– Bernardo
MATTARELLA
(Castellammare del Golfo, 15 settembre 1905 – Roma, 1 marzo 1971)
uomo politico italiano, espontente della Democrazia
cristiana;
[Padre di Piersanti
(† 1980, assassinato) e Sergio
anch'essi uomini politici.]
di umili origini, si laurea in giurisprudenza a Palermo dove vive;
1941-43
antifascista, partecipa a Roma alle riunioni clandestine guidate da
A.
De Gasperi da cui nasce (settembre
1942) la Dc;
avversa il separatismo siciliano;
1943
è il primo a entrare in contatto epistolare con don L.
Sturzo, ancora negli Stati Uniti;
1944
24 maggio, in una lettera don L.
Sturzo gli manifesta l'allarme per l'azione del separatismo
siciliano, scrivendogli: «È comunque
un movimento che occorre seguire e vigilare continuamente, anche per
l'elemento poco buono da cui è circondato, la mafia, riportata
dai feudatari separatisti all'onore della ribalta politica.».
giugno-novembre sottosegretario alla Pubblica Istruzione
(I "governo
Bonomi")
3 giugno, in un articolo su «Popolo e Libertà»,
il giornale che dirige, pubblica un articolo in cui attacca il leader
dei separatisti, accusandolo di avere l'appoggio della mafia e scrivendo:
«Ha sulla coscienza la triste responsabilità
di avere riunito attorno a sé, cercando di ripotenziarla, l'organizzazione
più pericolosa e sopraffattrice che abbia afflitto, per lunghi
anni, le nostre contrade.»
dicembre-giugno 1945, sottosegretario alla Pubblica Istruzione
(II "governo
Bonomi");
[Primi due governi del CLN (Comitato
di liberazione nazionale), presieduti da Ivanoe
Bonomi e composti da tre ministri e tre sottosegretari
per ciascuno dei sei partiti del CLN.]
1945
con A. De
Gasperi segretario nazionale,
diviene vice segretario della Dc, insieme ad A.
Piccioni e a G.
Dossetti;
Nella fase iniziale del dopoguerra è sospettato di essere «...tra
i referenti nel rapporto tra la Dc e la mafia».
[Secondo lo storico Giuseppe Casarrubea,
è ritenuto vicino al boss di Alcamo Vincenzo
Rimi, considerato in questi anni al vertice di Cosa nostra.]
1946
2 giugno, alle elezioni dell'Assemblea Costituente viene eletto
per la Dc nella circoscrizione elettorale della Sicilia
Occidentale e fa parte dell'Ufficio di Presidenza della Costituente
come Questore;
29 giugno, in un'altra lettera a don L.
Sturzo, poco dopo il voto per l'Assemblea Costituente, così
scrive: «La lotta elettorale è stata
dura e faticosa, ma ci ha dato anche il grande risultato del pieno fallimento
della mafia... I separatisti, che ne dividevano con i liberali i favori,
sono stati miseramente sconfitti».
1948
18 aprile, eletto alla Camera dei deputati (I Legislatura) nella
medesima circoscrizione;
[Sarà sempre rieletto.]
maggio-gennaio 1950, sottosegretario ai Trasporti
(V "governo
De Gasperi");
si trasferisce a Roma;
1950
gennaio-luglio 1951, sottosegretario ai Trasporti
(VI "governo
De Gasperi");
1951
luglio-giugno 1953, sottosegretario ai Trasporti
(VII "governo
De Gasperi");
1953
16-28 luglio, ministro della Marina Mercantile
(VIII "governo
De Gasperi");
agosto-gennaio 1954, ministro dei Trasporti ("governo
Pella");
1954
ministro dei Trasporti:
18-30 gennaio (II "governo
Fanfani");
10 febbraio-22 giugno 1955 ("governo
Scelba");
1955
luglio-maggio 1957, ministro del Commercio con l'Estero
(I "governo
Segni");
[??? forse sottosegretario]
1957
maggio-giugno 1958, ministro delle Poste e Telecomunicazioni
("governo Zoli");
Al processo per la strage di Portella
della Ginestra , è accusato da G.
Pisciotta di essere implicato nella strage. La sentenza della
Corte di Assise di Viterbo, che concluse quel processo, dichiarò
infondate le accuse di G.
Pisciotta, componente della "banda Giuliano" e
tra gli autori della strage.
Anche il Pubblico Ministero nella sua requisitoria al processo di Viterbo
aveva definito inaffidabile G.
Pisciotta, che aveva fornito nove diverse versioni della
strage e inattendibili le sue accuse contro Scelba
e Mattarella.
Tali le giudicò anche l'Ufficio istruzione presso la Corte di
Appello di Palermo su denunzia presentata dall'on. Giuseppe
Montalbano, del PCI, contro tre deputati monarchici
e che escludeva coinvolgimenti degli onn. Scelba
e Mattarella.
Del resto, che l'atteggiamento di G.
Pisciotta facesse parte di una manovra organizzata per depistare,
era stato dichiarato nel corso del processo dalla stessa madre di Salvatore
Giuliano e da alcuni componenti della banda e fu confermato,
davanti alla Commissione parlamentare antimafia, sia da questi ultimi
nel marzo 1966 sia, nel giugno 1972, dai due membri della banda che
avevano seguito G.
Pisciott in quella manovra.
Mattarella sarebbe stato tra coloro che
accolsero Joe Bonanno quando arrivò
all'aeroporto di Fiumicino a Roma nel 1957. Questa circostanza
è falsa.
Essa è contenuta in un libro di memorie di Joe
Bonanno, invero piuttosto romanzato, scritto, come si legge nella
presentazione: vi si narra del viaggio che Joe
Bonanno fece in Italia, nel settembre 1957, al seguito del direttore
del giornale «Il progresso italo americano», F.
Pope.
Come risulta da quel giornale essi arrivarono a Roma il 13 settembre
di quell'anno e l'on. Bernardo Mattarella
non era affatto presente: è facile verificarlo sia sul giornale
di F. Pope, che su giornali italiani. Del
resto, quello stesso giorno, l'on. Bernardo Mattarella,
allora Ministro delle Poste, si trovava in altra e lontana città
d'Italia per inaugurare un'opera pubblica.
1958
rieletto (III Legislatura), è presidente della Commissione Trasporti
della Camera dei deputati e componente della direzione nazionale della
Dc;
27 novembre, in una lunga intervista sugli strumenti per sconfiggere
la mafia – comparsa su «Il Giornale del Mezzogiorno» - esprime
opinione favorevole all'istituzione di una commissione d'inchiesta sulla
mafia;
[Verrà istituita anni dopo.]
1962
febbraio-maggio 1963, ministro dei Trasporti,
(IV "governo
Fanfani");
1963
21 giugno-5 novembre, ministro per l'Agricoltura e le
Foreste (I "governo
Leone");
dicembre-giugno 1964, ministro del Commercio con l'Estero
(I "governo
Moro");
1964
luglio-gennaio 1966, ministro del Commercio con l'Estero
(II "governo
Moro");
1965
Il sociologo Danilo Dolci lo accusa,
con un dossier presentato in una conferenza stampa (riprodotto nel libro
Chi gioca solo del 1966) di collusioni con la mafia.
[Egli lo querela, concedendogli facoltà di prova
e, dopo un dibattimento durato circa due anni, con l'escussione di decine
di testimoni e l'acquisizione di un'amplissima documentazione, e durante
il quale Danilo Dolci chiede che gli venga
applicata l'amnistia varata nell'anno precedente, questi fu condannato
per diffamazione a due anni di reclusione, che non sconta per effetto
dell'indulto approvato l'anno precedente.
La sentenza del Tribunale di Roma del 21 giugno 1967,
confermata dalla Corte d'appello e dalla Corte di cassazione, afferma:
«Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco
la sua condanna del fenomeno mafioso...» e «...non
è mai entrato in contatto con l'ambiente mafioso da lui invece
apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua carriera
politica».
La sentenza del Tribunale di Roma prosegue: «Ha
in sostanza Mattarella portato a conoscenza del Tribunale,
obiettivamente documentandolo, l'atteggiamento di insuperabile contrarietà
alla mafia assunto e mantenuto nel corso di tutta la sua carriera politica.
Nulla di quanto contenuto nel dossier che ha costituito la base del
massiccio attacco nei riguardi di Mattarella ha trovato
quindi conforto e riscontro sul piano della prova, dimostrandosi le
dichiarazioni raccolte dagli imputati – Dolci e il
suo collaboratore Alasia – nient'altro che il frutto
di irresponsabili pettegolezzi, di malevoli dicerie se non addirittura
di autentiche falsità. Basse, infondate insinuazioni, quindi,
calunniose interpretazioni di fatti ed avvenimenti, interessate strumentalizzazioni
di testimonianze che lungi dal fare la storia di un ambiente e di un
personaggio, come incautamente asserito dal Dolci nel
corso della conferenza stampa, possono al più favorire la peggiore
confusione delle idee, intralciare se non addirittura fuorviare il corso
degli accertamenti, condurre a infondati giudizi nei confronti di uomini
e di cose».]
1966
23 febbraio, nel successivo III "governo
Moro" non è nominato ministro per motivi di equilibrio
tra le correnti democristiane, come affermato da A.
Moro in una lettera con cui lo ringrazia per il lavoro svolto
al governo;
diviene Presidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati
e rientra nella direzione nazionale della Dc;
mantiene questi due incarichi fino alla sua morte, a seguito di una
malattia durata alcuni mesi.
1968
alle elezioni politiche, a meno di tre anni dalla morte, viene eletto
per l'ultima volta alla Camera dei deputati;
1971
1° marzo, muore a Roma.
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