ETRUSCHI
[Zona di Espansione Etrusca in Italia (da
Pallottino).]
***
Di etrusco, nulla si è conservato della storia etrusca:
la loro letteratura cronachistica, le Tuscae Historiae
andarono distrutte; e anche andarono perduti i venti volumi Tyrrhenikà,
scritti più tardi dall'imperatore Claudio
(† 54 d.C.), l'unico romano a padroneggiarne la lingua.
Unica fonte, le scarne notizie di alcuni classici greci e romani;
ma mancano i nomi di sovrani e di personalità, resoconti
di gesta e di opere, narrazioni ed episodi. E i luoghi dove i
testimoni dell'antica grandezza di Etruria avevano riposato sono
stati sistematicamente distrutti.
Dopo la metà del primo secolo d.C. i reperti archeologici
non mostrano più un segno di vita etrusca.
Per circa due millenni, a cominciare dai romani per finire con
la nobiltà latifondista e gli scavatori clandestini del
XIX secolo, le gigantesche necropoli sono state depredate dei
loro favolosi tesori.
Destatosi finalmente l'interesse scientifico nel XIX secolo si
giunse a scavi precisi e il ritrovamento di una tomba intatta
divenne una rarità. Il lavoro indefesso degli archeologi
portò a una stupefacente ricchezza di scoperte e di ritrovamenti,
alcuni veramente sensazionali.
Secondo Erodoto,
venivano dalla Lidia, il regno dell'Asia Minore con capitale Sardi
che ebbe fra i suoi sovrani il leggendario Gige
dell'anello e il celeberrimo Creso.
Lo storico nota che i lidi «
si ricordavano ancora del tempo in cui avevano
colonizzato la terra che si affaccia sul mar Tirreno »
e racconta che « al tempo di re Ati
[o Atys], figlio di Mane,
c'era in tutta la Lidia una grande carestia; all'inizio la popolazione
la sopportò pazientemente ma, durando essa, cercarono di
rimediarvi chi un modo chi in un altro…
E così vissero per diciott'anni.
Ma poiché la carestia cresceva, il re lidio divise tutto
il popolo in due gruppi, lasciando decidere alla sorte quale dei
due sarebbe dovuto emigrare e quale restare nel paese. Il re Ati
si pose dalla parte di quelli destinati a rimanere, dando suo
figlio Tyrsenos come capo degli esuli.
Allora la metà scelta dalla sorte a migrare scese a Smirne,
vi costruì navi e, caricato quanto poteva tornarle necessario,
salpò alla ricerca di mezzi di sussistenza e di terra.
Dopo aver costeggiato le terre di molti popoli, gli esuli approdarono
a quella degli ombrici (cioè
degli umbri) dove si stabilirono,
fondandovi città nelle quali vivono tuttora.
Essi mutarono di nome, chiamandosi da quello del figlio del loro
re che li aveva guidati. Onde ebbero nome di Tyrsenoi
(o tirreni) ».
La notizia di Erodoto,
che poneva l'immigrazione al tempo della guerra troiana, fu tenuta
per buona in tutta l'epoca romana, quando sopravviveva ancora
la lingua etrusca. Innumerevoli sono gli esempi:
- Virgilio,
nativo di Mantova (antica città etrusca), parla nell'Eneide
dei tirreni come dei lidi;
viceversa, gli abitanti di Sardi, l'antica residenza regale lidia,
si richiamavano essi stessi in epoca imperiale alla loro parentela
con la stirpe regale etrusca dei tarquini.
Contro la provenienza degli etruschi dal vicino Oriente l'antichità
non levò mai il minimo dubbio, con un'unica eccezione:
quella di Dionigi
di Alicarnasso. Questi – greco al servizio dei romani
– sosteneva che i tirreni erano autoctoni,
residenti in Italia da tempo remotissimo; anche se era poi costretto
ad ammettere che «questo antico popolo…
non somigliava agli altri né nella lingua né nei
costumi ».
Le argomentazioni a favore e contro il racconto di Erodoto
hanno occupato a lungo la scienza. Per rintracciare gli antenati
degli etruschi, si è setacciato tutto l'Oriente, dal Nilo
alla Mesopotamia, dall'Asia minore all'Egeo. E si credette di
aver trovato una traccia: in Egitto, nel vocabolo "Turuša"
presente in certi geroglifici del XIII secolo a.C. e nel nome
"Iun-tursa" di un funzionario
di palazzo vissuto attorno al 1300 a.C., e in Lidia, nel toponimo
"Tursa", anche "Tyrrha" e in turannos
parola lidia per principe. Si stabilì quindi la somiglianza
fra le tombe a tumulo di Sardi e i tumuli dell'Etruria, come quella
tra il tripode bronzeo di Gordio, capitale della Frigia, e i corredi
delle tombe etrusche.
Fatica vana perché non si fece un passo più
avanti.
Fuori d'Italia non si poté infatti rintracciare – sia nel
vicino Oriente, sia nell'Egeo – una sola località etrusca
o una sede di provenienza di questo popolo.
Né migliori risultati ottenne la ricerca, quando si volse
al problema della lingua.
L'aspetto della scrittura etrusca lo conosciamo grazie ai molti
reperti. Al medesimo VII secolo risalgono gli alfabeti più
antichi sinora scoperti. Da una necropoli presso Marsiliana, sul
basso corso dell'Albegna, non molto lontano dalla laguna di Orbetello,
venne in luce una tavoletta d'avorio incisa.
Sulla minuscola superficie – nove centimetri per cinque – si trovavano
ancora tracce di cera e di scrittura che pareva graffiata con
uno stilo. Il bordo superiore reca inciso – partendo da
destra a sinistra – un alfabeto di ventisei lettere,
che doveva evidentemente servire al proprietario della tavoletta
come promemoria per i suoi esercizi. Un foro dell'impugnatura
lascia supporre che egli la portasse costantemente seco legata
a un nastro. La tavoletta risale al 700 a.C. circa.
L'alfabeto inciso non offre difficoltà di sorta; si può
leggere senza fatica. Le lettere sono quelle dell'alfabeto greco-occidentale,
risalente a sua volta al fenicio. L'alfabeto – inventato dai semiti
del Sinai, quindi passato per secoli in uso nelle città
commerciali fenicie (anzitutto nell'antica Ugarit) – fa parte
dei molti beni culturali che i greci importarono, verso l'800,
dall'Oriente.
Ma gli etruschi da chi lo ebbero? Alcuni studiosi avanzano l'ipotesi
che l'avessero appreso già dai popoli costieri dell'Asia
Minore; altri invece, dalla colonia greca di Cuma in Campania.
Il grande – e sinora irrisolto problema – comincia con le iscrizioni
etrusche, con i testi. Perché, se si possono leggere senz'altro
lettera per lettera, e sapere come suona questa lingua, non riusciamo
a capire (tranne poche eccezioni) il significato delle parole.
Falliti sono, fino ad oggi [XXI sec.], tutti gli sforzi
di decifrazione dell'etrusco.
È vero che si conoscono più di diecimila iscrizioni,
ma la maggior parte sono brevi e constano, per i nove decimi,
di scritti sacrali o tombali: brevi indicazioni del nome del defunto
e della sua famiglia o della sua carica; pochi i verbi e i sostantivi.
Insignificante ciò che dicono. E tuttavia, a prezzo di
duro lavoro, gli etruscologi sono riusciti a decifrare sinora
circa trecento parole.
Aska mi eleivana,
mini mulvanike mamarce velchanas
si legge su di un orciuolo, e significa: «Sono
un recipiente per l'olio, mi fece Mamarce Velchanas».
Ma questo non basta a tradurre e a intendere le iscrizioni maggiori
finora trovate: né il celebre testo di millecinquecento
parole sulla benda di una mummia egizia del museo di Zagabria
(contiene frammenti di un rituale pubblico ordinato secondo il
calendario), né la tegola di terracotta con seicento parole
trovata a Capua e ora custodita a Berlino (contiene prescrizioni
liturgiche del culto funebre).
Le speranze non sono perdute perché non una delle
antiche città etrusche è stata sinora scavata ed
esplorata sistematicamente e compiutamente!
L'etrusco non è, a quanto si sa, lingua indoeuropea, ma
non appartiene neppure al ceppo semitico né è riportabile
ad alcun altro gruppo di lingue morte o vive. Sembra tuttavia
mostrare talune particolarità grammaticali che si ritrovano
anche in dialetti dell'Asia Minore occidentale: licio, lidio e
cario. Ma abbiamo finora un solo resto, fuori d'Italia, che offre
un migliore punto di appoggio: sull'isola di Lemno nell'Egeo si
rinvenne una stele funeraria del VI secolo a.C. con iscrizioni
in un dialetto che presenta una serie di singolari analogie con
l'etrusco.
Stele di Lemno o di Kaminia
(M. Egeo): l'iscrizione in carattere greci (VI sec.), ma in lingua
preellenica, presenta qualche affinità linguistica con
le iscrizioni etrusche.
[Conosci l'Italia, Vol. IV, Touring Club Italiano, 1960.]
Il "Fegato di Piacenza":
Le iscrizioni incise nel bronzo della faccia superiore enumerano,
tra l'altro, molti nomi di divinità etrusche.
[Conosci l'Italia, Vol. IV, Touring Club Italiano, 1960.]
Come informa Tucidide,
i Tyrsenoi "vagabondi del mare",
devono aver dimorato un giorno a Lemno… quindi forse stazione
di scalo dei lidi nel loro viaggio
verso l'Italia!?
E Seneca diceva: «Tuscos
Asia sibi vindicat» (l'Asia rivendica a sé
gli etruschi)!
[Werner Keller, La civiltà
etrusca, Garzanti 1971] |