1985, giunge notizia del ritrovamento della
più antica testimonianza epigrafica dei nomi dei Magi [peraltro
ignorati da Matteo].
La Missione Svizzera di Archeologia Copta in Egitto diretta da
R. Kasser, dell'università
di Ginevra, che da decenni sta riportando alla luce i 1.600 insediamenti
monastici, in maggior parte ormai distrutti, posti nel deserto
delle Celle, a ovest del delta del Nilo, scopre casualmente su
un muro i nomi "Gaspare, Belchior, Bathesalsa" dipinti in rosso,
senz'aggiunta.
La scritta è databile tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII
secolo.
Uno dei membri della spedizione archeologica, il professor Jan
Partyka interpreta così il reperto: «Evidentemente
un monaco, non avendo altro su cui scrivere, se li era annotati
sull'intonaco bianco di una parete, colpito da questi nomi singolari,
uditi durante un ufficio liturgico in cui si dovevano perciò
contemplare anche letture dai testi extracanonici».
I nomi dei Magi, infatti, appaiono solo nei cosiddetti "vangeli
apocrifi", testi nati dalla pietà popolare del cristianesimo
primitivo.
In un frammento del perduto Vangelo degli Ebrei, assegnabile
alla prima parte del II secolo, i Magi, "indovini dal colorito
scuro e dai calzoni alle gambe", sono un vero e proprio stuolo,
guidato però da una terna di capi: Melco,
Caspare e Fadizarda.
Qualche secolo dopo (VI-VII), ma su una base documentaria certamente
più antica, un altro apocrifo, lo Pseudo Matteo,
fonte privilegiata degli artisti medievali, scriverà: "I
Magi offrirono ciascuno una moneta d'oro" al bambino ma aggiunsero
ciascuno un dono personale: Gaspare la mirra, Melchiorre l'incenso,
Baldassarre l'oro. Si costituiva così la tradizione dei
tre Magi, con nomi precisi e, a causa dei doni e di un salmo (il
72: "I re di Tarsis e di Saba offrirono tributi, a lui tutti i
re si prostreranno"), di dignità regale. Per non dire poi
che in essi si tenterà di riassumere tutto lo spettro dei
colori razziali: l'uno verrà identificato come bianco,
l'altro come giallo e il terzo come un moro, mentre le loro ipotetiche
reliquie approderanno, attraverso complesse vicende storiche a
Milano e a Colonia.
Ma la fantasia pirotecnica degli apocrifi e delle tradizioni popolari,
scontenta della sobrietà dei dati offerti dal Vangelo canonico
di Matteo, non si è fermata
qui ma si è gettata con entusiasmo alla ricerca (e spesso
all'invenzione) di scene pittoresche. Abbastanza contenuto è
il celebre Protovangelo di Giacomo del III secolo, che
si accontenta di fissare l'attenzione soprattutto sulla stella.
Della stella si interessa anche un altro apocrifo, L'infanzia
del Salvatore, un testo scoperto in due versioni nel 1927
e databile attorno al VI secolo.
Ancor più vivace è il Vangelo arabo dell'infanzia
del V-VI secolo che considera i Magi come discepoli di Zaratustra,
il profeta della religione iranica.
[ecc., ecc., ecc.]
Tornando al "vangelo dell'infanzia di Gesù" secondo
il testo canonico di Matteo, un testo
che probabilmente l'evangelista ha assunto dalla predicazione
della Chiesa delle origini e ha imposto come premessa al suo Vangelo,
un testo di non facile decifrazione nonostante l'apparente semplicità.
Proprio per la pagina dei Magi, infatti, che noi forse consideriamo
molto ingenua, potremmo dire che è valido un famoso adagio
rabbinico: "Ogni parola della Bibbia ha settanta volti". Il racconto,
superficialmente letto come una fiaba orientale, piena di profumi
esotici, è in realtà denso di simbolismi che l'uomo
della Bibbia subito sapeva riconoscere, è carico
di riferimenti teologici allusivi, è un intarsio di citazioni
e di temi legati all'Antico Testamento, si riferisce alla
storia del bambino Gesù in modo originale e libero. Siamo
quindi non tanto in presenza di una novella dolcissima per i bambini,
quanto piuttosto davanti ad una vera e propria sintesi cristologica,
distribuita sui fili sottili di una trama storica dalle maglie
molto larghe e allentate e sui fili più robusti di uno
schema di pensiero molto fitto e denso. [
]
L'interesse per questi misteriosi personaggi è antichissimo
e affonda le sue radici nelle origini stesse della tradizione
cristiana. Nelle catacombe romane i Magi appaiono negli affreschi
ben due secoli prima (II secolo) dei troppo normali e modesti
pastori.
Da dove provenivano i Magi? e qual era la "loro"
stella? Alla prima domanda il Vangelo di Matteo risponde
con uno sbrigativo "giunsero da Oriente" e con la
parola greca magoi. Con questo termine si intendevano gli
astrologi, gli astronomi, gli incantatori, gli aruspici, i maghi,
personaggi quindi di varia attendibilità, ciarlatani e
sapienti. Un orizzonte, perciò, molto vasto e generico
che dalla scienza può sconfinare nella cialtroneria. La
provenienza "da Oriente" non è certamente più circoscritta
perché abbraccia un orizzonte culturale molto variegato.
Sul frontone della basilica costantiniana di Betlemme, i Magi
erano raffigurati in costumi persiani ed è proprio per
questa ragione che nel 614 l'esercito del re persiano Cosroe,
giunto davanti alla basilica, non ebbe il coraggio di raderla
al suolo vedendo in quei tre personaggi un ricordo della sua patria.
Nell'antico Testamento, però, il Libro di Daniele
parla spesso di "magi" babilonesi. Effettivamente Babilonia aveva
il primato nell'antico Vicino Oriente riguardo agli studi astronomici
ed astrologici. Là, anche ai tempi di Gesù, era
presente una nutrita colonia giudaica che forse aveva trasmesso
la sua attesa messianica anche ai "magi" babilonesi. Nella Bibbia,
pero' , "i figli d'Oriente" sono molto spesso gli Arabi del deserto
(Arabia e Siria) e o Nabatei, le cui carovane commerciavano in
incenso e oro e le cui relazioni con Israele risalivano all' epoca
di Salomone. Ben quattro tribù
arabe del deserto derivavano il loro nome dalle stelle, dimostrando
così un vivo interesse per l'astrologia.
Nel 160 lo scrittore cristiano Giustino
affermava senza esitazione: "Andarono da Erode Magi provenienti
dall'Arabia".
Ma recentemente uno studioso americano, M.
McNamara, ha reso molto più "domestici" i Magi considerandoli
come membri degli Esseni,
quella setta giudaica nota soprattutto per il suo monastero di
Qumran, posto sulle rive del mar Morto: essi infatti si interessavano
moltissimo di oroscopi messianici e nei loro scritti i doni dei
Magi sono citati assieme al simbolo della stella del Messia.
Un enigma irrisolto, quindi, quello della patria dei Magi. La
vicenda storica in sé non è impossibile, come alcuni
critici ancor oggi sostengono, proprio perché il segno
astrale era un "codice" culturale tipico di quell'epoca e poteva
essere connesso con la diffusione delle speranze messianiche che
l'ebraismo aveva favorito con la sua diaspora nel mondo. Ma è
certo che l'evangelista vuole sorpassare il fatto storico e vuole
far brillare significati ulteriori in questi uomini dell' Oriente
giunti a Gerusalemme per "rendere omaggio al neonato re dei Giudei".
Il secondo attore del racconto dei Magi è il segno cosmico
della stella. Sotto l'altare della grotta della Natività
a Betlemme i Francescani nel 1717 incastonarono una stella d'argento
a 14 punte, tante quanto sono gli anelli delle tre catene genealogiche
di Gesù citate nel capitolo 1 di Matteo.
Una stella, questa, poco evangelica perché dette origini
a liti interminabili tra Francescani e ortodossi. Questi ultimi,
con un colpo di mano, nel 1847 sequestrarono la stella e la nascosero
nel loro monastero di San Saba nel deserto di Giuda. Furono necessari
cinque anni di negoziati per farla riapparire sotto l'altare della
grotta.
È meglio, allora, guardare il cielo
per cercare lassù, nei silenzi siderali, la stella dei
Magi. Ma anche là quanta confusione tra gli esperti.
In The Star of Bethlehem, un interessante opuscolo pubblicato
dal prestigioso «Adler Planetarium» di Chicago si
legge: "Keplero, uno dei padri
dell'astronomia moderna non aveva esitazioni: la stella dei magi
era una supernova, cioè una stella debole o molto lontana
nella quale avviene una colossale esplosione. Per settimane o
mesi la stella diventa visibile anche nel nostro cielo con una
luce vivida e distinta da quella degli altri astri: l'esplosione
può infatti sprigionare una luce superiore anche cento
milioni di volte a quella del sole."
Ogni anno astronomi ne scoprono una dozzina ma molto rare sono
quelle visibili ad occhio nudo. Ma l'opinione più comune
cerca nella stella dei Magi una cometa, soprattutto quella di
Halley, la cui presenza nei cieli sembra documentata fin dal 240
a.C. in testi cinesi e giapponesi. Quando apparve nel 1911 nel
cielo di Gerusalemme, il famoso biblista domenicano padre M.-J.
Lagrange, che allora risiedeva laggiù, la vide
venire dall'Oriente, scomparire gradualmente quando fu allo zenit
e "riapparire" più tardi quando tramontò a Occidente,
proprio come è detto nel racconto di Matteo.
Ma (e questo rende tutto dubbio) il calcolo astronomico del passaggio
della cometa sul nostro orizzonte e su quello di Gerusalemme ha
come data il 26 agosto del 12 a.C., cioè almeno 6 anni
prima della nascita di Gesù che, come è noto, è
collocata dagli studiosi attorno al 6
a.C.. Ecco allora che altri studiosi si orientano verso
una congiunzione di pianeti e in particolare quella tra Giove
e Saturno avvenuta, sempre secondo i calcoli astronomici e i dati
offerti da un papiro egiziano (la cosiddetta "tavola di
Berlino") e dall' "almanacco astrale" di
Sippar (Mesopotamia) su tavoletta, nel 7 a.C. e precisamente il
29 maggio, il 29 settembre e il 4 dicembre.
Le ipotesi si affollano e oscurano sempre più la stella
di Betlemme riducendola quasi ad una controversia tra astronomi.
Ed allora, lasciando sospesa l'identificazione concreta, cerchiamo
di ascoltare un consiglio offertoci proprio dal citato padre M.-J.
Lagrange:
"Sulla stella di Betlemme ci può dire molto di più
la teologia dell'astronomia". Sappiamo infatti che a più
riprese nella tradizione biblica e in quella giudaica la stella
è un segno messianico. Un esempio per tutti lo troviamo
nel più famoso dei quattro oracoli biblici del mago Balaam,
costretto da Dio a benedire suo malgrado Israele.
Nel capitolo 24 del Libro dei Numerileggiamo
appunto questa frase: "Una stella spunta da Giacobbe e uno
scettro sorge da Israele" (v. 17). Ora, la versione aramaica
della Bibbia (il cosiddetto Targum) non ebbe
nessuna esitazione nel tradurre il testo ebraico citato in questo
modo: "Il Messia spunta da Giacobbe e il re sorge da Israele".
La stella si trasforma, perciò, in un simbolo del Messia.
[
]
1998 Testo di Gianfranco
Ravasi
Nelle catacombe romane essi erano raffigurati in quattro davanti
al piccolo Gesù, ma le Chiese
orientali non avevano esitato a contarne fino a dodici. La terna
si affermò a causa dei tre doni (Matteo, 2), l'oro, l'incenso
e la mirra, il cui valore simbolico appare in un trattato intitolato
genericamente Excerpta et Collectanea, talora attribuito
all'erudito inglese Beda il Venerabile
(672-735): oro per la regalità di Cristo, incenso per la
sua divinità, mirra per la sua umanità mortale,
trattandosi di una miscela aromatica usata anche per le imbalsamazioni.
Che siano l'uno bianco, l'altro giallo e il terzo moro ovviamente
Matteo non lo dice, come non dice
neppure che fossero re, un'invenzione legata alla libera
applicazione alla scena evangelica del Salmo 72, 10-11 ("I
re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi
e di Saba offriranno tributi, a lui si prostreranno e lo serviranno
tutte le nazioni..."), come fantasioso è anche l'apparato
di servi, cammelli e carovane delle mille e mille iconografie
delle "Adorazioni dei Magi".
Per ragioni personali il mio pensiero corre a quella di Tiziano
conservata nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano e acutamente
esaminata in sede critica dal suo primo possessore, il cardinale
Federico Borromeo nel suo Musaeum,
la guida alla collezione. Anche in questo caso si tratta solo
di una libera applicazione di un passo del profeta Isaia: "Uno
stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di
Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso..." (60,6).
Che si chiamino Gaspare, Melchiorre e Baldassarre - nomi
che hanno dato il titolo al bel romanzo che Michel
Tournier ha pubblicato nel 1980 con la storia del re bambino
Taor destinato a incrociare Gesù
ai piedi del Calvario - Matteo
non lo dice e, d'altronde, un frammento del perduto Vangelo
degli Ebrei (prima metà del II secolo) introduce uno
stuolo di Magi, "indovini dal colorito scuro dai calzoni alle
gambe", capitanati da tali Malco, Gaspare e Fadizarda, mentre
nel 1985 la Missione svizzera di archeologia copta, a ovest del
delta del Nilo, in uno dei 1.600 insediamenti monastici portati
alla luce nel deserto egiziano delle Celle ha trovato su una parete
i nomi scritti in rosso di "Gaspare, Melchior e Barthesalsa".
Che i Magi siano seguaci di Zarathustra
o appartengano a una delle sei tribù dei Medi, adoratori
del sole, della luna, della terra, del fuoco, dell'aria e dei
venti ed esperti di oniromanzia e profezia (così Erodoto
ci informava su quei gruppi etnici) Matteo
non lo dice, accontentandosi di un genericissimo "da Oriente"
che nella Bibbia è spesso il deserto arabico o siro
con le relative carovane. Sarà solo il vivacissimo e apocrifo
Vangelo arabo dell'infanzia del V-VI secolo a farli discepoli
di Zarathustra, il profeta della
religione iranica, e a sceneggiare per loro il rito del fuoco
sacro, tipico di quella religione. Da quelle fiamme essi estrarranno
intatta la fascia che copriva il neonato Gesù,
a loro donata da Maria sua madre:
"presero allora a baciarla e a imporsela sulla testa e sugli occhi...".
Ma un altro apocrifo, L'infanzia del Salvatore, un testo
scoperto nel 1927 in due versioni e databile attorno al VI secolo,
va oltre e ricostruisce la fisionomia dei Magi con una miscela
di elementi esotici: "la loro veste è amplissima e scura,
hanno berretti frigi e alle gambe portano sarabare (gambali) orientali".
Che la stella che li guida sia una cometa Matteo
non lo dice, né tanto meno che sia la cometa di Halley:
essa, infatti, secondo i calcoli astronomici, veleggiò
nel cielo di Palestina il 26 agosto del 12 a.C., più o
meno sei anni prima della nascita di Cristo che, come è
noto, è collocata dagli studiosi attorno al 6 a.C. (Erode
il Grande morì nel 4 a.C. e Gesù
doveva già esser nato per giustificare la 'strage degli
innocenti'). Né poteva trattarsi di una supernova, cioè
di una stella in esplosione, come voleva Keplero,
perché non si hanno tracce di simili fenomeni in quel periodo.
Al massimo - e Matteo certamente
sorride dal cielo vedendo questo scialo di intelligenza per identificare
la sua stella - si potrebbe ipotizzare, con un astronomo dell'Adler
Planetarium di Chicago, che si tratti di una congiunzione dei
pianeti Giove e Saturno, ripetutasi il 29 maggio, il 29 settembre
e il 4 dicembre del 7 a.C., un tipo di congiunzione noto anche
alla 'tavola di Berlino' un papiro egizio, e all' 'almanacco astrale'
di Sippar in Mesopotamia.
In realtà, come affermava p.
Lagrange, famoso biblista domenicano,
che pure si fermò stupito a contemplare nel 1911 la cometa
di Halley mentre transitava nel cielo di Gerusalemme, "sulla stella
di Betlemme ci può dire molto di più la teologia
che non l'astronomia". La stella, infatti, per la Bibbia
è spesso un segno messianico.
Ricordo di aver visto in una vetrata della cattedrale anglicana
di Canterbury la scena dei Magi con un personaggio, il mago moabita
Balaam - che, secondo il libro biblico
dei Numeri, fu costretto a benedire Israele, pur essendo stato
assunto dal re Balak a maledirlo
- raffigurato mentre indica ai Magi la stella. Infatti, il giudaismo
aveva tradotto in aramaico una frase ebraica di uno dei suoi oracoli
con due suggestive varianti. Aveva dunque detto Balaam
secondo Numeri 24,17: "Una stella spunta da Giacobbe e uno
scettro sorge da Israele". Il Targum, cioè la
versione aramaica della Bibbia, aveva invece tradotto: "Il
Messia spunta da Giacobbe e il Re sorge da Israele". La stella
ha, quindi, un rilievo nel racconto come segno cosmico del Messia
a cui si rivolgono tutti i popoli della Terra ed è iscritta
non nelle tavole astrali né segue le meccaniche celesti,
ma è presente nelle pagine sacre e appartiene alla simbolica
della fede. Non per nulla il Cristo dell'Apocalisse, spesso
circondato da stelle, si autodefinisce così: "Io sono
la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino"
(22,16). E il vescovo Ignazio di Antiochia
nel 107, mentre veniva condotto a Roma per essere esposto alle
belve, scriveva ai cristiani di Efeso: "Una stella brillò
in cielo oltre ogni stella (alla nascita di Cristo); la
sua luce fu oltre ogni parola e la sua novità destò
stupore; tutte le altre stelle, insieme al sole e alla luna, formarono
un coro attorno alla stella che tutte sovrastava in splendore".
Il testo evangelico dev'essere interrogato correttamente per
quello che vuole affermare; detto in termini paludati è
indispensabile una corretta ermeneutica, "andando al di là
del versetto", come affermava Levinas,
cioè superando le secche del bieco fondamentalismo per
intuire il vero messaggio che è, sì compatto col
racconto pur affascinante, ma è trascendente rispetto alla
narrazione stessa. Ciò che storicamente accadde non è
di facile decifrazione: forse una carovana che transitava per
la Palestina provenendo dal deserto siro o arabico sostò
nella casa (che sia ancora la grotta, di cui parla l'altro evangelista
Luca, Matteo
lo esclude parlando esplicitamente di una oikia, cioè
di una casa) ove risiedevano temporaneamente Maria,
Giuseppe e il piccolo Gesù.
L'esegeta americano Martin McNamara ha
ricomposto la scena in modo ancor più circoscritto, ipotizzando
che i Magi altri non fossero che alcuni Esseni, cioè i
membri di quella setta ebraica a cui apparteneva anche il 'monastero'
di Qumran sulle sponde del mar Morto, celebre per i manoscritti
scoperti nel 1947.
Ciò che interessa all'evangelista in modo primario è
il valore di segno di quel piccolo episodio. Nella modesta processione
dei Magi, ben più semplice dei sontuosi allestimenti di
Sant'Apollinare Nuovo di Ravenna (VI secolo), dell'emozionante
Trittico dell'Epifania di Bosch al
Prado di Madrid o della fastosa tela del Tiepolo
a Monaco (1753), ben più sobria delle descrizioni apocrife
o della Legenda trium regum di Johannes
von Hildesheim (XIV secolo), Matteo
vede in filigrana la processione planetaria annunziata da Cristo,
come segno di una rivelazione e di una salvezza universali: "Molti
verranno da occidente, e da oriente e siederanno a mensa con Abramo,
Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli..." (8,11).
I Magi sono, quindi, la rappresentazione dei popoli che incontrano
Cristo dopo averlo cercato, guidati dalla rivelazione cosmica
divina, simboleggiata nella stella che conduce al Messia: "Videro
il bambino con sua madre Maria e, prostratisi, lo adorarono"
(2,11). L'epifania che Luca nel suo
racconto della nascita di Gesù
destinava agli ultimi della società ebraica, i pastori,
Matteo la riserva ai diversi, agli
stranieri rispetto a Israele che, pur illuminato dalla luce della
parola biblica (la citazione del profeta Michea
che i sacerdoti gerosolimitani evocano su Betlemme patria del
Messia), non si muove da Gerusalemme.
La narrazione matteana, molto più essenziale di quanto
ci abbia abituato la tradizione, sfocia dunque in quella 'casa'
che sembra essere una sala del trono o un tempio in cui i magi
"si prostrano e adorano", ormai giunti alla fede. [
]
Detto in termini teologici, il racconto dei Magi partecipa della
qualità del 'vangelo' che è, sì, ancorato
alla storia ma continuamente la trascende.
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