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ATENE

699-690 a.C.

ETRUSCHI


[Zona di Espansione Etrusca in Italia (da Pallottino).]

***

Di etrusco, nulla si è conservato della storia etrusca: la loro letteratura cronachistica, le Tuscae Historiae andarono distrutte; e anche andarono perduti i venti volumi Tyrrhenikà, scritti più tardi dall'imperatore Claudio († 54 d.C.), l'unico romano a padroneggiarne la lingua.
Unica fonte, le scarne notizie di alcuni classici greci e romani; ma mancano i nomi di sovrani e di personalità, resoconti di gesta e di opere, narrazioni ed episodi. E i luoghi dove i testimoni dell'antica grandezza di Etruria avevano riposato sono stati sistematicamente distrutti.
Dopo la metà del primo secolo d.C. i reperti archeologici non mostrano più un segno di vita etrusca.
Per circa due millenni, a cominciare dai romani per finire con la nobiltà latifondista e gli scavatori clandestini del XIX secolo, le gigantesche necropoli sono state depredate dei loro favolosi tesori.

Destatosi finalmente l'interesse scientifico nel XIX secolo si giunse a scavi precisi e il ritrovamento di una tomba intatta divenne una rarità. Il lavoro indefesso degli archeologi portò a una stupefacente ricchezza di scoperte e di ritrovamenti, alcuni veramente sensazionali.

Secondo Erodoto, venivano dalla Lidia, il regno dell'Asia Minore con capitale Sardi che ebbe fra i suoi sovrani il leggendario Gige dell'anello e il celeberrimo Creso. Lo storico nota che i lidi « si ricordavano ancora del tempo in cui avevano colonizzato la terra che si affaccia sul mar Tirreno » e racconta che « al tempo di re Ati [o Atys], figlio di Mane, c'era in tutta la Lidia una grande carestia; all'inizio la popolazione la sopportò pazientemente ma, durando essa, cercarono di rimediarvi chi un modo chi in un altro…
E così vissero per diciott'anni.
Ma poiché la carestia cresceva, il re lidio divise tutto il popolo in due gruppi, lasciando decidere alla sorte quale dei due sarebbe dovuto emigrare e quale restare nel paese. Il re Ati si pose dalla parte di quelli destinati a rimanere, dando suo figlio Tyrsenos come capo degli esuli. Allora la metà scelta dalla sorte a migrare scese a Smirne, vi costruì navi e, caricato quanto poteva tornarle necessario, salpò alla ricerca di mezzi di sussistenza e di terra.
Dopo aver costeggiato le terre di molti popoli, gli esuli approdarono a quella degli ombrici (cioè degli umbri) dove si stabilirono, fondandovi città nelle quali vivono tuttora.
Essi mutarono di nome, chiamandosi da quello del figlio del loro re che li aveva guidati. Onde ebbero nome di Tyrsenoi (o tirreni)
».
La notizia di Erodoto, che poneva l'immigrazione al tempo della guerra troiana, fu tenuta per buona in tutta l'epoca romana, quando sopravviveva ancora la lingua etrusca. Innumerevoli sono gli esempi:
- Virgilio, nativo di Mantova (antica città etrusca), parla nell'Eneide dei tirreni come dei lidi; viceversa, gli abitanti di Sardi, l'antica residenza regale lidia, si richiamavano essi stessi in epoca imperiale alla loro parentela con la stirpe regale etrusca dei tarquini.
Contro la provenienza degli etruschi dal vicino Oriente l'antichità non levò mai il minimo dubbio, con un'unica eccezione: quella di Dionigi di Alicarnasso. Questi – greco al servizio dei romani – sosteneva che i tirreni erano autoctoni, residenti in Italia da tempo remotissimo; anche se era poi costretto ad ammettere che «questo antico popolo… non somigliava agli altri né nella lingua né nei costumi ».

Le argomentazioni a favore e contro il racconto di Erodoto hanno occupato a lungo la scienza. Per rintracciare gli antenati degli etruschi, si è setacciato tutto l'Oriente, dal Nilo alla Mesopotamia, dall'Asia minore all'Egeo. E si credette di aver trovato una traccia: in Egitto, nel vocabolo "Turuša" presente in certi geroglifici del XIII secolo a.C. e nel nome "Iun-tursa" di un funzionario di palazzo vissuto attorno al 1300 a.C., e in Lidia, nel toponimo "Tursa", anche "Tyrrha" e in turannos parola lidia per principe. Si stabilì quindi la somiglianza fra le tombe a tumulo di Sardi e i tumuli dell'Etruria, come quella tra il tripode bronzeo di Gordio, capitale della Frigia, e i corredi delle tombe etrusche.
Fatica vana perché non si fece un passo più avanti.
Fuori d'Italia non si poté infatti rintracciare – sia nel vicino Oriente, sia nell'Egeo – una sola località etrusca o una sede di provenienza di questo popolo.
Né migliori risultati ottenne la ricerca, quando si volse al problema della lingua.
L'aspetto della scrittura etrusca lo conosciamo grazie ai molti reperti. Al medesimo VII secolo risalgono gli alfabeti più antichi sinora scoperti. Da una necropoli presso Marsiliana, sul basso corso dell'Albegna, non molto lontano dalla laguna di Orbetello, venne in luce una tavoletta d'avorio incisa.
Sulla minuscola superficie – nove centimetri per cinque – si trovavano ancora tracce di cera e di scrittura che pareva graffiata con uno stilo. Il bordo superiore reca inciso – partendo da destra a sinistra – un alfabeto di ventisei lettere, che doveva evidentemente servire al proprietario della tavoletta come promemoria per i suoi esercizi. Un foro dell'impugnatura lascia supporre che egli la portasse costantemente seco legata a un nastro. La tavoletta risale al 700 a.C. circa.
L'alfabeto inciso non offre difficoltà di sorta; si può leggere senza fatica. Le lettere sono quelle dell'alfabeto greco-occidentale, risalente a sua volta al fenicio. L'alfabeto – inventato dai semiti del Sinai, quindi passato per secoli in uso nelle città commerciali fenicie (anzitutto nell'antica Ugarit) – fa parte dei molti beni culturali che i greci importarono, verso l'800, dall'Oriente.
Ma gli etruschi da chi lo ebbero? Alcuni studiosi avanzano l'ipotesi che l'avessero appreso già dai popoli costieri dell'Asia Minore; altri invece, dalla colonia greca di Cuma in Campania.
Il grande – e sinora irrisolto problema – comincia con le iscrizioni etrusche, con i testi. Perché, se si possono leggere senz'altro lettera per lettera, e sapere come suona questa lingua, non riusciamo a capire (tranne poche eccezioni) il significato delle parole.
Falliti sono, fino ad oggi [XXI sec.], tutti gli sforzi di decifrazione dell'etrusco.
È vero che si conoscono più di diecimila iscrizioni, ma la maggior parte sono brevi e constano, per i nove decimi, di scritti sacrali o tombali: brevi indicazioni del nome del defunto e della sua famiglia o della sua carica; pochi i verbi e i sostantivi. Insignificante ciò che dicono. E tuttavia, a prezzo di duro lavoro, gli etruscologi sono riusciti a decifrare sinora circa trecento parole.

Aska mi eleivana, mini mulvanike mamarce velchanas

si legge su di un orciuolo, e significa: «Sono un recipiente per l'olio, mi fece Mamarce Velchanas».
Ma questo non basta a tradurre e a intendere le iscrizioni maggiori finora trovate: né il celebre testo di millecinquecento parole sulla benda di una mummia egizia del museo di Zagabria (contiene frammenti di un rituale pubblico ordinato secondo il calendario), né la tegola di terracotta con seicento parole trovata a Capua e ora custodita a Berlino (contiene prescrizioni liturgiche del culto funebre).
Le speranze non sono perdute perché non una delle antiche città etrusche è stata sinora scavata ed esplorata sistematicamente e compiutamente!
L'etrusco non è, a quanto si sa, lingua indoeuropea, ma non appartiene neppure al ceppo semitico né è riportabile ad alcun altro gruppo di lingue morte o vive. Sembra tuttavia mostrare talune particolarità grammaticali che si ritrovano anche in dialetti dell'Asia Minore occidentale: licio, lidio e cario. Ma abbiamo finora un solo resto, fuori d'Italia, che offre un migliore punto di appoggio: sull'isola di Lemno nell'Egeo si rinvenne una stele funeraria del VI secolo a.C. con iscrizioni in un dialetto che presenta una serie di singolari analogie con l'etrusco.

Stele di Lemno o di Kaminia (M. Egeo): l'iscrizione in carattere greci (VI sec.), ma in lingua preellenica, presenta qualche affinità linguistica con le iscrizioni etrusche.
[Conosci l'Italia, Vol. IV, Touring Club Italiano, 1960.]

Il "Fegato di Piacenza": Le iscrizioni incise nel bronzo della faccia superiore enumerano, tra l'altro, molti nomi di divinità etrusche.
[Conosci l'Italia, Vol. IV, Touring Club Italiano, 1960.]

Come informa Tucidide, i Tyrsenoi "vagabondi del mare", devono aver dimorato un giorno a Lemno… quindi forse stazione di scalo dei lidi nel loro viaggio verso l'Italia!?
E Seneca diceva: «Tuscos Asia sibi vindicat» (l'Asia rivendica a sé gli etruschi)!

 

[Werner Keller, La civiltà etrusca, Garzanti 1971]



SIRIA e PALESTINA
720-597 a.C. gli Assiri – una nuova grande potenza proveniente dall'Iraq settentronale – occupano la zona.

EGITTO
Dinastie
 
1075-332 a.C.: Epoca tarda
XXV
(736-656)
etiopica:
- Piankhi, Sabacone
Riunificazione dell'Egitto.
- Taharqa
Gli assiri invadono l'Egitto (671-664 a.C.)

CINA

Periodo dei "Chou orientali"
o delle "primavere e degli autunni"
(771-481 a.C.)

Huan
nipote e successore di P' ing Wang [il Pacifico],
719-696 a.C., imperatore della Cina;
696 a.C., Lo yang (valle del Lo),

Oltre al principato costituito dai conti di Chen, ce ne sono altri:
- a nord, il Wei, una parte dell'antico impero degli Shang, smembrata dopo la conquista ed estendentesi a nord del Fiume Giallo;
- a est, il Song, altra parte dell'antico dominio degli Shang, situato a sud-est del Fiume Giallo;
- lungo il corso inferiore del fiume Tsi, il principato di Ts'i, di costituzione più antica.
I principi di Ts'i, gelosi dei loro privilegi, affermano che la loro autorità è stata concessa loro dal duca di Chou, primo ministro di Wu Wang, il primo imperatore della dinastia Chou, che avrebbe detto ad un loro antenato: «Voi avrete il diritto di punire i signori fino al quinto grado e i capi delle nove province comprese nel territorio che va a est fino al mare, a ovest fino al fiume, a sud fino al Mu Ling, a nord fino al Wu Ti». La capitale di questo principato è Lin Tso.
- il Lu (tra il 722 e il 481 a.C. viene invaso ventidue volte).

Chuang
696-681 a.C., imperatore della Cina;
696 a.C., Lo yang (valle del Lo).

 

 



_________________________

Agia di Trezene (sec. VII a.C.) poeta greco;
I ritorni (poema epico del ciclo troiano; rimangono pochi versi).

Alcmane (sec. VII a.C.) poeta greco, proveniente forse da Lidia, ma vissuto a Sparta come maestro di musica e di danza, compose in dialetto dorico liriche per lo più corali (inni e parteni).

Archiloco (sec. VII a.C.) poeta greco, nato nell'isola di Paro; un indicazione cronologica sicura è data dall'eclisse solare del 648, a cui egli allude nel frammento 74; fu soldato mercenario e visse a Taso e a Nasso, dove, secondo la tradizione, sarebbe morto combattendo; ci restano della sua poesia ca 140 frammenti; la sua fama, soprattutto presso gli antichi, resta legata all'uso del giambo, cioè a un tipo di poesia fortemente polemica ed aggressiva, di cui anche Orazio sarà, negli Epodi, un imitatore.

Arione (Metimno, Lesbo sec. VII a.C.) poeta greco, il primo, secondo Erodoto, a dare dignità letteraria al ditirambo trasformandolo in un canto corale contenente una narrazione mitologica;
(secondo la leggenda fu salvato da un delfino).

Callino di Efeso (sec. VII a.C.) poeta greco, aristocratico, assistette alla calata dei barbari Cimmeri sugli insediamenti greci dell'Asia Minore;
ci restano 4 frammenti dei suoi versi, la cui forma linguistica è vicina a quella omerica, così come la concezione della vita, eroica e fatalistica.

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ROMA

[753-509 a.C., periodo monarchico. (Leggenda)]

Veio: l'area di sovranità della potente città etrusca confina:
- ovest: città stato di Cere;
- est: alto Tevere fino alla foce, fino alla Ostia moderna dove si stendono le saline.
La riva che costeggia il Vaticano, il Gianicolo e Monte Mario si chiama riva etrusca.
All'epoca del suo splendore la città di Veio ha centomila abitanti, eguagliando per grandezza Atene – come attesta Dionigi di Alicarnasso – che misura sei miglia di circonferenza.
Quando Roma è ancora un modesto insediamento, già da tempo Veio troneggia, grande, ricca di templi e di fastosi edifici, sull'altura presso la valle del Tevere.

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