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Papa
Innocenzo VIII

(1484-1492)



nemico degli Aragonesi di Napoli, appoggia la "congiura dei baroni" che scoppia in autunno;

Hussiti

«segue da 1462»
1485, solo con la pace di Kutná Hora i Compactata vengono nuovamente e definitivamente riconosciuti da parte cattolica;
«segue 1629»

ANNO 1485





1485
SACRO ROMANO IMPERO
Friedrich III
Albero genealogico
(Innsbruck 1415 - Linz 1493)
figlio di Ernst I [il Ferreo], duca di Stiria, e di Zimburga di Masovia [Piasti];
[appartiene al ramo leopoldino degli Asburgo.]
1424-93, duca di Stiria, Carinzia, Carniola e Tirolo (Federico V);
[succeduto al padre]
1440-93, re di Germania e dei romani (Federico IV);
alla morte del cugino Alberto II riceve dai principi elettori sia la corona sia la tutela di Ladislao [Postumo] erede di tutti i territori posseduti dal ramo albertino degli Asburgo nonché delle corone di Boemia e d'Ungheria;
nel 1438, con il concordato di Vienna, ottiene da papa Niccolò V una serie di concessioni e di rinunzie a favore della corona e dei principi tedeschi che gli valgono una notevole preponderanza sulla chiesa in Germania;
1452-93, imperatore del Sacro Romano Impero (Federico III);
riceve la corona imperiale a Roma dalle mani di Niccolò V;
dal 1453 arciduca d'Austria;
1457-93, duca d’Austria (Friedrich V);
nel 1457, alla morte di Ladislao [Postumo], rivendica a sé il diritto all'eredità di tutti i possessi territoriali della casata asburgica e, ottenutili dopo non poche lotte, unifica i domini acquistati, costituendo così il più esteso tra gli stati tedeschi:
Austria eretta in arciducato (1453), Stiria, Carinzia, Carniola, Tirolo;
nel 1458 non riesce a salvaguardare i suoi diritti sui regni di Boemia e d'Ungheria;
nel 1477 combina il matrimonio di suo figlio Massimiliano e Maria di Borgogna, figlia di Carlo [il Temerario], ponendo così le basi della futura potenza asburgica;

1485
-


1485
REGNO di BOEMIA
Ladislao II Jagellone III

(n. 1456 - Buda 1516)
figlio di Casimiro IV re di Polonia e di Elisabetta d’Absburgo;
1471-1516, re di Boemia (Ladislao II);
nel 1478, con la pace di Olmütz, conferma a Mattia Corvino il possesso delle terre conquistate a Giorgio Podebrad (Moravia, Slesia e Lusazia);
nel 1483, si scontra con l'opposizione hussita che crea tumulti a Praga;






1490-1516, re d'Ungheria (Ladislao VII);

 



1485
-



1485
REGNO d'UNGHERIA
Mattia Corvino

(Kolozssvár 1440 - Vienna 1490)
figlio di János Hunyadi;
1458-90, re d'Ungheria;
proclamato grazie alle vaste aderenze e alle ricchezze della sua casata;
nel 1464 attacca il regno di Boemia;
nel 1465, grazie al matrimonio con Beatrice d'Aragona figlia di Ferdinando di Napoli, i contatti con la cultura italiana si fanno più assidui; alla sua corte si costitusce una ricca biblioteca umanistica (Corviniana);
nel 1478, con la pace di Olmütz, Ladislao II Jagellone gli conferma il possesso delle terre conquistate a Giorgio Podebrad (Moravia, Slesia e Lusazia);

 



1485
1485-86, occupa parte dell'Austria e la stessa Vienna;



1485
REGNO di POLONIA
Casimiro IV
Albero genealogico

(Cracovia 1424 - Grodno 1492)
figlio di Ladislao II Jagellone e di Edvige d’Angiò;
1440-92, granduca di Lituania (Casimiro II);
eletto dalla nobiltà locale, con la sua nomina rende il paese indipendente di fatto dalla corona polacca;
1445-92, re di Polonia;
1456-66, lunga guerra contro i cavalieri teutonici che, con la pace di Torun, sono costretti a restituire la Pomerania e a rendergli omaggio feudale;
nel 1470 combatte contro Mattia Corvino che contende a suo figlio Ladislao (il futuro Ladislao II) il trono di Boemia;




1485
-


1485
Albero genealogico

(Tangermünde, Magdeburgo 1414 - Francoforte sul Meno 1486)
terzogenito di Federico I;
1440, eredita il principato di Ansbach;
1464, alla morte del fratello Giovanni [l'Alchimista] eredita il principato di Bayreuth;
1470-86, elettore di Brandeburgo;
in seguito all'abdicazione dell'altro fratello Friedrich II [Dente di Ferro];
riuniti così tutti i possedimenti del casato, inizia una politica di consolidamento e di espansione;
nel 1473, per garantire l'indivisibilità della marca, con la Dispositio Achillea stabilisce un nuovo principio di successione basato sulla primogenitura;
nel 1476 abdica conservando il titolo elettorale;

1485
Albero genealogico

(† 1486)
figlio di Friedrich II [il Pacifico] e di Margherita d’Austria;
è l'iniziatore del ramo ernestino della casa di Wettin;
1464-86, duca elettore di Sassonia;





Alberto IV [il Coraggioso]
Albero genealogico

(Grimma, Lipsia 1443 - Emden, Bassa Sassonia 1500)
figlio di Friedrich II [il Pacifico] e di Margherita d’Austria;
è l'iniziatore del ramo albertino della casa di Wettin;
1464-85, duca di Sassonia;
[regge il ducato con il fratello maggiore Ernesto.]
nel 1474, generale tra i più abili del tempo, appoggia la politica imperiale lottando contro Carlo [il Temerario];
1485-1500, margravio di Meissen (Alberto II)
1485-1500, duca elettore di Sassonia;
dopo la spartizione di Lipsia;




1485
ducato di Baviera
Georg di Wittelsbach [il Ricco]
Albero genealogico

(Landshut 1455 - Ingolstadt 1503)
figlio di Ludwig IX [il Ricco] e di Amalia di Sassonia;
1479-1503, duca di Baviera in Landshut e Ingolstadt;




Albrecht IV [il Saggio]
Albero genealogico

(Munich 1447 - Munich 1508)
figlio di Albrecht III [il Pio] e di Anna von Braunschweig-Grubenhagen;
1467-1508, duca di Baviera-Monaco;
[con il fratello Sigmund e poi da solo, cercando invano di estendere i confini fino a Ratisbona.]



1504-08, duca di Baviera-Ingolstadt u.Landshut;
1505-08, duca di Baviera;
[dopo aver riunito i domini]








1485
IMPERO OTTOMANO
Bayezid II [il Giusto o il Pio]

(1447-1512)
figlio di Mehmet II;
1481-1512, sultano;
[pur sospettato di parricidio, mediante l'appoggio dei giannizzeri e di una potente fazione di alti funzionari, supera l'opposizione del fratello Cem.]
nel 1482 il fratello Cem, suo oppositore, fugge a Rodi;
nel 1483 riprende, con esito alterno, la politica espansionistica del suo predecessore; perfeziona la conquista dell'Erzegovina; proibisce la riproduzione meccanica di qualsiasi testo arabo e turco cso il Corano;
nel 1484 combatte contro croati, ungheresi e polacchi, alternando vittorie e insuccessi, guerre e tregue;





1485
-


1485
REGNO di CIPRO e di GERUSALEMME
 

(Venezia 1454 - 1510)
moglie di Giacomo di Lusignano;
1473-89, regina di Cipro e di Gerusalemme;
[sotto la tutela di un ammiraglio veneziano;
nel 1474 muore il figlio James III, nato postumo nel 1473, estinguendosi così così la dinastia dei Lusignano;
si trova subito inserita in un difficile gioco diplomatico, fra le mire degli Aragonesi di Napoli e le pretese di Carlotta erede legittima dei Lusignano;
ben presto, sottraendosi al ruolo di "strumento" che la Repubblica di Venezia gli ha assegnato, intende fare dell'isola un regno indipendente;


1485
-






1485
RUSSIA
Ivan III [il Grande]
Albero genealogico
(Mosca 1440 - 1505)
figlio di Basilio II [il Cieco] ;
1449, già co-reggente del padre;
1462-1505, gran principe di Mosca;
continua con esito favorevole la politica di unione delle terre russe già iniziata dai suoi predecessori, superando l'ostilità della Lituania e dell'Orda d'Oro;
nel 1474 conclude con Mengli-Ghiray, khan della Crimea, un'alleanza contro l'Orda d'Oro e si volge contro la repubblica di Novgorod [ormai in stato di debolezza cronica, divisa al suo interno tra il partito dell'oligarchia commerciale e aristocratica che si appoggia allo stato polacco-lituano e il popolo che si appoggia alla Russia];
nel 1478 prende possesso di Novgorod incorporandone i territori nello stato moscovita;
nel 1480 respinge un attacco di Ahmat khan dell'Orda d'Oro [sarà definitivamente liquidata da Mengli-Ghiray nel 1502];
nel 1483 riesce ad annettere Rjazan;

 
-
1485
riesce ad annettere Tver;


1485
Moldavia
Stefano III [il Grande]
(n. 1433 ca - m.1504)
figlio del principe Bogdan II della stirpe dei Musat;
1451, dopo la morte del padre, ucciso dal fratello Pietro III Aron, intraprende con quest'ultimo una lunga guerra;
1457-1504, voivoda di Moldavia;
grazie anche all'appoggio di Vlad III di Valacchia;
nel 1467, con la battaglia di Baia, ferma l'attacco degli ungheresi;
nel 1469, con la battaglia di Lipnik, ferma l'attacco dei tatari;
nel 1475, con la battaglia di Racova, ferma l'attacco dei turchi; allarga il proprio dominio a spese dell'Ungheria e della Valacchia;
nel 1484 perde gli importanti centri commerciali di Kilija e Akkerman;


 
-
1485
-



1485
REGNO di FRANCIA
Carlo VIII
Albero genealogico
(Amboise 1470 - 1498)
figlio di Luigi XI e di Carlotta di Savoia;
[ultimo sovrano della dinastia dei Valois.]
1483-98, re di Francia;
[1483-91 - reggente la sorella Anna di Borbone-Beaujeu.]




Primo ministro
[Sovrintendente delle Finanze]
-
Cancelliere-Guardasigilli
-
Segretario di stato agli Affari Esteri
-
 
1485
-



1485
ducato d’Angiò
Renato II
Albero genealogico

(n. 1451 - Fains, Barrois 1508)
figlio di Federico (Ferri) di Lorena conte di Vaudémont e di Iolanda d'Angiò (figlia di Renato I [il Buono]);
1473-1508, duca di Lorena;
ereditato il ducato dal cugino Niccolò d'Angiò, con il trattato di Nancy deve cedere a Carlo [il Temerario] duca di Borgogna le più importanti piazzeforti del paese;
nel 1475 è costretto a rifugiarsi a Lione dove prende il comando di truppe svizzere;
nel 1476 sconfigge Carlo [il Temerario] a Grandson e a Morat;
nel 1477 uccide Carlo [il Temerario] nell'assedio di Nancy;
1480-1508, duca di Bar;
succeduto a Renato I [il Buono], è attratto dalle vicende italiane;
nel 1483 combatte a fianco di Venezia durante la guerra di Ferrara, senza nascondere le sue ambizioni sul regno dell'Italia meridionale su cui vanta i diritti della sua famiglia materna;
1485
impone alla Lorena la legge salica, vietando la separazione del ducato di Bar; non avendo avuto figli dalla moglie Giovanna d'Harcourt, la ripudia per Filippa di Gheldria che gli dà un successore, Antonio;





1485
allo scoppio della "congura dei baroni" nell'Italia meridionale contro Ferdinando I d'Aragona, nonostante le insistenze di papa Innocenzo VIII e le precedenti promesse, non interviene dedicandosi invece al miglioramento del proprio stato e del suo assetto politico;




1485
ducato di Savoia
Carlo I [il Guerriero]
Albero genealogico
(Carignano 1468 - Pinerolo 1490)
figlio di Amedeo IX [il Beato] e di Yolande di Valois;
1482-90, principe di Piemonte;
1482-90, conte di Aosta, Maurienne e Nizza;
1482-90, duca di Savoia;
1485
Aprile
, sposa Bianca del Monferrato;



1487-90, marchese di Saluzzo;
re di Cipro e Gerusalemme (titolare)
[erede dei regni in seguito alla donazione della zia Carlotta di Lusignano]





 
-
1485
-

 

 



1485
REGNO d'INGHILTERRA
Riccardo III
Albero genealogico

(Fotheringay, Castle, Northamptonshire 1452 - Bosworth 1485)
undicesimo figlio di Riccardo di York e di Cicely Neville;
1455-85, guerra delle due rose;
1461-83, duca di Gloucester;
1483-85, re d'Inghilterra;
[nel 1483 fa imprigionare nella Torre di Londra Edward e Richard di York, figli del defunto fratello Edward IV costrigendo un parlamento intimorito e corrotto a proclamarlo re.]
1485
Agosto
22
, a Bosworth nel Leicestershire, trova la morte in battaglia e con lui termina la discendenza maschile degli York.
[W. Shakespeare, Riccardo III].









Enrico VII Tudor
Albero genealogico

(castello di Pembroke 1457 - Richmond, Londra 1509)
1485, vissuto finora in esilio, è legato alla casa dei Lancaster da un doppio vincolo di parentela in quanto figlio di:
- Edmondo Tudor, conte di Richmond, figlio di Owen Tudor (secondo marito di Caterina di Valois, vedova del re Enrico V) e quindi fratellastro di Enrico VI, e di
- Margherita di Beaufort discendente da Giovanni di Gand, duca di Lancaster.
1485-1509, re d'Inghilterra;
dopo essersi fatto proclamare re sul campo di battaglia di Bosworth, nel Leicestershire;
la sua ascesa al trono pone fine alla guerra delle due rose;









1485
-

«guerra delle due rose»
o
Wars of the Roses
(Guerre delle rose)
1455-1485
Inghilterra:
- Lancaster (rosa rossa)
- York (rosa bianca)

La causa profonda è il dissesto economico e politico dopo la definitiva sconfitta subita nella guerra dei cent'anni.

1485
Agosto
22
, Bosworth Field, località del Leicestershire, Enrico Tudor, conte di Richmond ed erede superstite dei Lancaster, partito dalla Francia con un piccolo esercito sbarca a Milford Haven e sconfigge e uccide Riccardo III, ultimo re degli York;
proclamatosi sovrano col nome di Enrico VII (incoronato da sir William Stanley) e sposata l'ultima erede degli York Elisabetta figlia di Edward IV riesce a porre fine alla guerra trentennale.
La borghesia cittadina rimasta in gran parte estranea al conflitto, avendo subito pochi danni può ora godere presso il re di maggiore influenza.
(Inizio 1453)




a

1485
REGNO di SCOZIA
James III
Albero genealogico

(Stirling 1453 - Milltown 1488)
figlio di Giacomo II Stuart e di Mary di Guelders;
1460-88, re di Scozia;
succeduto ancora fanciullo al padre;
nel 1469 sposa Margherita di Danimarca ottenendo in dote le Shetland e le Orcadi;
nel 1471 deve affrontare ricorrenti sedizioni e congiure, suscitate dalla nobiltà che lo accusa pretestuosamente di circondarsi di consiglieri mediocri e volgari;
nel 1483, imprigionato dai baroni, viene liberato dal fratello Alessandro duca d'Albany che pure ha in progetto di spodestarlo;

1485
1455-85, guerra delle due rose (schierato con i Lancaster.)
cerca di rafforzare la propria posizione stringendo amichevoli rapporti con Enrico VII d'Inghilterra;


a

1485
REGNO di DANIMARCA, REGNO di NORVEGIA e REGNO di SVEZIA
Johan I
Albero genealogico
(Aalborg 1455 - Aalborg 1513)
figlio di Christian I e di Dorotea di Brandeburgo;
nel 1478 sposa la p.ssa Christine di Sassonia;
1481-1513, re di Danimarca e di Norvegia;
1483-1501, re di Svezia (Johan II);
duca di Schleswig-Holstein

1485
-



1485
REGNO di PORTOGALLO
Giovanni II [il Principe Perfetto]
Albero genealogico
(Lisbona 1455 - Alvôr 1495)
figlio di Alfonso V [l'Africano] e di Isabella di Braganza;
1471, prende parte alla spedizione paterna in Marocco dove è nominato governatore;
1481-95, re di Portogallo;
salito al trono limita i privilegi della nobiltà e dirige mirabilmente le esplorazioni oceaniche dell'Africa, perfezionando un tipo di nave ritenuto da tutti ideale per tali viaggi: la caravella con vela latina;




1485
Il navigatore portoghese Diego Cão parte dal Portogallo per una nuova spedizione che, lungo le coste occidentali dell'Africa, lo porta molto più a sud, sino al tropico del Capricorno.
[Anche lì lascia un monolito e una croce con lo stemma del Portogallo; anche quel monolito sarà molto più tardi rintracciato, come pure il terzo da lui lasciato sulle coste dell'Angola centrale.]
Stavolta con le sue navi affronta il fiume Congo (Nzadi=grande acqua per gli indigeni, che diverrà più tardi Zaire per i portoghesi) e cerca di risalirlo riuscendo a spingersi fino alla zona di Matadi (limite insuperabile anche nel 1963).
[Il nome "Congo" sarà abbinato a quello di "Zaire" solo più tardi, quando i portoghesi sapranno dell'esistenza di un regno indigeno il cui sovrano ha il nome Mani Congo.]
Diego Cão invia al re del Congo quattro messaggeri in funzione di ambasciatori e si porta a Lisbona quattro dignitari indigeni.
[La restituzione reciproca avverrà alcuni anni dopo.]


1485
REGNO di NAVARRA e REGNO di ARAGONA
Ferdinando II [il Cattolico]
Albero genealogico

(Sos, Aragona 1452 - Madrigalejo, Estremadura 1516)
figlio di Giovanni II d'Aragona e della sua seconda moglie Giovanna Enriquez;
1469, Valladolid 19 ottobre, sposa Isabella, sorellastra di Enrico IV di Castiglia;
1474, alla morte di Enrico IV, la figlia Giovanna [la Beltraneja], sposa Alfonso V re del Portogallo;
ne segue una lunga e dura lotta di successione tra le due pretendenti e i rispettivi mariti;
1479-1516, re d'Aragona e di Sicilia;
dopo la conclusione di una lunga e dura lotta per la successione;
con la morte di Giovanni II d'Aragona inizia il regno congiunto dei due sovrani: ciascuno figura come principe consorte nel regno dell'altro, e sul piano costituzionale la Castiglia e l'Aragona rimangono due stati separati, ma tra Ferdinando e Isabella regna una piena intesa;




1503-16, re di Napoli (Ferdinando III);
1512-16, re di Spagna (Ferdinando V);





1485
dal 1478 opera il Sant'Uffizio (Inquisizione spagnola);
1481-92, lunga guerra rivolta tutta al regno di Granada l'ultimo caposaldo arabo nella penisola iberica;



1485
REGNO di CASTIGLIA e di LÉON
Isabella I [la Cattolica]
Albero genealogico

(Madrigal de las Altas Torres, Ávila 1451 - Medina del Campo, Valladolid 1504)
figlia di secondo letto di Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo;
1469, 19 ottobre, liberata dal castello di Madrigal dove Enrico la teneva in una velata prigionia, può sposare Ferdinando d'Aragona, re di Sicilia ed erede della corona aragonese: questo matrimonio, atto di volontà della principessa, non è certo gradito ad Enrico IV né negli ambienti diplomatici portoghesi, inglesi e francesi;
a questo punto molti dei grandi di Castiglia, temendo un rafforzamento che alla corona castigliana sarebbe pervenuto dall'unione con quella aragonese il giorno in cui Ferdinando avesse ereditato l'Aragona, oppongono alle sue ragoni quelle di Giovanna la Beltraneja, figlia presunta di Enrico IV;
1474-1504, regina di Castiglia;
dopo la morte del fratello, anche se la lotta per il riconoscimento dei diritti ereditari continua;
nel 1475 la la battaglia di Toro fra portoghesi e castigliani ha esito incerto;
nel 1476, alla morte del gran maestro dell'ordine cavalleresco di Santiago, pretende che questa carica venga assegnata al marito;
nel 1479 viene sottoscritto il trattato di Alcoçobes (o Alcáçovas) con i portoghesi, in base al quale Giovanna [la Beltraneja] e suo marito Alfonso di Portogallo rinunciano all'eredità castigliana;
nel 1481 si assiste ad importanti sconvolgimenti legislativi;


1485
-




1485
Monferrato
Bonifacio III Paleologo
Albero genealogico
(n. 1424 ca - m. 1494)
figlio del marchese Giangiacomo Paleologo e di Giovanna di Savoia;
1450, premuto dalle mire dei Savoia e da quelle dei duchi di Milano riconsegna Alessandria, ricevuta dal fratello Guglielmo VIII, a Francesco Sforza;
1483-94, marchese di Monferrato;
1485
sposa, in seconde nozze, Maria, figlia di Stefano Brankovic, ex despota di Serbia;










 
1485
-


1485
REPUBBLICA DI GENOVA
"Compagna Communis Ianuensis"
Paolo di Campofregoso
Albero genealogico

(? - ?)
figlio di
1462 14-31 maggio, 1463 8 gen - apr 1464,
1483 25 nov - 6 gen 1488, doge di Genova;


1485
-



1485
ducato di Milano
Gian Galeazzo Sforza
Albero genealogico
(Abbiategrasso 1469 - Pavia 1494)
figlio di Galeazzo Maria e di Bona di Savoia;
1476-94, duca di Milano;
sotto la reggenza della madre, assistita dal segretario ducale Cicco Simonetta e appoggiata dal partito guelfo;
nel 1479 Bona di Savoia cede e chiama a Milano il cognato;
dal 1480 reggenza e governo effettivo passano nella mani dello zio Ludovico [il Moro ]; nei mesi successivi Bona di Savoia viene estromessa definitivamente e confinata ad Abbiategrasso;
nel 1484 pur avendo ormai raggiunto la maggior età e promesso sposo di Isabella d'Aragona, figlia del re di Napoli, reggenza e governo effettivo rimangono nella mani dello zio Ludovico [il Moro ];


Ludovico Sforza [il Moro]
Albero genealogico
(Vigevano 1452 - Loches, Turenna 1508)
figlio quartogenito di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti;
nel 1476 cerca con gli altri fratelli Sforza Maria, Ascanio e Ottaviano di contrastare la successione del nipote Gian Galeazzo Maria;
nel 1477 un suo colpo di mano tentato assieme ai fratelli viene sventato ed i congiurati, banditi dalla città, vengono confinati in diverse città italiane;
da Pisa egli continua la sua azione per scalzare l'autorità di Bona di Savoia e di Cicco Simonetta, contando anche sull'appoggio di Alfonso d'Aragona (figlio del re di Napoli Ferdinando I) e di Roberto di Sanseverino;
nel 1478 verso la fine dell'anno si porta con i fratelli in Liguria, con l'intenzione di puntare su Milano;
nel 1479, nonostante un nuovo bando per ribellione e nonostante la morte di Sforza Maria, assieme agli altri fratelli prende Tortona; Bona di Savoia cede e lo chiama a Milano;
1479-1500, duca di Bari;
dal 1481 è l'incontrastato signore di Milano;
1482-84, combatte contro Venezia la guerra di Ferrara;



1494-1500, duca di Milano;






 
1485
1485-86, porta un valido aiuto a Ferdinando I nel corso della "guerra dei baroni";


1485
Mantova
Francesco II Gonzaga
Albero genealogico
(n. 1466 - m. 1519)
figlio di Federico I e di Margherita di Baviera;
1484-1519, marchese di Mantova;
succeduto al padre, si avvicina alla Serenissima pur cercando di mantenere il buon vicinato con Milano;

1485
-

1485
REPUBBLICA DI VENEZIA
"La Serenissima"
Giovanni Mocenigo
Albero genealogico
(Venezia 1409 – Venezia 14 set 1485)
figlio di Leonardo e di Francesca Molin; fratello del doge Pietro;
1478-85, doge di Venezia; [72°]
1485
Settembre
14
, muore.



Marco Barbarigo
Albero genealogico
(Venezia 1413 - Venezia 14 ago 1486)
figlio di Francesco e di Cassandra Morosini; ha tre fratelli (di cui uno doge, Agostino, suo successore);
sposa Lucia Ruzzini;
1485
Novembre
19
, viene eletto doge.
1485-86, doge di Venezia; [73°]



- nunzio pontificio: ? (? - ?)
- ambasciatore di Spagna: ? (? - ?)

1485
terminata la guerra di Ferrara (1482-84), la città di Venezia riprende i suoi commerci ancora più in grande spedendo le sue galee da mercato nella Soria, in Egitto, in Africa, in Francia agli scali della Provenza, in Spagna anche oltre lo stretto nei territori bagnati dall'oceano, nel Mar maggiore oltre lo stretto di Costantinopoli e nella palude Meotide. I cittadini veneziani ne traggono ovviamente un immenso profitto e le casse dell'erario si gonfiano per i dazi percepiti.
L'immensa ricchezza e la lontananza dalla guerra crea pure un cambiamento nei costumi, permettendo l'ngresso a Venezia di una certa frugalità, di un nuovo modo di vivere.
In questo periodo mentre Bartolomeo Minio sta navigando per l'oceano con 4 galee, viene vinto e sottomesso a Capo di San Vincenzo da 7 galee comandate dal famoso corsaro genovese C. Colombo. Questi, arrivato a Lisbona per risistemare i legni e vendere le merci sottratte alla squadra veneziana, viene però redarguito dal re del Portogallo rimproverando i proprio sudditi e vietando loro di appropriarsi degli effetti veneziani e, restitute le loro cose, liberati i prigionieri e fatti curare i feriti, li manda sicuri a Venezia.
Vengono altresì fatti riallacciare i rapporti tra il re Mattia d'Ungheria tramite Domenico Bolani e l'imperatore Federico tramite Antonio Bolani, premendo affinché che le armi ungheresi non siano impiegate in altre guerre ma che restino a disposizione per un eventuale attacco turco.


La città è colpita dalla peste ed il senato per rendere l'aria più purificata decreta lo scavo di un grande canale (Canal Grande) che la divida.
Alla notizia che dei legni turchi si stanno avviando verso Cipro vengono spedite nell'isola molte milizie che, anche se alla fine inoperanti, fanno chiaramente capire che la Repubblica è ben vigile.
Attento perché sia mantenuta la pace in Italia, il senato non consente al papa di avvalersi di milizie estranee per muoversi contro Alfonso re di Napoli.



1485
Firenze
Lorenzo de' Medici [il Magnifico]
Albero genealogico
(Firenze 1449 - 1492)
figlio del banchiere fiorentino Piero e di Lucrezia Tornabuoni;
1466, inizia l' avventura dell'allume che sarà uno dei motivi principali del crollo di casa Medici;
1469-92, signore di Firenze;
alla morte del padre ha solo 21 anni ed è quindi costretto ad affidarsi all'esperienza di Francesco Sassetti che finisce per diventare l'arbitro assoluto dell'impero economico di famiglia;
nel 1475 viene in urto con Sisto IV e ai Medici viene tolto l'incarico di depositari generali della Santa sede, ora affidato al genovese Melladuce Cigala;
nel 1477 si assicura il commercio del ferro stipulando un contratto con il signore di Piombino proprietario delle miniere dell'isola d'Elba;
nel 1478 prende corpo la "congiura dei Pazzi";
il centinaio di esecuzioni che punisce l'assassinio scatena il papa che scomunica Lorenzo e muove guerra; 
le fortune economiche dei Medici sono ormai tramontate e, a catena, il dissesto si propaga a tutte le proprietà dei Medici; ogni intervento, lecito e non, è inutile;
1485
per ripagare i figli del cugino Pierfrancesco è costretto a cedere loro tra l'altro la villa di Cafaggiolo dalla quale prende nome il suo ramo;
 
1485
-


1485
ducato di Urbino
Guidobaldo I
Albero genealogico
(Urbino 1472 - Fossombrone 1508)
figlio di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza;
1482-1508, duca di Urbino;
[sotto la tutela del conte Ottaviano Ubaldini e la raffinata educazione dell'umanista Ludovico Odasio;]
 
1485
-


1485
REGNO di NAPOLI e REGNO di SICILIA
Ferdinando I o Ferrante
Albero genealogico

(1431 ca - Napoli 1494)
figlio naturale di Alfonso V [il Magnanimo];
1443-58, duca di Calabria;
[titolo spettante tradizionalmente agli eredi al trono di Napoli.]
nel 1445 sposa Isabella di Chiaramonte;
1454, con la pace di Lodi egli intende mantenere per la penisola lo status quo consacrato;
1458-94, re di Napoli;
succeduto in base alle disposizioni testamentarie del padre, l'ascesa al trono gli viene contestata da più parti:
- da papa Callisto III, signore feudale del regno di Napoli che si rifiuta di riconoscere i diritti di un bastardo;
- da molti baroni favorevoli ad appoggiare le pretese angioine al trono napoletano;
alla morte di Callisto III viene invece riconosciuto dal successore Pio II, cui sta a cuore la pacificazione dei cristiani per poter rilanciare la crociata contro gli ottomani;
il riconoscimento avviene però previa cessione della città di Benevento e corresponsione puntuale del censo che il regno deve alla curia;
non cessa invece l'opposizione dei nobili filoangioini, appoggiati da Genova, che invitano nel napoletano Giovanni d'Angiò perché vi faccia valere i suoi diritti, e al suo fianco si schierano due codottieri illustri, Iacopo Piccinino e Sigismondo Malatesta;
l'intervento di Francesco Sforza al fianco di Ferdinando, l'appoggio di Pio II, l'aiuto apportato dal principe albanese Giorgio Scanderberg salvano il trono aragonese;
nel 1465 cessa ogni resistenza baronale e angioina;
sua figlia Leonora va in sposa a Ercole I d'Este, duca di Ferrara, mentre una sua figlia naturale sposa Leonardo della Rovere, nipote di Sisto IV;
nel 1467 sottoscrive insieme con Milano, Firenze e il papa una lega difensiva che lo assicura contro Venezia;
nel 1478 l'alleanza con Sisto IV e gli interessi espansionistici verso la Toscana meridionale lo fanno coinvolgere nel complotto contro i Medici e nella guerra che ne segue; nello stesso tempo, temendo il prepotere in Milano del ministro Cicco Simonetta, gli fa appoggiare il colpo di stato di Ludovico [il Moro];
nel 1480 la diplomazia tempestiva di Lorenzo [il Magnifico] lo induce a imporre al papa la pace con Firenze;
nuova lega tra Milano, Firenze e Napoli;





Alfonso II
Albero genealogico

(Napoli 1448 - Mazzara, Messina 1495)
figlio di Ferdinando e di Isabella di Chiaromonte;
1458-94, duca di Calabria;
nel 1465, riprendendo la politica di riavvicinamento ai duchi di Milano, sposa Ippolita Maria figlia di Francesco Sforza;
1478-79, nella guerra che segue alla congiura dei Pazzi, viene inviato come gonfaloniere a combattere contro Firenze;
1480-81, si distingue contro i turchi che hanno occupato Otranto;
1482-84, si distingue nella guerra di Ferrara;
1485
concede in moglie la figlia Isabella al duca Gian Galeazzo Sforza;



1494-95, re di Napoli;




1485
-

« congiura dei baroni »

[I Fase]

primavera,
alcuni feudatari del regno di Napoli (tra cui Antonello Sanseverino, Francesco Coppola, Antonello Petrucci, Pirro del Balzo) si ribellano a Ferdinando I in seguito all'arresto di alcuni nobili, tra cui alcuni Orsini. I ribelli si appellano al papa Innocenzo VIII con cui formano una lega, grazie alla mediazione del card. Giuliano dalla Rovere e al sostegno, in parte, di Venezia.
Le azioni militari sono in complesso a favore degli aragonesi capeggiati dal figlio del re di Napoli, Alfonso duca di Calabria (prossimo Alfonso II).
Intanto la diplomazia di Ferdinando I, appoggiato da Lorenzo de' Medici e da Ludovico [il Moro], induce il papa all'accordo.

_________________

Marzo
3
, in una lettera di Giovanni Lanfredini al Lorenzo [il Magnifico] si legge: «Dovete sapere la concorrentia che è tra questa casa Charaffa et questi del secretario, et seguaci dell’una parte et l’altra. Et è vero che, poi gunto el duca, el secretario pare alquanto abattuto et non in tanta reputatione.
[…] Hora, perché el duca ha fatto qualche ordine contra al secretario e figluoli, pure circha a tanta reputatione uno de’ figlioli s’alarghò mecho […], mostrando quante fatiche et vigilie sono state le loro […], et che dal primogenito sieno buttati non
piace
» (Corrispondenza ambasciatori fiorentini, I, n. 290, p. 509).
In presenza di Antonio Frodo, Francesco Petrucci manifesta nuovamente la preoccupazione per gli attriti creatisi e per l’impressione che Alfonso d’Aragona voglia «abassare suo patre», ossia il segretario regio.

 

Accusato di non aver servito il sovrano nei modi richiesti, il condottiero genovese Gian Luigi Fieschi è privato di una contea, che gli sarà resa solo due mesi più tardi, dopo l’intervento di due conterranei: papa Innocenzo VIII e Obietto Fieschi.
Non altrettanto fortunato è il conte Girolamo Riario.

Maggio
forte motivo di scalpore è ora l’arresto dei figli e della sorella del duca di Ascoli Satriano, Orso Orsini, cui segue l’ordine di «levargli lo stato […], perché dicono essere certificati non sono figliuoli di detto duca»;
26, in serata Ferrante li fa convocare in Castelnuovo assieme al loro fattore, un certo notaro Martino, quindi li imprigiona.
La casa napoletana dei giovani viene saccheggiata e le contee verso Nola e Ascoli sono occupate in nome del re.
[L’importanza strategica di queste terre, la cattiva gestione che la sorella Paola Orsini ne ha fatto dopo la morte di Orso Orsini – la quale «ni cavava più che la posseva» –, e la confessione di una concubina, che ha ammesso che i giovani non sono figli del conte Orso Orsini, sono i motivi che hanno indotto Ferrante a muovere contro di loro.
Il defunto duca d’Ascoli, Orso Orsini, era stato inizialmente uno dei ribelli della prima congiura contro Ferrante, quella del 1459-64.
Roberto e Raimondo Orsini, dell’età di 13 e 10 anni, erano nati da una concubina e da un uomo tanto simile al duca «per modo quasi non se li conosceva differentia». Il maggiore dei fratelli, colui che porta ora il titolo di duca d’Ascoli, ne viene privato ed è costretto anche a rompere la promessa di matrimonio che lo voleva unito con la nipote del re, figlia del defunto Enrico d’Aragona.
Notar Giacomo definisce Paola Orsini, la sorella del conte, come madre dei due ragazzi incarcerati e spiega che i quattro testimoni chiamati a sostenere la difesa «tucti fecero mala fine».
I congiunti del duca d’Ascoli – sempre secondo il cronista napoletano – hanno pagato a Ferrante 30.000 ducati, prestati loro da Francesco Coppola, conte di Sarno. Dopo un incontro col principe di Altamura, a metà ottobre, l’oratore sforzesco scriverà invece che a Ferrante sono stati versati 20.000 ducati per la pratica di legittimazione dei figli del duca, denaro sprecato, dopo quello che è successo. Delle terre confiscate si vorrebbe insignorire don Piero, secondogenito del duca di Calabria, ma sono redistribuite tra alcuni membri della famiglia Orsini.]


29, Salerno, viene celebrato il battesimo di Roberto Sanseverino, figlio di Antonello Sanseverino, principe di Salerno;
[Dalle testimonianze emergerà che i baroni hanno progettato di catturare nell'occasione Alfonso, duca di Calabria, il quale sfugge alla cattura solo perché in suo luogo presenzia la cerimonia il fratello card. Giovanni.]
Lo stesso giorno avviene un dialogo riservatissimo tra il gran siniscalco e il card. Giovannid’Aragona:
«Como lo quondam cardinale de Aragonia, siando amicissimo del quondam gran sinischalcho, in questo magio passato sono doi anni, retrovandose insieme in Salerno al baptismo del fiolo del principe, cum grande dispiacere et assai secretamente li revelò le cose infrascripte.
Primo, como la maestà del re suo patre, et anche lo duca de Calabria, suo fratello, havevano deliberato totaliter da alhora volere prehendere tuti li baroni del regno e disfarli, de
minera che de nullo loro se havesse viva memoria.
Item, spacciati li baroni, de cavare tuti li capopopuli de le terre grosse, et tanto de le robe de li baroni, quanto de’ capopopuli, così de stabili, como de mobili, e farne dinari.
Appresso, facto questo, notare tuti li homini facultosi del regno, così clerici como seculari, et trahere da loro la magiore quantità de dinari che fosse possibile.
Et ultra imponere in uno tracto tuti li pagamenti fiscali et farli pagare in uno tempo, cioè quello se deve pagare in uno anno. Et facta tale exactione, ordinare subito se paghi per datii et gabelle, che le revenerìa altrotanto ultra del consueto, che ad minus ne perceperiano uno milione et octocento ducati per anno.
Et accumulato dinari de le robe de li baroni, capipopuli, case de homini facultosi, et de la exactione de li tre tertii in uno tracto, ut supra, subito et de facto cum favore de li Ursini et Colonesi e de altri romani, quali se ingegniano tirarli a loro cum beneficiarli nel reame, et cum intelligentia de la maiore parte del stato ecclesiastico, como è Ascoli, Perosa, Todi, Fabriano, Osimo et altre terre, de facto senza dire altro, per non havere possuto havere da vostra santità Terracina et Pontecorvo, se ne venerìa ad occupare Roma et tuto lo stato ecclesiastico, cum intentione de farse imperatore et dare lege in tuta Italia, et finir quello un’altra volta incomenciò el re Lancilao, dicendo anchora che questo medesimo conseglio una altra volta fu dato per lo conte Adverso [dell’Anguillara] al re Alfonso, lo quale, per essere catholica persona, non lo volse exequire.
Del che el dicto cardinale, essendose male contento, se condusse punctalmente secreto modo ad volerlo revelare epso medesimo, a ciò che se potesse obviare bonamente. Et tucto questo a Syllaba anchora fu revelato per lo secretario, al quale Dio, forse per li soi peccati, tolse el sentimento, ché non sepe prosequire el facto suo.
Deinde la santità vostra, como è manifesto, vede che de / quanto è supradicto, el re ha facto lo più forte, et al presente già è su nel exigere li pagamenti de uno anno et la taxatione, quale già sono imposte et se exigano, et non li resta altro che ad exequire el resto contra la santità vostra. Dio cum la sua prudentia ce li proveda, ché se de prima - nante fosse la guerra – era di tale prava intentione, ogni ragione vòle et dicta chiaramente che adesso, senza retegno, habia da fare pegio et damo’ inanti, quanti giorni inducia a ’sequirlo se deve atribuire per le cose vedute per ordine et per experientia essere più presto miraculo che ragione. Dio sia quello presta virtù et gratia alla santità vostra, che in suo tempo non occorra tanta ruina ne la chiesia sua, como già è occorso nel reame, et che possa et voglia provedere opportunamente
».
[A prescindere dal contenuto, è bene considerare che nel maggio del 1487 entrambi i personaggi saranno morti (e quindi non potranno confermare o smentire), e per entrambi si sospetterà un avvelenamento.
Giovanni d’Aragona morirà a Roma nell’ottobre del 1485. Durante i processi, Francesco Marchesi testimonierà che Pietro de Guevara ha avuto notizia dell’intenzione del re di catturare i baroni e impossessarsi delle loro terre nelle settimane seguenti le catture del conte di Montorio e i figli di Orso Orsini.]
Nello stesso mese di maggio il fronte è ormai diviso:
- da un lato i baroni, sospettosi e sulla difensiva;
- dall’altro il sovrano e il figlio primogenito, dei quali Giovanni Lanfredini scrive eloquentemente in cifra a Lorenzo [il Magnifico]: «I quali modi danno molte triste conditioni a duca di Calabria, perché lui è l’auctore, ma s’intende dipende da re, il quale sa molto bene simulare».
Se l'opinione comune verso il sovrano è poco lusinghiera, quella maturata nei confronti di Alfonso è di gran lunga peggiore.
[Il suggestivo nomignolo di ‘secondo Nerone’, che gli è stato attribuito, trae origine dal carattere e dai modi del duca e molto probabilmente trova rinforzo positivo nel ruolo che Ferrante ha assegnato al primogenito sin dai tempi in cui gli ha affidato la luogotenenza generale del regno.]

È in questo contesto che matura la decisione dei maggiori signori regnicoli di deporre il sovrano e impedire la successione del figlio primogenito, il duca Alfonso. Essi infatti «difidavano della maestà del re et molto più del duca, da poi la morte del re».
I ribelli si assicurano la complicità di alcuni dei personaggi di corte tra i più influenti:
. Antonello Petrucci, segretario regio, coi due figli, Francesco e Giovanni Antonio;
. Francesco Coppola, conte di Sarno, maggior finanziatore della Corona;
. Giovanni Pou, maiorchino, uomo di fiducia di Ferrante;
e forse in piccola misura anche Aniello Arcamone, consigliere e ambasciatore regio.
Secondo Paolo Ferrillo, considerato l’anima del principe di Bisignano, il segretario e il conte di Sarno stanno architettando la congiura da almeno tre o quattro anni.
I suddetti e la feudalità regnicola – come sembrerà di capire dalle fonti superstiti – costituiscono due gruppi eversivi distinti e hanno unito le forze solo nell’estate del 1485.
Francesco Coppola e Antonello Petrucci fanno leva sull’insicurezza maturata nei baroni, la alimentano e li sobillano prefigurando loro un futuro rovinoso.
[Durante i processi emergerà come il segretario e il conte di Sarno abbiano più volte allertato i baroni, rivelando loro la volontà regia di catturarli e privarli dei rispettivi stati.]

Giugno
si svolgono le nozze di Ippolita Sanseverino con Troiano Caracciolo, figlio del duca di Melfi;
[Questa sarebbe la prima occasione di incontro – come sosterranno le ricostruzioni degli storici – per mettere a punto la strategia da seguire. L’ipotesi ha una sua logica. Se al battesimo di Roberto Sanseverino, in maggio, il gran siniscalco ha appreso direttamente dal figlio del re, nonché uomo di chiesa, le reali e terribili intenzioni del sovrano, il mese successivo (o forse anche prima) ne ha discusso con gli altri baroni.
Inizialmente a Padula, e poi in quello che sarà definito il convegno di Melfi, i principi di Salerno, Altamura e Bisignano e il gran siniscalco sono sentiti prendere atto della minaccia regia e dell’intenzione di difendere i propri beni.
Non convinto, Girolamo Sanseverino manifesta il proposito di
recarsi a Napoli e chiedere conferme a Francesco Coppola.]
Il disegno della coalizione non è subito chiaro; per conseguire l’obiettivo si possono battere strade diverse:
- appellarsi al papa e alla Serenissima,
- far scendere in Italia il duca di Lorena, Renato d’Angiò, in qualità di pretendente al trono,
- conservare la dinastia aragonese, offrendo la Corona al secondogenito di Ferrante,
[Federico d’Aragona, che dovrebbe sposare Eleonora de Guevara, la secondogenita del gran siniscalco, è oggetto di attenzione e ‘carezze’ da parte dei ribelli e una sorta di osservato speciale da parte della corte e dei suoi alleati.]
- chiedere addirittura l’appoggio del sultano turco.
Nell’attesa che gli eventi maturino, i baroni hanno la necessità di temporeggiare e confondere le acque, azioni che fanno assai bene, ma non senza che qualcuno se ne avveda.

Luglio
3
, nella casa di Antonello Sanseverino, principe di Salerno, – come testimonierà Paolo Ferrillo – in presenza del segretario, del principe di Bisignano e di Gregorio di Samito, cancelliere del gran siniscalco, Francesco Coppola afferma di voler donare 100.000 ducati a favore della cospirazione.

L'Aquila, l’arresto di Pietro Lalle Camponeschi, conte di Montorio, provoca «grandissimo terrore ad tutto el resto de li baroni del reame e murmurationi non puocha in populo».
Convocato più volte dal duca di Calabria, Pietro Lalle Camponeschi ha sempre declinato l’invito, adducendo come motivazione le cattive condizioni di salute. In realtà il conte
era stato avvisato da Roma – pare da un breve papale e da lettere di due cardinali – che se si fosse presentato ad Alfonso questi lo avrebbe fatto arrestare. Cosa che puntualmente succede quando, partito dall’Aquila, Pietro Lalle Camponeschi raggiunge Chieti. Mentre una parte dell’esercito di Alfonso d’Aragona va a prendere possesso di due castelli strategici appartenuti al conte, quest’ultimo e altri «tres magnates sui et magni consiliarii eius» sono scortati a Napoli da trenta uomini d’arme e duecento fanti.
[Per circa un mese il conte sarà «alloggiato in una camera dove stava el ducha d’Ascholi, che è sopra la camera cubicularia de la regia maestà», poi, appena Alfonso rientrerà dall’Abruzzo, per tranquillizzare i baroni regnicoli sarà presa la decisione di lasciarlo libero di circolare in città, senza però allontanarsene.]
2, Ferrante comunica agli ambasciatori degli stati alleati le motivazioni dell’arresto:
«Prima della vita sua verso la sua maestà, et quanto tempo lo ha comportato, et lui sempre seguitato dare orechi a papa Paolo et altri; impedire la iustitia di furti e homicidi; disubdire continuamente alla chorona sua et usurpare di quelle entrate che s’aspectano alla regia corte, et tiranneggiare quella terra».
Il sovrano rassicura che Pietro Lalle Camponeschi, con la moglie e la ‘brigata’, saranno trattenuti a Napoli senza pericolo della persona e delle ‘facultà’, ma al fine di permettere alla corte di «valersi delle ciptà et subsidii».
[Lo stesso mese due nipoti del conte sono uccisi, mentre lo stesso riesce a scampare assieme alla sua famiglia a un attacco condotto dalla casata dei Gaglioffi.]

L’ambasciatore fiorentino a Napoli, Giovanni Lanfredini, scrive in un dispaccio a Lorenzo [il Magnifico]:

La magnificentia vostra à inteso degli stati levati per una a messer Lorenzo da Chastello, poi al conte Ieronimo e sua fine, al duca d’Ascoli e al conte di Montorio et a Schamdrebech*, benché a costui si dice lo schambi
con quelli di messer Francesco daTaglachozo, et alcune altre picole cose.
Et è uscito fuori alcune triste parole, che si dice à deto el duca di volere immettere in domanio tutta Terra di Lavoro, o sia 30 miglia intorno a Napoli, in modo che tutti questi baroni sono molto insospettiti e aombrati, e ognuno di loro si finta e provede alle cose sue di gente, di monizioni et fortifichare quello bixogna.
* In luogo del nome Schamdrebech, si legge Aschani de Bechi, indicato in nota come lettura incerta.
Giovanni Castriota, detto Scamdrebech (nomignolo in realtà appartenuto al padre Giorgio), era principe di Albania, ma dopo la morte del padre si era rifugiato in Italia, dove era titolare della contea di Monte Sant’Angelo e della signoria di San Giovanni Rotondo. Nell’agosto del 1485, Ferrante scambiò questi due possedimenti con le contee di Soleto e San Pietro in Galatina.
Nei dispacci non si sono trovati altri riferimenti a questo personaggio, ma in una lettera di G. Lanfredini a Lorenzo [il Magnifico], si apprende che il duca Alfonso era intenzionato a confiscare le terre abruzzesi di Battista da Tagliacozzo.
[Corrispondenza ambasciatori fiorentini, II, n. 129 (23.VII.1485), p. 208.]

Convinta della «disubidientia grave in che erono transcorsi» i propri feudatari, la corte non ha intenzione di fermarsi e, anzi, Ferrante vuole «fare ubidire et indovinare alchuni altri baroni, et non de’minori, maxime el principe d’Altamura […] et così el duca di Melfi»: ossia Pirro Del Balzo e Giovanni Caracciolo.
Visti gli esiti poco lusinghieri della riforma fiscale attuata dal novembre del 1484, si pensa anche di introdurre nuove tasse, «in modo che ’l disegnato riescha et che ciaschuno chini el chapo».
Lo stesso mese viene infatti ripristinata la tassa sul sale, il cui gettito previsto è di circa 200 mila ducati in più.

Agosto
viene condotto a Napoli, per essere messo sotto osservazione,
anche Barnabo della Marra, personaggio di cui Ferrante sospetta da tempo, e che nella provincia pugliese si dice abbia un seguito paragonabile a quello del conte di Montorio all’Aquila;
20, intanto Giovanni Lanfredini scrive: «Dondolano e tenghono in tempo».
Lo stesso mese Ferrante, «per conciliare questi sdegni [vedi marzo] del conte di Mathalona [Diomede Carafa] col secretario» propone un’unione matrimoniale tra un figlio di Antonello Petrucci e una figlia di Guglielmo Sanseverino, conte di Capaccio e genero di Diomede Carafa: (Corrispondenza ambasciatori fiorentini).
[Diomede Carafa, già fiero avversario di Antonello Petrucci, sarà ostile anche al segretario successivo, l’umanista Giovanni Pontano.]

Settembre
27
, la sollevazione dell’Aquila, non solo induce Ferrante a liberare il conte di Montorio, ma anche a intitolarlo duca di Atri e viceré d’Abruzzo.
La fiducia è ben riposta: per rientrare all’Aquila Pietro Lalle Camponeschi finge di giurare fedeltà alla Chiesa, ma in realtà continua a curare gli interessi regi in Abruzzo.
30, Giovanni Lanfredini ribadisce: «Si comprehende questa materia è menata in tempo fino che [i baroni] sieno chiari».
Dal canto suo, la corte sottovaluta i segnali e le voci insistenti di una cospirazione fino a che non si rende conto che i baroni hanno trovato appoggi esterni al regno che possono risultare assai
insidiosi, primo tra tutti quello di papa Innocenzo VIII e del condottiero Roberto Sanseverino.
Durante un incontro confidenziale, presenti il figlio Alfonso e gli ambasciatori fiorentino e sforzesco, Ferrante ha rivelato: «Voi harete inteso queste ombrezze et sospitioni de’ mia baroni, le quali non v’ò prima comunicate, perché l’ò pocho stimate et non ho giudichato né facevo quel caso che hora intendo».

Alcuni tra i principali baroni stabiliscono di tenere un incontro a Miglionico, terra del principe di Bisignano; il re decide di spostarsi con la corte a Foggia o dintorni, per essere loro più vicino. Da lì potrà incontrarli con più agio, ma anche controllarli meglio;
e i cospiratori lo capiscono.
Per diversi giorni infatti la sede dell’assemblea non è fissata definitivamente e, oltre a Miglionico, viene ventilato di eleggere Venosa a luogo di incontro.
Nel corso del mese in cui la corte risiede in Puglia vi sono numerosi contatti tra i ribelli e i rappresentanti del re.
Se si esclude il francescano Francesco d’Aragona, gli altri
emissari regi sono tutti aderenti alla congiura, e i principali baroni più volte chiedono specificatamente che siano inviati presso di loro il segretario e/o il conte di Sarno. Ogni volta che Antonello Petrucci, Giovanni Pou o Francesco Coppola tornano dal sovrano per riferire gli esiti dei colloqui, sfoggiano abili doti nell’imbonirlo e dilazionare i tempi della sua reazione.
In verità, Ferrante e i rappresentanti degli stati alleati non
sono tanto miopi.
Giovanni Lanfredini scrive a Firenze: «Di continuo viene buone
parole e buone lettere
», ma aggiunge trattarsi per l’appunto solo di «impiastri dolci e parole».


Ottobre
7
, a proposito di Ferrante, Giovanni Lanfredini riferisce a Firenze: «Sta con dubio et cum sospecto di tradimento et inganno».
19, Giovanni Lanfredini osserva acutamente: «[I baroni] hanno fatto tanto che hanno smembrato lo stato del principato di Taranto dal domanio del re et postolo in mani del signor don Federico, suo figluolo; et così a don Francesco certo altro contado […]. Et parmi i proprii figluoli doventino, pel proprio comodo, nella volontà de’ baroni, oppositi al padre et al duca primogenito. Veggho, oltre a ’nimicarsi i figluoli proprii, per questa ragione i popoli non sono contenti et sono alteratissimi»;


Dopo la fase delle confische e degli arresti, il sovrano ricorre spesso al dialogo e cerca il contatto coi baroni, invitandoli
a Napoli o spostandosi egli stesso per incontrarli, e ogni volta rispondendo in modo positivo alle molteplici e diverse richieste di concessioni che gli vengono inoltrate. Queste ultime si sono spinte sempre più in là, dalle terre ai titoli pubblici, dalle prebende alle alleanze matrimoniali con la casa reale. Ma il re rimane anche convinto dell’importanza di «reprimere la malignità e protervia di questi baroni»; è inaccettabile che un sovrano sia tenuto sulla corda dai propri vassalli.

Giovanni Lanfredini scrive a Lorenzo [il Magnifico]: «Dubito non mettino mano a ghastigharne qualchuno».

Muore improvvisamente il card. Giovanni d’Aragona, figlio di Ferrante.
Le prebende e i benefici ecclesiastici resisi ora vacanti sono oggetto di attenzione e di nuove richieste di concessione da parte dei baroni:
- Antonello Sanseverino, principe di Salerno, chiede il vescovado di questa città,
. Girolamo Sanseverino vuole l’arcivescovado di Cosenza.

Per tre volte gli ambasciatori a Napoli scrivono ai rispettivi governi che l’accordo tra il re e i baroni è stato raggiunto, e per altrettante volte arriva la smentita.
Durante il viaggio di rientro da Barletta a Napoli Giovanni Lanfredini osserva «tutte le terre de’ baroni nimici et amici provedersi et fortificarsi di fossi, di terrati, mantelletti, munitioni et ogni cosa per guerra».

24, L’Aquila è in rivolta e sono stati attaccati i presidi regi; Piergianpaolo Cantelmo, che un tempo è stato duca di Sora,
ha innalzato le bandiere della Chiesa;
ora Innocenzo VIII pubblica una bolla coi nomi citati nell'ordine seguente:
. Pirro Del Balzo, principe di Altamura,
. Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano,
. Antonello Sanseverino, principe di Salerno,
. Pietro de Guevara, gran siniscalco,
. Andrea Matteo Acquaviva, marchese di Bitonto,
. Angilberto Del Balzo, conte di Ugento,
. Barnaba Sanseverino,
. Carlo Sanseverino, conte di Mileto,
. Giovanni Sanseverino, conte di Tursi,
[Quest’ultimo, che Ferrante dirà reo di aver fatto da ambasciatore per i ribelli, morirà proprio mentre si sta recando a Urbino per cercare aiuto dal duca di quella città.]
e quasi tutti gli altri baroni del regno che si sono sovente rivolti al pontefice, talora assieme e talora individualmente, tramite
lettere o loro agenti;
sono tutti i signori che si sono appellati a lui per essere difesi dalle ambizioni egemoniche del re, mentre truppe papali pressano ai confini e alcune sono ormai stanziate nei territori del regno;
fin da agosto la strategia perseguita nei confronti dei baroni è stata di «romperli o contaminarne qualchuno», perciò, quando per due volte in pochi giorni riceve l’invito del conte di Carinola e del gran siniscalco a presentarsi a Sarno per un incontro chiarificatore, Ferrante accetta;
28, la scelta prudente di non andare oltre Nola – sia oggi che il 15 novembre successivo – suggerita pare da un ignoto informatore – gli permette di sfuggire a un doppio tentativo di agguato.
[Dai processi inquisitori emergerà infatti in più passaggi che i ribelli hanno in animo di far gere il re a Sarno con qualche espediente, «come lo bracco alla quaglia», con l’intento di catturarlo.
[Non è chiaro chi sia l’ideatore del piano: dalle deposizioni di Francesco e Giovanni Antonio Petrucci si desumerà che loro padre, il segretario regio, ne sia all’oscuro, ma che, una volta appresa la notizia, la approvi con tacito consenso.
Paolo Ferrillo, considerato l’anima del principe di Bisignano, attribuisce invece l’idea della cattura proprio al segretario
e a Francesco Coppola.]
30, Giovanni Lanfredini scrive una frase preoccupante: «Intendo di luogho d’auctorità sua maestà ne sarà ingannata».
E aggiunge che, se il famigerato accordo è stato raggiunto (cosa alquanto dubbia), si può considerare rotto.
[Ma dovranno trascorrere altre tre settimane prima che i baroni si
decidano a rendere manifesta la loro ribellione. Il segretario, i suoi figli e Francesco Coppola incontrano molto frequentemente i principali signori o i loro emissari per mettere a punto la linea d’attacco. Gli abboccamenti avvengono preferibilmente di notte, tra Salerno, Sarno e il casale di Materdomini, presso Nocera, ma anche a Napoli, in San Domenico, nella residenza cittadina del principe di Salerno o in casa di Antonello Petrucci, quando in una «camera terregna» e quando nella «camera dello cielo de ipso secretario».
I cospiratori adottano tutte le precauzioni: passano da pertugi e porte segrete, si travestono, girano incappucciati e usano segnali in codice come toccarsi il dito mignolo oppure il pollice o il naso. Sovente si servono di loro agenti o uomini di fiducia, capaci di spostarsi tra una sede e l’altra senza destare troppi sospetti.
Tra questi personaggi i più attivi sono:
. Nicola Angelo d’Aiello, barone di Petina (per il principe di Salerno);
. Paolo Ferrillo e Giovanni Andrea da Perugia (per il principe di
Bisignano);
. Salvatore Zurlo e il notaio Antonio Palmieri (per il principe
di Altamura);
. Giovanni di Martuzzo, cancelliere del marchese di Bitonto;
. Bentivoglio Bentivogli, cancelliere del principe di Salerno;
. Luchino di Laino, cancelliere del conte di Lauria;
. Antonio di Mignano, cancelliere del conte di Sarno;
. Gregorio di Samito, uomo del gran siniscalco.

Poiché ci sono stati almeno due momenti in cui si è appreso che si dovevano alzare le bandiere della Chiesa da parte dei baroni, il 15 e il 29 settembre, e la cosa non si è verificata, la nuova voce che dà per certa la sollevazione per il 19 novembre, per quanto inquietante è accolta come l’ennesimo fuoco di paglia.

autunno, i nomi dei baroni che più sembrano ostili e pericolosi si limitano a quattro, ma sono tra i più potenti e, come se ciò non bastasse, occupano quattro dei sette più importanti uffici regnicoli:
. Pirro Del Balzo, principe di Altamura, è il gran connestabile;
. Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano, è il camerlengo;
. Antonello Sanseverino, principe di Salerno, è l’ammiraglio;
. Pietro de Guevara ricopre l’incarico di gran siniscalco.
Branda Castiglioni scrive i nomi dei fedeli, dei sospetti certificati
e di quelli «occulti». Tra questi ultimi annovera:
. Andrea Matteo Acquaviva, marchese di Bitonto;
. Giovanni Caracciolo, duca di Melfi;
«el conte de Sarno ancora lui era existimato tenesse col principe di Salerno, per la familiarità haveva cum sé […]. Se dubitava ancora del conte de Ogento, fratello del principe de Altamura, et del conte de Melitto, fratello del principe de Bisignano et, non di meno, de loro non si è may inteso habiano facto dimonstrationi né signo alchuno di manchamento di fede. Del conte di Torse manifestamente si sa che è scoperto ambasciatore de li altri quatro [principi di Bisignano, Salerno, Altamura e gran siniscalco]; li altri tutti sono stati reputati per fideli».
Vi sono infine quegli altri quattro (cui vanno aggiunti i due figli del segretario, poco o per nulla nominati nei dispacci diplomatici), considerati fedelissimi del sovrano, che invece minano la corte dalle fondamenta e che per questo sono i primi a essere arrestati:
. Antonello Petrucci,
. Francesco Petrucci,
. Giovanni Antonio Petrucci,
. Francesco Coppola, conte di Sarno,
. Giovanni Pou,
e, in misura minore, anche:
. Aniello Arcamone,
che per lungo tempo sono riusciti a condurre un pericoloso doppio gioco; ora scoprono quanto anche Ferrante sappia tenere ben nascoste le proprie carte.

Lo stesso mese Ludovico Sforza ha già chiaro il coinvolgimento di Francesco Coppola e del segretario Antonello Petrucci nella cospirazione.

Novembre
come già ha fatto con il conte Girolamo Riario, Ferrante trova un
pretesto anche per espropriare le terre di Lorenzo Giustini da Città di Castello: «Qui hanno fatto rubellare e’ vaxalli di messer Lorenzo da Chastello d’alchuni chastelli li haveva dato el re, per toglerle sotto quelle fighura che non voglino stare sotto lui».

Lo stesso mese, quando sono sequestrati alcuni carri del gran siniscalco, giungono nelle mani del re lettere compromettenti; c’è notizia di incontri segreti coi ribelli, della diffusione di informazioni riservate, dell’invio di ambasciatori al papa, a Venezia e a Roberto Sanseverino per ottenere aiuti.
Ma sono due le cose che più sembrano alterare il sovrano:
- il fatto che abbiano «messo in tale modo zizzania fra padre et figluolo, che il re quasi non poteva patire il duca, et simile gelosia, sospecto et mala volontà fra’ fratelli»;
- che si siano arricchiti a sue spese, frodando denaro della Corona, motivo per cui tutte le residenze sono perquisite a fondo per recuperare ogni denaro e bene di valore (armi, mobilia, argenteria, libri, ma anche derrate e animali).

19, Salerno, «cum molte cerimonie di prediche et beneditioni, [i baroni] invocorono il nome della Chiesa et poi, a hore 22 incircha, alzorono le insegne di quella».
[Secondo l’ambasciatore estense Battista Benededei la sollevazione incitata da un frate mandato da Roberto Sanseverino ha avuto luogo alle ore 20, dopo la benedizione degli stendardi della Chiesa.]
Allo sbigottimento si somma la preoccupazione per la sorte del secondogenito del re: Federico d’Aragona si trova colà in compagnia del segretario e di Giovanni Pou.
Qualcuno maligna che il principe di Taranto sia passato dalla parte dei ribelli, ma la smentita arriva assieme ad alcune gioie che il giovane vuole il padre ponga in luogo sicuro e alla notizia
che ha «bruciati e’ contrasegni teneva delle sue terre».
Nel rincorrersi delle voci, si è anche insinuato, e non a caso, che i ribelli lo abbiano tentato «d’essere primogenito et subcedere al padre».
La fuga notturna da Salerno dei prigionieri, facilitata qualche settimana più tardi, pare da un connestabile del principe di quella città, rimane uno dei momenti poco chiari dell’intero capitolo della congiura.
[Don Federico d’Aragona è l’unico vero prigioniero, dal momento che Giovanni Pou e il segretario aderiscono alla cospirazione.
Comunque sia, la liberazione del figlio fa rompere gli indugi
a Ferrante e fino alla pace, siglata a Roma nell’agosto successivo, è guerra aperta.]

Ludovico Sforza è tra coloro che hanno avanzato molto
presto sospetti sulla buona fede di don Federico d’Aragona: «Lo effecto de lo accordo praticato [a Miglionico] tenne a fine solamente per la parte de li baroni de assicurarsi d’essa [Alfonso d’Aragona], con farli equale don Federico, domandando che le sia dato lo principato de Taranto, Lecce, Galipoli, Otranto et altri lochi importanti, et ligandolo de affinità con loro.
[…] Morendo [Ferrante], per la diffidentia grande che hanno della excellentia sua [Alfonso], […] con tutte le forze loro se puntariano a fare re don Federico. Ne è da pensare che per esserli don Federico fratello et minore de età, al quale de iure non spetta la corona, se debia retraere dala impresa».
Anche in seguito i baroni non rinunciano all’idea di avere don Federico d’Aragona come loro re, tanto che Ferrante medita di sacrificare il figlio alla carriera ecclesiastica.

Più che di un vero conflitto, si tratta di un insieme di focolai di rivolta interni, tutti di modeste dimensioni, a volte alimentati dai rinforzi delle truppe papali.
All’inizio delle ostilità la consistenza dei due eserciti è molto
simile e conta poco più di 1500 unità, un numero tutto sommato assai esiguo, se si considera che è distribuito su tutta l’ampiezza del regno.
Il re, oltre ad aver schierate le proprie squadre al comando dei figli Alfonso, Federico e Francesco, e del nipote Ferdinando Vincenzo, gode dell’appoggio dei baroni e delle città fedeli, cui più tardi si aggiungeranno gli aiuti di Firenze e Milano e dei congiunti di Spagna e Ungheria.

Molto più intenso è il lavorìo diplomatico.

Dicembre
5
, il duca di Calabria fa scrivere a Giovanni Albino che l’aiuto finanziario offerto dal conte di Sarno è stato oltremodo gradito. Benché Alfonso abbia già ringraziato Francesco Coppola «per lettere et ad boccha», è suo desiderio che la cosa sia ulteriormente sottolineata.

[Nei momenti critici lo strumento dell’alleanza matrimoniale può rivelarsi spesso risolutivo e a Napoli tra il 1485 e il 1486 (con strascichi nel 1487) se ne fa un uso davvero imponente [vedi Tabella 1].
- Da parte baronale gli obiettivi sono due: infittire e confondere la trama che si va avviluppando intorno alla corte e soprattutto garantirsi sicurezza, imparentandosi sia con famiglie feudali di comprovata solidità – come quella dei Sanseverino di Salerno
e Bisignano –, sia con la casa regnante, con un doppio gioco e con qualche azzardo in più.
- Per un sovrano, incentivare e stipulare alleanze matrimoniali ha scopi puramente politici; in piena congiura dei baroni per Ferrante si tratta di disputare una partita che gli permetterà di illudere e tenere sospesi i baroni ribelli fino a smascherarli.]

 

Tabella 1: Trattative per alleanze matrimoniali tra 1485-87
Periodo delle trattative
Famiglie di
appartenenza
degli eventuali
sposo/a
Nomi degli sposi e dei genitori
(se conosciuti)
sposo
sposa
1483, patto rinnovato nell’estate
del 1485
Aragona
Del Balzo
Francesco di Ferrante d’Aragona
con Isabella di Pirro Del Balzo
Marzo-aprile 1485
Ferrillo
Petrucci
Mazzeo Ferrillo, conte di Muro,
con una figlia di Antonello Petrucci
Marzo-aprile 1485
Petrucci
Camponeschi
Giovanni Antonio di Antonello Petrucci
con una figlia di Pietro Lalle Camponeschi
Marzo-agosto 1485
Petrucci
Orsini
Giovanni Antonio di Antonello Petrucci
con una figlia di Nicola Orsini
Maggio-giugno 1485
Del Balzo
Caracciolo
PirroDel Balzo con Beatrice diGiovanniCaracciolo
Maggio-giugno 1485
Caracciolo
Sanseverino
Troiano di Giovanni Caracciolo
con Ippolita di Guglielmo Sanseverino
Giugno-luglio 1485
Arcamone
Orsini
Figlio di Aniello Arcamone
con figlia di Nicola Orsini
Agosto 1485
Petrucci
Sanseverino
Giovanni Antonio di Antonello Petrucci
con figlia di Guglielmo Sanseverino
Agosto 1485
Petrucci
Savelli
Giovanni Antonio di Antonello Petrucci
con una nipote del card. Savelli
Estate 1485
Coppola
Sanseverino
Figlio di Francesco Coppola
con figlia di Giovanni Sanseverino
Estate 1485
Del Balzo
Aragona
Figlio naturale di Pirro del Balzo
con Sancia di Alfonso d’Aragona
Settembre 1485-luglio 1487
Del Balzo
Aragona
Pirro del Balzo con Lucrezia di Ferrante d’Aragona
Autunno 1485
Petrucci
Carafa
Figlio di Antonello Petrucci
con una giovane della famiglia Carafa
Autunno 1485
Aragona
De Guevara
Pietro di Alfonso d’Aragona
con figlia di Pietro de Guevara
Autunno 1485
Sanseverino
Coppola
Figlio di Girolamo Sanseverino
con figlia di Francesco Coppola
Autunno 1485
Sanseverino
Coppola
Giovanni Sanseverino
con figlia di Francesco Coppola
Ottobre 1485
Aragona
De Guevara
Federico di Ferrante d’Aragona
con Eleonora di Pietro de Guevara
Novembre 1485
Petrucci
Sanseverino
Giovanni Antonio di Antonello Petrucci
con Sveva di Barnaba Sanseverino
Novembre 1485
Caldora
Acquaviva
Berlingeri Caldora
con sorella di Andrea Matteo Acquaviva
Estate 1486
Petrucci
D’Avalos
Figli/e di Antonello Petrucci
con figli/e del q. Inico d’Avalos
Estate 1486
Petrucci
Coppola
Figli/e di Antonello Petrucci
con figli/e di Francesco Coppola
Agosto 1486
Petrucci
Carafa
Figli/e di Antonello Petrucci
con figli/e della fam. Carafa
Estate 1486
Arcamone
D’Avalos
Figlio di Aniello Arcamone
con figlia del q. Inico d’Avalos
Luglio-agosto 1486
Coppola
Piccolomini-
Aragona
Marco di Francesco Coppola
con Maria di Antonio Piccolomini d’Aragona
Giugno 1487
Sanseverino
Aragona
Berardino di Girolamo Sanseverino
con Lucrezia di Ferrante d’Argona

Note
Scopo della tabella è mostrare sia quali siano le principali famiglie baronali interessate alle possibili alleanze, sia la sequenza cronologica, la quale evidenzia come l’infittirsi di contatti e accordi ha luogo proprio nel corso del 1485, nel momento in cui la congiura si va delineando e con essa il ruolo dei suoi principali esecutori.
Non è un caso che su 25 trattative individuate, 10 vedano coinvolti i figli del segretario regio, Antonello Petrucci, il quale si cela pure dietro alla mediazione per unire il figlio di Aniello Arcamone con una figlia di Nicola Orsini.
Un numero non irrilevante (6) è rappresentato dalle occorrenze che vedono protagonista la casa regnante; oltre ad essa, le casate coinvolte estranee agli ambienti della
congiura, alcune anche extraregnicole, sono 7: Camponeschi, Carafa, d’Avalos, Ferrillo, Orsini, Piccolomini e Savelli.
Nell’ultima colonna della tabella figurano i nomi dei promessi (quando conosciuti) e/o quelli dei genitori o parenti prossimi.
Nella maggior parte dei casi non è possibile individuare il nome dei giovani promessi, del resto i figli sono spesso numerosi e quello che importa ai genitori non è tanto la persona candidata, quanto la casata cui appartiene.
Esemplare è il caso dell’unione cercata dal segretario
e da Aniello Arcamone con la famiglia del condottiero Nicola Orsini. Nell’agosto del 1485 Antonello Petrucci ha fatto sapere che suo figlio Giovanni Antonio – un giovane di età tra i 18 e i 20 anni – «a nissuno modo torrebbe quella zoppa, ma volentieri quella altra, et non fa caso della età».
Venuto meno l’interesse dei Petrucci per un imparentamento con gli Orsini, pochi mesi dopo, nel giugno del 1486, lo stesso segretario tornerà a chiedere la mediazione di Lorenzo de’ Medici affinché questa volta ad avere in moglie «una figlia del conte, da quella zopa in fuori», sia l’erede «unicho e primogenito» di Aniello Arcamone.
[Qualora fosse raggiunto l’accordo matrimoniale, Aniello Arcamone si dice pronto a rinunciare subito alla contea di Borrello in favore del giovane (nel 1485 si dice abbia circa 18/19 anni).]
Tra tutte le unioni elencate, le sole che hanno luogo vedono protagoniste due giovani della famiglia Sanseverino:
. Ippolita, che sposa Troiano Caracciolo,
. Sveva, che sposa Giovanni Antonio Petrucci.
Un terzo matrimonio sta per essere celebrato, ma Ferrante lo trasformerà in quello che Figliuolo definirà «uno straordinario coup de théatre».
Durante la sollevazione baronale di Salerno, il 20 novembre 1485, un tale frate Ludovico celebra il matrimonio tra Giovanni Antonio Petrucci e la figlia del conte di Lauria. L’imparentamento con la famiglia dei Sanseverino ha reso il conte di Policastro molto più ardito, tanto da dire: «Oramai che è sequito lo mio matrimonio tra me et la figliolo dello
conte de Llauria, et sono facto parente et coniuncto con la casa de’ Sanseverino, vada lo mundo come vòle; io tengo lo facto mio essere bene stabilito
».

 

 

Gli ambasciatori a Napoli sono tre:
. Branda Castiglioni, milanese,
. Giovanni Lanfredini, fiorentino,
. Battista Benededei, estense.

[Tra 1484 e 1494, a eccezione di brevi periodi, a Napoli sono presenti contemporaneamente almeno due o tre ambasciatori
residenti. I più stabili sono gli sforzeschi, gli estensi e i fiorentini. Ciascuno scrive al proprio signore o governo pressoché quotidianamente; ciascuno pone l’accento su aspetti diversi a seconda della propria predisposizione o dell’interesse del committente; ciascuno riferisce infine notizie apprese a corte e altre ricavate da canali non ufficiali, che spesso variano
da ambasciatore ad ambasciatore.
Si tratta di una messe di materiale e informazioni che, incrociate, permettono di avere un punto di osservazione privilegiato.]

Durante il 1485 il castellano di Sarno ha ricevuto ordini di fortificare quella rocca, soprattutto dal lato che conduce a Napoli, perché essa è considerata molto forte ed è il luogo deputato alla sicurezza della famiglia e delle ricchezze del conte.
Alcune casse di denaro e argenteria custodite nell’abitazione cittadina soo state temporaneamente trasferite su una nave in cui lo stesso Francesco Coppola si è imbarcato per rifugiarsi a Pozzuoli quando ha temuto che Bentivoglio Bentivogli, mandato a Roma dai ribelli, sia stato catturato dal re e abbia confessato.

Giovanni Sanseverino muore verso la fine del 1485, mentre si trova a Urbino per sollecitare aiuti in favore dei congiurati.
Altri baroni e loro familiari, come la contessa vecchia Giovanna Sanseverino già ottuagenaria al momento della cattura, e quasi sicuramente anche il principe di Rossano, e Giovanni Caracciolo, duca di Melfi, muoiono in carcere per vecchiaia o malattia.

[Sulla morte in carcere di Marino Marzano, principe di Rossano, saranno fatte varie illazioni: alcuni storici forse lo assimileranno al figlio Giovan Battista (uscito all’arrivo di Carlo VIII); altri fisseranno la data di morte al 1489 e altri ancora ipotizzeranno che sia stato trasferito a Ischia per ordine del duca di Calabria e là ucciso da un moro con una mazzata in testa. Certo è che nel 1491 voci di popolo lo daranno per trasferito a Salerno.]

I fratelli Pirro Del Balzo e Angilberto Del Balzo, muoiono in carcere per vecchiaia o malattia.
La conferma arriva da un cortigiano di Isabella Del Balzo, figlia di Pirro Del Balzo e futura regina di Napoli. Nel 1497 Rogeri de Pacienza di Nardò compila un poema in versi, Lo Balzino, in occasione del viaggio della principessa dalla Puglia a Napoli, per l’incoronazione a re del marito Federico.
Nel testo – la cui affidabilità storica è stata dimostrata
dagli studi comparativi di Mario Marti –, l’autore ripercorre l’intera
vita della donna, dei suoi più stretti familiari e in generale dei principali protagonisti della corte aragonese. Apprendiamo così della morte in carcere del padre e dello zio, eventi da collocarsi tra il 1491 (anno in cui si era vociferato di un possibile rilascio) e il 1495 (momento della scarcerazione collettiva fatta da Ferrandino).

Roma prima e la Francia poi rimangono le mete predilette dai fuorusciti regnicoli: oltre a Matteo Coppola e Antonello Sanseverino, riescono a fuggire dal regno:
. Costanza da Montefeltro, moglie di Antonello Sanseverino;
. Gisotta Ginevra Del Balzo, vedova del gran siniscalco,
. Mannella Caetani, principessa di Bisignano.
[Subito dopo la morte del marito e la sollevazione degli abitanti di Vasto, Gisotta Ginevra Del Balzo fugge per mare con le figlie riparando ad Ancona. Un anno più tardi, poco dopo la seconda ondata di arresti, che ha coinvolto anche il figlioletto di due anni, pure la principessa di Salerno ripara a Roma e quindi a Urbino, nella casa paterna.
Nel settembre del 1487 anche la principessa di Bisignano fugge per mare insieme ai figli. Eludendo la sorveglianza, Mannella Caetani si imbarca a Piedigrotta e punta verso Terracina.]

 


a



Delicado, Francisco (Cordoba-Venezia 1534?) scrittore spagnolo
Lozana andalusa (1528, satira anticlericale).

Bandello, Matteo (Castelnuovo Scrivia, Alessandria 1485-Bassens, Bordeaux [o Agen], Francia 1561) novelliere italiano; fu educato a Milano presso lo zio Vincenzo priore del convento delle Grazie;
1505, dopo gli studi a Pavia entra nell'ordine domenicano; attratto quindi dalla vita mondana, diviene uomo di corte alle dipendenze di grandi casate ed è agente diplomatico: a Milano di Ippolita Sforza, moglie di Alessandro Bentivoglio, e a Mantova di Isabella Gonzaga d'Este;
Tito e Gisippo del Boccaccio (1509, traduzione in latino)
1526, lascia l'ordine; lasciata Milano, dopo la battaglia di Pavia, segue prima nelle guerre della seconda Lega santa Francesco Gonzaga e Giovanni dalle Bande Nere, poi si mette al servizio di Ranuccio Farnese;
1529, passa al servizio di Cesare Fregoso, luogotenente di Francesco I di Francia;
Canti XI delle lodi della signora Lucrezia Gonzaga (1536-38, pubblicati nel 1545 insieme a Le tre Parche)
Ecuba di Euripide (1539, in volgare)
1541, quando il Fregoso viene assassinato, ne segue la vedova Costanza Rangoni in Francia, dove, col favore del re, è nominato vescovo di Agen;
Novelle (214 novelle in 4 libri: i primi tre a Lucca 1554, il quarto a Lione nel 1573)
Canzoniere
Religiosissimi Iohannis Baptistae Cattanei genuensis vita (pubblicato nel 1952)
Rime (oltre 200, pubblicate nel 1816).

Cordova, fra Antonio da (1485-1578) frate, teologo e casista spagnolo;
Quaestionarium theologicum sive Sylva amplissima decisionum et variarum resolutionum casuum conscientiae (manuale di casistica più volte ristampato)
[Il pontefice chiede la correzione del suo scritto (che si dice intitolarsi De difficilibus quaestionibus) in corso di stampa, in cui figura un'apologia del combattimento coi tori*, proibito da un decreto papale del 1567.
A pubblicare l'Opera libris quinque digesta che dovrebbe contenere anche lo scritto emendato, è Giordano Ziletti nel 1569 e nel 1570.
Per quanto riguarda le tauromachie*, Pio V non riuscirà a porvi fine non avendo l'episcopato spagnolo forza sufficiente per ottenere la pubblicazione del decreto pontificio.
Paul F. Grendler, L'Inquisizione Romana e l'Editoria a Venezia 1540-1605, Il Veltro Editrice, Roma 1983.] ]


Cortés, Hernán(Medellin, Estremadura 1485-Castilleja de la Cuesta, Siviglia 1547) conquistador spagnolo
Cartas de relación de la conquista de la Nueva España (lettere inviate all'imperatore fra il 1519 e il 1526)
Il suo storico ufficiale fu López de Gómora.

Cromwell, Thomas – conte di Essex (Putney, Londra 1485 ca-Londra 1540) politico inglese;
1520, è al servizio del cardinale Wolsey;
1529, riesce a farsi eleggere deputato al parlamento guadagnandosi poi la fiducia di Enrico VIII;
1532, falliti i tentativi di Enrico VIII di annullare il matrimonio con Caterina d'Aragona, lo incoraggia a rompere con Roma;
1534, assicura al monarca l'appoggio del parlamento e fa approvare l' «Atto di supremazia» che nomina Enrico VIII capo della chiesa d'Inghilterra;
1536, oltre a varie cariche e al titolo nobiliare, viene nominato lord del sigillo privato, diventando così l'uomo più potente di Londra dopo il re;
1540, induce Enrico VIII a sposare Anna di Clèves cercando di riavvicinare i principi protestanti tedeschi contro Carlo V; 28 luglio, accusato di alto tradimento per una serie di concatenazioni, viene condannato a morte senza processo e decapitato.

Da Porto, Luigi (Vicenza 1485-1529) poeta e novelliere italiano
Lettere storiche (1509-13, pubblicate nel 1857)
Rime (postume, 1539)
Istoria novellamente ritrovata di due nobili amanti (ossia Giulietta e Romeo).

Del Bailo, Francesco o Alunno [nome umanistico] (Ferrara 1485- ca-Venezia 1556) grammatico italiano;
[Figlio di Niccolò.]
Osservazioni sopra il Petrarca (1538, glossario)
Ricchezze della lingua volgare sopra il Boccaccio (1553, glossario)
La fabrica del mondo (1546-48, in X tomi, uno dei primi vocabolari italiani).

Foix, Odet de – visconte di Lautrec (n. 1485-Napoli 1528, peste) maresciallo di Francia dal 1511, fratello di Françoise de Chateaubriant, amante di Francesco I, fu nominato, alla diserzione del conestabile di Borbone, governatore del ducato di Milano
1522, 27 aprile, deve evacuare Milano dopo la sconfitta della Bicocca
1523, difende la Linguadoca dall'invasione spagnola tornando quindi a battersi in Italia
1527, costituitasi la "lega di Cognac", riesce a occupare il milanese ed è poi incaricato delle operazioni contro Napoli, 
1528, muore di peste durante l'assedio.

Gambara, Veronica(Pralboino, Brescia 1485-Correggio, Reggio Emilia 1550) poetessa italiana
Rime e Lettere (postume, 1759).

Latimer, Hugh (Thurcaston, Leicestershire 1485 ca-Oxford 1555, bruciato sul rogo) ecclesiastico anglicano;
1524, ottiene il baccellierato con una dissertazione contro Melantone;
1525, avvicinatosi progressivamente alle posizioni dei riformatori, viene sottoposto a censura e processato dalle autorità ecclesiastiche cattoliche essendosi rifiutato di predicare contro Lutero;
1530, condanna l'uso del braccio secolare contro gli eretici; approva il divorzio di Enrico VIII e ne diventa consigliere;
1535, nominato vescovo di Worcester, continua le sue prediche contro le credenze cattoliche e contro l'immoralità e le ingiustizie sociali, consentendo alla repressione violenta dei cattolici;
1539, si dimette dall'espiscopato;
1546, per la sua opposizione ai "sei articoli" di tendenza cattolicizzante imposti da Enrico VIII, viene imprigionato nella Torre di Londra;
1547, viene liberato con l'ascesa al trono di Edoardo VI;
1548, è di nuovo predicatore a corte;
Of the plough (1° Genn. 1548, discorso sugli abusi ecclesiastici, cso nella raccolta di prediche trascritta dai suoi discepoli)
1554, all'ascesa al trono di Maria Tudor diventa uno dei riformatori inglesi più esposti, assieme a N. Ridley e Th. Cranmer; arrestato, subisce un ripetuto esame circa il suo rifiuto di ammettere la "dottrina della transustanziazione eucaristica" e della "messa" come sacrificio;
viene condannato per eresia e bruciato sul rogo.

al-Hasam ibn Muhammad al-Wazzãn o Johannes Leo de Medicis o Leone Africano (Granada 1485/92 ca-Tunisia dopo il 1554) geografo arabo;
[Catturato nel 1520 dai pirati presso l'isola di Gerba, viene poi consegnato come schiavo a papa Leone X de' Medici che diventa il suo protettore. Di qui il nome italiano dello scrittore.]
Descrizione dell'Africa e delle cose notabili che ivi sono (1550, in arabo e in italiano, pubblicata da Ramusio; scritta nel 1526 è la base delle conoscenze europee sull'Africa fino al Settecento)
[È un'opera obiettiva e condotta con criteri scientifici; l'autore tiene conto delle ricerche dei grandi storici afro-arabi, attivi nel periodo precedente la conquista.].

Lucic, Hanibal o Annibale Lucio (Hvar 1485-1553) poeta dalmata;
Canti erotici (Venezia 1556)
La schiava.

Nerli, Filippo de' (Firenze 1485-1556) storiografo italiano, legato ai Medici da vincoli di parentela, fu tre volte priore di Firenze, e poi ambasciatore di Cosimo I a Roma e capitano di Pistoia; partecipò ai dotti convegni degli Orti Oricellari, dove conobbe N. Machiavelli;
Commentari de' fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno 1215 al 1537 (1728, postumi, in 12 libri dei quali ben 9 a glorificare Lorenzo [il Magnifico]).

Ramusio, Giovan Battista (Treviso 1485-Padova 1557) umanista e geografo italiano, di famiglia patrizia, fu allievo a Padova di P. Pomponazzi ed ebbe tra i suoi amici più intimi A. Navagero, G. Fracastoro, P. Bembo con i quali intrattenne una fitta e dotta corrispondenza;
Introduzione alle Institutionae oratoriae di Quintilliano (1514, edizioni aldine)
Orazione latina per la morte di Francesco Fasiolo (1516)
Delle navigationi et viaggi (iniziata sin dal 1520, in tre voll. così pubblicati: 1550, anonimo, 1° sull'Africa; 1553, anonimo, 3° sul Nuovo Mondo; 1559, postumo, 2° sull'Asia; corredati da una cartografia di G. Gastaldi (autore della monumentale carta in otto fogli redatta nel 1564 a Venezia e ampiamente commentata dal veneziano Livio Sanudo)).
Tra le relazioni diffuse da Ramusio (da A. Vespucci a L. Vartema, da G. Verrazzano a V. de Gama) spicca  quella del viaggio di M. Polo che contiene frammenti di codici oggi perduti.

Vida, Marco Girolamo (Cremona 1485-Alba 1566) letterato italiano, protetto da Leone X e da Clemente VII visse per molti anni a Roma; fu vescovo d'Alba e partecipò al concilio di Trento;
Scacchia ludus
De bombyce (sulla coltura del baco da seta)
Poeticorum libri tre (1527)
Christias (poema in 6 libri)
Constitutiones synodales (1562, analisi e condanna della corruzione del clero, in seguito alla sua partecipazione al Concilio di Trento.

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1485
Germania
l'arcivescovo di Mainz ordina con decreto generale, che qualsiasi traduzione dal greco o dal latino da dare alle stampe debba essere preventivamente esaminata dai dottori delle università di Mainz e di Erfurt, minacciando ai trasgressori:
- la scomunica,
- ammende fino a 100 gulden,
- la confisca dei libri "fuori legge".
Inoltre, le opere esposte alla fiera di Francoforte devono essere ispezionate prima della vendita.
Francia
Lione, appare l'edizione della Farce de Maistre Pathelin (Farsa dell'avvocato Pathelin), opera comica in versi, forse rappresentata nel 1464;
attribuita ripetutamente ad autori diversi (forse il più probabile è il monaco G. Alecis), ben rappresenta un anticipo della vigorosa comicità realistica che trionferà con Molière.

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