ATENE
358, Filippo
II di Macedonia sconfigge i peoni e gli illiri;
357,
Atene riconquista l'Eubea e il Chersoneso (penisola di Gallipoli) e
cerca di recuperare Anfipoli occupata da Filippo.
inizia la "guerra sociale": Chio, Rodi, Bisanzio e Coo si
ribellano ad Atene;
356, gli ateniesi sono sconfitti
dalle città in rivolta. Filippo
fonda la città di Filippi;
355, Atene riconosce l'indipendenza
delle città ribelli. I focesi, guidati da Filomelo,
prendono Delfi: la lega anfizionica dichiara la guerra sacra;
355-346, guerra sacra;
354,
morte di Filomelo;
353, vittoria del generale focese
Onomarco su Filippo
in Tessaglia;
352, presso il golfo di Pegaseo
Filippo sconfigge Onomarco,
avanza e si arresta alle Termopili;
351, prima Filippica di Demostene;
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359-350 a.C.
IMPERO
PERSIANO |
525 a.C. |
I successori di Ciro II
[il Grande] conquistano con relativa
facilità l'Egitto dando l'avvio a una denominazione straniera
che si protrarrà per duemila anni. |
SIRIA e PALESTINA [provincia occidentale] |
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La lingua ufficiale è l'aramaico. |
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EGITTO |
Dinastie |
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1075-332 a.C.: Epoca tarda |
XXX
(378-349) |
sebennitica:
- Nectanebo I, Tacho
- Nectanebo II |
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CINA
Periodo dei
Regni combattenti
(529-222 a.C.)
?
?-? a.C., imperatore della Cina;
continuano a succedersi sul trono i Chou,
a capo di un impero che è tale solo di nome.
È la volta del ? successore di Wen
Wang.
? a.C., Lo yang (valle del Lo), il sovrano celebra immancabilmente
i culti degli antenati, del Cielo e della Terra, seguendo formule
antiche di secoli; ma l'autorità dell'imperatore viene
esercitata solo su una minima parte del territorio cinese. Nel
rimanente regna l'anarchia. Ogni principe, ogni duca di un feudo
autonomo celebra il culto come gli pare.
Nel conglomerato di piccoli stati si distinguono tre stelle
di prima grandezza, i regni di:
- Ts'i;
- Ch'u (di derivazione
militare);
- Ts'in (di derivazione
aristocratica o feudale).
Seguono numerosi principati di minore importanza ma che svolgono
tutavia un ruolo politico e militare non trascurabile: Wei,
Chao, Han, Lu, Song, Yen,
Ch'in.
359 a.C., lo stato Ch'in emerge sugli altri per
opera delle riforme del ministro Shang Yang;
356 a.C., tutti pensano che nel nord della Cina si sia
creato un potere stabile attorno al principe Huei
del principato di Wei; una serie di campagne vittoriose
ha convinto il Chao e lo Han a concludere un'alleanza
con lui, mentre i principi di Lu e di Song gli si
stringono attorno.
Il Wei diventa quindi uno stato importante ma lo scopo
di questo raggruppamento è solo bellico; il principe Huei
ha infatti intenzione di mettersi a capo di una lega contro il
Ts'i… che ovviamente non sta con le mani in mano.
Scoppia la guerra.
351 a.C., il Wei ha già subito una serie
di rovesci che hanno inferto un duro colpo al suo prestigio.
Intanto le tribù dei
barbari Hiung-nu
hanno raggiunto una certa capacità organizzativa e sono
ora governate da una specie di imperatore, il Khuan-Yu, l'equivalente
del Figlio del Cielo cinese. Egli è assistito da due alti
dignitari, i "re saggi" di destra e di sinistra, dei
quali uno sovrintende ai territori dell'Est e l'altro a quelli
dell'Ovest. Secondo la gerarchia necessariamente militare di questo
popolo guerriero, vengono poi i generalissimi, di sinistra e di
destra, e quindi i capi di un esercito di mille uomini, di cento
uomini e di soli dieci uomini.
Per i Cinesi come per gli Occidentali essi sono dei veri e propri
"Démoni":
- sono esclusivamente carnivori, mentre i cinesi sono per gran
parte vegetariani;
- sono crudeli ancor di più dei cinesi (il che è
tutto dire): quando seppelliscono un loro capo, sulla sua tomba
scannano allegramente le sue mogli e i suoi servi. Si tratta di
olocausti di molte centinaia, anche di un migliaio di persone;
- non hanno case, vivono in tende fatte con pelli e dormono su
mucchi di pelliccia;
- ecc. ecc..
La lotta contro le loro schiere, dedite a continue spedizioni
di saccheggio, è uno dei grandi problemi dei sovrani degli
stati cinesi del Nord, da ben due secoli.
D'altra parte, davanti al contrattacco essi indietreggiano. La
loro tattica consiste nel trascinare i loro inseguitori il più
lontano possibile nel deserto dei Gobi, assalendoli quando sono
troppo lontani dalle loro basi, tagliati fuori da ogni possibilità
di approvvigionamento. Parecchi valorosi generali cinesi si lasceranno
trascinare così, nel corso dei secoli, in quelle desolate
solitudini in cui le loro armate saranno annientate.
I signori cinesi, di fronte all'inutilità di questi combattimenti
che non hanno mai fine, sono ricorsi all'arte delle fortificazioni,
per proteggere le loro frontiere settentrionali contro la periodica
marea dei barbari Hiung-nu.
[I Romani li imiteranno quando decideranno di proteggere le province
della Bretagna dalle incursioni dei Picti
con il vallo adriano e il cuore dell'impero romano dalle invasioni
germaniche con i limes (linee fortificate) del Reno e del
Danubio.]
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– Anite (Tegea,
Arcadia, secc. IV-III a.C.) poetessa greca, di cui ci restano ventuno
epigrammi in lingua dorica quasi tutti compresi nell' Antologia
Palatina; fu la prima a comporre epitaffi per animali.
– Aristobulo di Cassandrea (secc.
IV-III a.C.) storico greco; dopo aver militato nell'esercito di Alessandro
Magno, si ritirò a Cassandrea (Macedonia) dove all'età di 84
anni scrisse una storia di Alessandro, della quale restano circa sessanta
frammenti contenenti descrizioni geografiche e correzioni agli errori
degli storici contemporanei; da lui attinsero Arriano
e Strabone.
– Aristosseno (Taranto
354 ca-300 ca. a.C.) filosofo e teorico della musica greca;
seguace del pitagoriso e allievo di Aristotele,
visse ad Atene e a Mantinea;
Elementi di ritmica
Elementi di armonia
[Sulla traccia dei pitagorici, e contro Platone,
adatta all'interpretazione dell'uomo i principi della musica: sostiene
che, come il suono armonico sorge negli strumenti dal misurato rapporto
delle corde, così l'anima umana dev'essere concepita quale armonia
fra le tensioni dell'organismo.]
– Asclepiade di Samo
(secc. IV-III a.C.) poeta greco, vissuto nella sua isola, tranne un
soggiorno ad Alessandria, legò il suo nome alla forma metrica detta
asclepiadeo, da lui perfezionata; l' Antologia
Palatina ci ha conservato una quarantina di suoi epigrammi,
in distici elegiaci.
– Bolo di Mende
(Mende, Egitto, secc. IV-III a.C.) scrittore greco, autore di scritti
alchimistico-magici;
Sulla simpatia e l'antipatia (attribuito a Democrito
perché diffusi da Bolo sotto quel nome).
– Pitea (sec. IV a.C.)
geografo e navigatore greco, nativo di Massalia (Marsiglia);
nella prima metà III sec. a.C. naviga nei mari settentrionali
d'Europa fino alle isole britanniche e all'isola Thule (che
non è possibile identificare con sicurezza) proseguendo poi lungo
le coste germaniche;
[Thule o Tule: isola dell'Atlantico del Nord; Pitea
con questo nome intende probabilmente l'Islanda; la Tule di Claudio
Tolomeo sarà individuata invece con le Shetland.]
Intorno all'oceano ("Periplo", andato perduto, in
cui dà relazione delle cose viste)
[Ne trarranno notizie, a dire il vero confuse, Strabone,
Diodoro Siculo
e Plinio
[il Vecchio].
Da alcuni frammenti riferiti da Strabone,
Geografia, sapremo che egli ha raggiunto località dove
il giorno dura sei mesi (evidentemente al di là del circolo polare)
e che conosce l'Ocenao congelato (cioè evidentemente
la banchisa polare).
Degli antichi, Ipparco
ed Eratostene
accetteranno la sua relazione come veritiera, mentre Evemero,
Antifane di Berge
e Polibio
non presteranno fede al suo racconto.
Strabone
rimprovererà Eratostene
per avere usato dati del libro di Pitea
da lui considerato un bugiardo (In epoca moderna si verificherà
invece l'attendibilità di Pitea
proprio in base ai frammenti riferiti da Strabone.]
– Timeo
(Tauromenio, odierna Taormina, 356 ca-m. 260 ca a.C.) storico
greco, uno dei "padrini" della giovane storiografia romana;
ereditato il potere del padre Andronico,
fondatore della città d'origine, viene cacciato dalla Sicilia
con la famiglia per volere del tiranno siracusano Agatocle;
rifugiatosi ad Atene vi trascorre la maggior parte della vita e frequenta
le scuole di retorica;
Storie (38 libri, in cui traccia la storia della Sicilia dalle
origini ad Agatocle (289 a.C.); inoltre
5 libri su Agatocle e un libro su Pirro)
[È il primo ad interessarsi dell'occidente greco,
riferendo le vicende politiche connesse anche con Cartagine e Roma.
Della sua produzione restano pochi frammenti la maggior parte dei quali
tramandati da Polibio
che (pur polemizzando con lui) ne continuerà l'opera. Il suo
modello è Tucidide.
Suo merito è di aver adottato e propugnato nella cronologia la
datazione delle Olimpiadi.]
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ROMA
358, i romani rinnovano il trattato
con i latini e gli ernici
con cui si ristabilisce la sua egemonia; nello stesso anno riesce a
sringere amicizia anche on i bellicosi e inquieti sanniti nel meridione.
Nel territorio di confine verso nord divampa ad una tratto una rivolta;
gli etruschi di Tarquinia riprendono le
armi per riconquistare le città loro sottratte di Sutri e Nepi;
il console Caio Fabio, mandato a domare
la rivolta, non riesce a prendere in pugno la situazione e quando i
tarquinati riescono a battere in uno scontro le truppe consolari massacrano
pubblicamente sulla piazza del mercato di Tarquinia 307 legionari prigionieri
romani.
L'esempio tarquinate trascina alle armi anche i vicini falisci.
357, il console Marco
Fabio Ambusto, incaricato della condotta della guerra, si trova
di fronte l'esercito unito dei due alleati: etruschi
e falisci.
Al primo scontro gli etruschi riescono
a primeggiare ma presto i romani si riprendono
e mettono in fuga il nemico.
356, gli etruschi
progettano quindi un nuovo piano di battaglia; scartata l'idea di uno
sfondamento tra il lago di Vico e quello di Bracciano, protetto dalle
piazzeforti di Sutri e di Nepi dove stanno pronte forti unità
romane, tentano di sorpendere il nemico con un'abile manovra di accerchiamento
lungo la costa.
La sorpresa riesce e, guidati da tarquinati e falisci,
gli etruschi giungono fino alle saline.
La notizia della comparsa di forze nemiche alla foce quasi indifesa
del Tevere presso Ostia, mette Roma nel massimo allarme e pronta è
la sua reazione.
Caio Marcio Rutilio, nominato dittatore
in vista del pericolo, esce dalla città, traghetta l'esercito
ora su questa ora sull'altra riva del Tevere e piomba su alcune pattuglie
che stanno saccheggiando la zona. Con un attacco di sorpresa conquista
inoltre il loro accampamento facendo 8000 prigionieri e uccidendo o
cacciando il resto dei nemici dall'agro romano.
354, il console Caio
Sulpicio Patico guida le sue legioni in azioni punitive nel territorio
di Tarquinia, con l'ordine preciso di sequestrare come risarcimento
di guerra tutto il bestiame e i raccolti e di devastare la zona in lungo
e in largo.
Gli etruschi si gettano disperatamente
contro i romani che fanno "terra bruciata"
della loro patria, ma invano. Troppo inferiori di numero vengono sconfitti.
A punizione dello sterminio dei 307 legionari prigionieri, Roma decreta
un terribile esempio: vengono scelti i 358 più nobili da mandare
a Roma e il resto viene passato per le armi. Ma anche quelli inviati
a Roma non ricevono un trattamento diverso venendo tutti sferzati e
decapitati nel foro del popolo.
Mentre il territorio di Tarquinia viene devastato dal
console Caio Sulpicio Patico, le legioni
del console Quintilio saccheggiano quello
faliscio;
352, i legionari impeversano ancora
nel territorio dei falisci i quali devono
scontare la rivolta con la cessione di terre e col pagamento di un forte
tributo di guerra;
351, il senato romano
decide di interrompere le misure di rappresaglia anche contro Tarquinia
i cui legati ottengono una "tregua quarantennale".
Il bilancio della rivolta è terribile: il numero dei caduti e
dei ridotti in schiavitù delle due città alleate ascende
a parecchie migliaia; sul territorio viene annullata l'opera di intere
generazioni e anche qui come nelle ricche campagne di Veio la fertile
terra d'Etruria comincia a inselvatichirsi. Pur non avendo partecipato
direttamente alla guerra, anche Cere viene punita.
La sua fine come stato autonomo significa per le altre città
stato etrusche una perdita irrimediabile; dopo la caduta di Veio e l'avanzata
romana fino a alle pendici della Selva cimina è crollato infatti
l'ultimo pilastro del vallo che proteggeva al sud l'Etruria dal nemico
avido di conquista. Ora anche lungo la costa si stende libera alle legioni
romane la strada verso il nord.
La catastrofe etrusca nel settentrione.
Dopo anni di resistenza Felsina,
capitale della Lega delle Dodici città padane, ha ceduto all'attacco
delle forze celtiche le cui schiere hanno assalito e distrutto anche
la ricca Misa sul Reno.
Sono caduti così anche i bastioni che proteggevano e sbarravano
la via dei passi appenninici; l'accesso all'Etruria interna è
quindi indifeso e libero dinanzi alle orde galliche…
La caduta delle due città segna la fine della signoria
etrusca nella Valle padana e quella della grande Lega delle Dodici città
padane.
Dopo la ricca Campania, l'Etruria perde il suo secondo e ultimo grande
dominio.
Le conseguenze – per tacere della perdita di prestigio e di potenza
politica – non sono trascurabili, anzitutto in campo economico. L'Etruria
vive, con la sua produzione industriale e artigianale altamente sviluppata,
sul commercio con l'estero: ora con una Padania popolata di tribù
celtiche nemiche, viene interrotto ogni invio di merci verso l'Adriatico
per la via appenninica, reciso l'ultimo collegamento commerciale ancora
intatto con la Grecia e gli altri popoli. L'Etruria è isolata
dal resto del mondo.
Dopo un'irruzione violenta la più ricca e fertile pianura del
tempo viene occupata tutta pezzo per pezzo.
Le prime schiere di celti si sono fermate
nelle valli montane delle Alpi meridionali e nelle pianure adiacenti:
gli ìnsubri a Milano, i cenòmani
a Brescia e Verona.
Altre tribù premendo da nord le hanno seguite: i boî,
che danno il nome alla città di Bonomia
(Bologna) e i sènoni che, passato
il Po su zattere, si spingono combattendo e saccheggiando fino all'Adriatico.
Le città della Lega non erano preparate ad una simile invasione
e la popolazione cerca scampo nella fuga.
Alcune schiere di etruschi fuggiaschi riescono
ad arrivare, passato l'Appennino, fino alle città compatriote;
altre trovano asilo nelle valli alpine orientali, mescolandosi coni
rezî.
«Lo stato selvaggio del luogo – dice
T. Livio
– trapassa in loro lasciando per tutta eredità
null'altro che il suono della lingua, e anche questo non in forma pura».
[Ciò significherebbe che nel retoromanzo (ancora vivo nei Grigioni
e in Engadina) persisterebbero, anche se mutile, tracce della lingua
etrusca.
In effetti si sono trovate delle iscrizioni in alfabeto etrusco sul
versante meridionale delle Alpi e nelle valli, originarie di:
- Tresivio (Valtellina),
- Voltina (Lago di Garda),
- Rotzo (presso Bassano. In Val d'Adige, da Verona in su, ne vennero
in luce a Bolzano e persino a Matrai presso Innsbruck. Anche certi toponimi
in -enna ricordano
gli etruschi, ad esempio la città rètica di Chiavenna.]
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