Composizione
Camera dei Deputati Seggi
Democrazia Cristiana
Partito Socialista Italiano
Partito Repubblicano Italiano
Partito Socialdemocratico Italiano
Partito Liberale Italiano
Südtiroler Volkspartei
Union Valdôtaine
Totale Maggioranza 225
73
29
23
16
3
1
370
Partito Comunista Italiano
Movimento Sociale Italiano
Partito Radicale
Democrazia Proletaria
Partito Sardo d'Azione
Liga Veneta
Totale Opposizione 198
42
11
7
1
1
260
Totale 630
Senato della Repubblica Seggi
Democrazia Cristiana
Partito Socialista Italiano
Partito Repubblicano Italiano
Partito Socialdemocratico Italiano
Partito Liberale Italiano
Südtiroler Volkspartei
Union Valdôtaine
Totale Maggioranza 120
38
11
8
6
3
1
187
Partito Comunista Italiano
Movimento Sociale Italiano
Partito Radicale
Partito Sardo d'Azione
Liga Veneta
Totale Opposizione 107
18
1
1
1
128
Totale 315
Composizione del governo:
Partito Socialista Italiano (PSI), Presidente del Consiglio, 5 ministri e 14 sottosegretari
Democrazia Cristiana (DC), 15 ministri, 31 sottosegretari e Vicepresidente del Consiglio
Partito Repubblicano Italiano (PRI), 3 ministri e 6 sottosegretari
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), 3 ministri e 5 sottosegretari
Partito Liberale Italiano (PLI), 2 ministri e 4 sottosegretari.

Presidente del Consiglio dei ministri
Bettino Craxi (PSI)

Vicepresidente del Consiglio dei ministri
Arnaldo Forlani (DC)

Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio dei ministri
Giuliano Amato (PSI, segretario del Consiglio dei ministri), Pasquale Lamorte (DC, interventi nel Mezzogiorno), Enrico Quaranta (PSI, interventi nel Mezzogiorno, deceduto il 16/03/84), Nicola Trotta (PSI, interventi nel Mezzogiorno, dal 06/04/84)

Ministeri senza portafoglio

Affari regionali
Pier Luigi Romita (PSDI) fino al 30/07/84
Carlo Vizzini (PSDI) dal 30/07/84

Coordinamento iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica
Luigi Granelli (DC)

Coordinamento delle politiche comunitarie
Francesco Forte (PSI) fino al 09/05/85
Loris Fortuna (PSI) dal 09/05/85

Coordinamento della protezione civile
Vincenzo Scotti (DC) fino al 26/03/84
Giuseppe Zamberletti (DC) dal 26/03/84

Ecologia
Alfredo Biondi (PLI) fino al 31/07/85
Valerio Zanone (PLI) dal 31/07/85

Funzione pubblica
Remo Gaspari (DC)

Interventi straordinari nel Mezzogiorno
Salverino De Vito (DC)

Rapporti col Parlamento
Oscar Mammì (PRI)

MINISTERI


Ministero degli Affari Esteri
Ministro Giulio Andreotti (DC)
Sottosegretari Susanna Agnelli (PRI), Bruno Corti (PSDI), Mario Fioret (DC), Mario Raffaelli (PSI), Francesco Forte (PSI, per la fame nel mondo)

Interno
Ministro Oscar Luigi Scalfaro (DC)
Sottosegretari Paolo Barsacchi (PSI), Adriano Ciaffi (DC), Marino Corder (DC), Raffaele Costa (PLI)

Grazia e Giustizia
Ministro Mino Martinazzoli (DC)
Sottosegretari Luciano Bausi (DC), Antonio Carpino (PSI), Dante Cioce (PSDI)

Bilancio e Programmazione Economica
Ministro Pietro Longo (PSDI) fino al 13/07/84
Bettino Craxi interim fino al 30/07/84
Pier Luigi Romita dal 30/07/84
Sottosegretari Alberto Aiardi (DC), Carlo Vizzini (PSDI, fino al 30/07/84), Alberto Ciampaglia (PSDI, dal 02/08/84)

Finanze
Ministro Bruno Visentini (PRI)
Sottosegretari Franco Bortolani (DC), Giuseppe Caroli (DC), Domenico Raffaello Lombardi (DC), Domenico Susi (PSI)

Tesoro
Ministro Giovanni Goria (DC)
Sottosegretari Carlo Fracanzani (DC), Manfredo Manfredi (politico) (DC, fino al 25/02/84), Eugenio Tarabini (DC, dal 06/04/84), Giovanni Nonne (PSI), Gianni Ravaglia (PRI)

Difesa
Ministro Giovanni Spadolini (PRI)
Sottosegretari Tommaso Bisagno (DC), Bartolomeo Ciccardini (DC), Vittorio Olcese (PRI), Silvano Signori (PSI)

Pubblica Istruzione
Ministro Franca Falcucci (DC)
Sottosegretari Domenico Amalfitano (DC), Mario Dal Castello (DC), Giuseppe Fassino (PLI), Fabio Maravalle (PSI)

Lavori Pubblici
Ministro Franco Nicolazzi (PSDI)
Sottosegretari Gaetano Gorgoni (PRI), Mario Tassone (DC)

Agricoltura e Foreste
Ministro Filippo Maria Pandolfi (DC)
Sottosegretari Giulio Santarelli (PSI), Giuseppe Zurlo (DC)

Trasporti
Ministro Claudio Signorile (PSI)
Sottosegretari Niccolò Grassi Bertazzi (DC), Savino Melillo (PLI), Giuseppe Santonastaso (DC)

Poste e Telecomunicazioni
Ministro Antonio Gava (DC)
Sottosegretari Giuseppe Avellone (DC), Giorgio Bogi (PRI), Giuseppe Reina (PSI)

Industria, Commercio e Artigianato
Ministro Renato Altissimo (PLI)
Sottosegretari Bruno Orsini (DC), Nicola Sanese (DC), Sisinio Zito (PSI)

Sanità
Ministro Costante Degan (DC)
Sottosegretari Paola Cavigliasso (DC), Francesco De Lorenzo (PLI), Carlo Romei (DC)

Commercio con l'Estero
Ministro Nicola Capria (PSI)
Sottosegretari Francesco Vittorio Mazzola (DC), Giovanni Prandini (DC)

Marina Mercantile
Ministro Gianuario Carta (DC)
Sottosegretari Giuseppe Cerami (DC), Alberto Ciampaglia (PSDI, fino al 02/08/84), Silvano Costi (PSDI, dal 02/08/84)

Partecipazioni Statali
Ministro Clelio Darida (DC)
Sottosegretari Delio Giacometti (DC), Delio Meoli (PSI)

Lavoro e Previdenza Sociale
Ministro Gianni De Michelis (PSI)
Sottosegretari Andrea Borruso (DC), Gianfranco Conti Persini (PSDI), Pino Leccisi (DC)

Beni Culturali e Ambientali
Ministro Antonio Gullotti (DC)
Sottosegretari Giuseppe Galasso (PRI)

Turismo e Spettacolo
Ministro Lelio Lagorio (PSI)
Sottosegretari Luciano Faraguti (DC)

II Governo CRAXI 1º agosto 1986 al 17 aprile 1987

Composizione
Camera dei Deputati Seggi
Democrazia Cristiana
Partito Socialista Italiano
Partito Repubblicano Italiano
Partito Socialdemocratico Italiano
Partito Liberale Italiano
Südtiroler Volkspartei
Union Valdôtaine
Totale Maggioranza 225
73
29
23
16
3
1
370
Partito Comunista Italiano
Movimento Sociale Italiano
Partito Radicale
Democrazia Proletaria
Partito Sardo d'Azione
Liga Veneta
Totale Opposizione 198
42
11
7
1
1
260
Totale 630
Senato della Repubblica Seggi
Democrazia Cristiana
Partito Socialista Italiano
Partito Repubblicano Italiano
Partito Socialdemocratico Italiano
Partito Liberale Italiano
Südtiroler Volkspartei
Union Valdôtaine
Totale Maggioranza 120
38
11
8
6
3
1
187
Partito Comunista Italiano
Movimento Sociale Italiano
Partito Radicale
Partito Sardo d'Azione
Liga Veneta
Totale Opposizione 107
18
1
1
1
128
Totale 315
Composizione del governo:
Partito Socialista Italiano (PSI), Presidente del Consiglio, 5 ministri e 14 sottosegretari
Democrazia Cristiana (DC) 15 ministri, 32 sottosegretari e Vicepresidente del Consiglio
Partito Repubblicano Italiano (PRI), 3 ministri e 6 sottosegretari
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), 3 ministri e 5 sottosegretari
Partito Liberale Italiano (PLI), 2 ministri e 4 sottosegretari.

Presidente del Consiglio dei ministri
Bettino Craxi (PSI)

Vicepresidente del Consiglio dei ministri
Arnaldo Forlani (DC)

Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio dei ministri
Giuliano Amato (PSI, Segretario del Consiglio dei ministri), Pasquale Lamorte (DC, interventi nel Mezzogiorno), Nicola Trotta (PSI, interventi nel Mezzogiorno)

Ministeri senza portafoglio

Affari regionali
Carlo Vizzini (PSDI)

Coordinamento iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica
Luigi Granelli (DC)

Coordinamento delle politiche comunitarie
Fabio Fabbri (PSI)

Coordinamento della protezione civile
Giuseppe Zamberletti (DC)

Funzione pubblica
Remo Gaspari (DC)

Interventi straordinari nel Mezzogiorno
Salverino De Vito (DC)

Rapporti col Parlamento
Oscar Mammì (PRI)

MINISTERI

Affari esteri
Ministro Giulio Andreotti (DC)
Sottosegretari Susanna Agnelli (PRI), Francesco Cattanei (DC), Bruno Corti (PSDI), Francesco Forte (PSI, per la fame nel mondo), Mario Raffaelli (PSI)

Interno
Ministro Oscar Luigi Scalfaro (DC)
Sottosegretari Paolo Barsacchi (PSI, deceduto il 04/10/86), Adriano Ciaffi (DC), Raffaele Costa (PLI), Angelo Pavan (DC), Valdo Spini (PSI, dal 26/11/86)

Grazia e Giustizia
Ministro Virginio Rognoni (DC)
Sottosegretari Luciano Bausi (DC), Dante Cioce (PSDI), Salvatore Frasca (PSI)

Bilancio e Programmazione Economica
Ministro Pier Luigi Romita (PSDI)
Sottosegretari Alberto Aiardi (DC), Alberto Ciampaglia (PSDI)

Finanze
Ministro Bruno Visentini (PRI)
Sottosegretari Franco Bortolani (DC), Carlo Merolli (DC), Raffaele Russo (DC), Domenico Susi (PSI)

Tesoro
Ministro Giovanni Goria (DC)
Sottosegretari Beniamino Finocchiaro (PSI), Carlo Fracanzani (DC), Gianni Ravaglia (PRI), Eugenio Tarabini (DC)

Difesa
Ministro Giovanni Spadolini (PRI)
Sottosegretari Tommaso Bisagno (DC), Vittorio Olcese (PRI), Giuseppe Pisanu (DC), Silvano Signori (PSI)

Pubblica Istruzione
Ministro Franca Falcucci (DC)
Sottosegretari Domenico Amalfitano (DC), Luigi Covatta (PSI), Mario Dal Castello (DC), Giuseppe Fassino (PLI)

Lavori Pubblici
Ministro Franco Nicolazzi (PSDI)
Sottosegretari Gaetano Gorgoni (PRI), Mario Tassone (DC)

Agricoltura e Foreste
Ministro Filippo Maria Pandolfi (DC)
Sottosegretari Giulio Santarelli (PSI), Mariotto Segni (DC)

Trasporti
Ministro Claudio Signorile (PSI)
Sottosegretari Niccolò Grassi Bertazzi (DC), Giuseppe Santonastaso (DC)

Poste e Telecomunicazioni
Ministro Antonio Gava (DC)
Sottosegretari Giuseppe Avellone (DC), Giorgio Bogi (PRI), Giuseppe Demitry (PSI)

Industria, Commercio e Artigianato
Ministro Valerio Zanone (PLI)
Sottosegretari Angelo Gaetano Cresco (PSI), Savino Melillo (PLI), Nicola Sanese (DC), Giorgio Santuz (DC)

Sanità
Ministro Carlo Donat-Cattin (DC)
Sottosegretari Paola Cavigliasso (DC), Saverio D'Aquino (PLI), Gualtiero Nepi (DC)

Commercio con l'Estero
Ministro Rino Formica (PSI)
Sottosegretari Gianfranco Rocelli (DC), Alberto Rossi (DC)

Marina Mercantile
Ministro Costante Degan (DC)
Sottosegretari Silvano Costi (PSDI), Antonino Murmura (DC)

Partecipazioni Statali
Ministro Clelio Darida (DC)
Sottosegretari Delio Meoli (PSI), Angelo Picano (DC)

Lavoro e Previdenza Sociale
Ministro Gianni De Michelis (PSI)
Sottosegretari Andrea Borruso (DC), Gianfranco Conti Persini (PSDI), Pietro Mezzapesa (DC)

Beni Culturali e Ambientali
Ministro Antonio Gullotti (DC)
Sottosegretari Giuseppe Galasso (PRI)

Turismo e Spettacolo
Ministro Nicola Capria (PSI)
Sottosegretari Luciano Faraguti (DC)

Ambiente
Ministro Francesco De Lorenzo (PLI)
Sottosegretari Giorgio Postal (DC)

Fonti
- Altre

 

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