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– Mario
ZOTTA
(Pietragalla, Potenza 6 novembre 1904 - Roma 21 febbraio 1963) uomo
politico italiano, esponente della Democrazia
cristiana;
1946
venne eletto deputato all'Assemblea Costituente nel Gruppo Democratico
Cristiano;
[Con 19.596 preferenze.]
[Nell’Assemblea Costituente interviene molte volte sulle
problematiche della famiglia, riguardanti gli artt.
23, 24 e 25 del progetto di Costituzione, portando tutto il patrimonio
delle sue convinzioni morali e religiose.
Pur mantenendo spesso posizioni conservatrici, a lui si deve un notevole
stimolo ad approfondire i temi cari alla tradizione cattolica. Così,
occupandosi del tema dei figli illegittimi, pur riconoscendo l’esigenza
di migliorarne la condizione («perché
la colpa dei genitori non ricada su chi non ha chiesto di venire al
mondo»), si oppone ad ogni tentativo di parificare
i figli naturali a quelli legittimi.
Ciò porterebbe, secondo lui, per forza di cose, ad una introduzione
dei primi all’interno del nucleo familiare, con conseguente distruzione
della famiglia stessa. Meglio sarebbe spostare l’attenzione sulle provvidenze
e sul miglioramento delle condizioni dei figli illegittimi, incominciando,
per esempio, ad occuparsi dei figli naturali, non adulterini e non incestuosi,
sancendo obblighi morali e patrimoniali da parte dei genitori.
Ma fare tutto questo è compito del Codice civile non
della Costituzione.
Ma, al di là di alcune battaglie di retroguardia, egli sa portare
nel dibattito costituzionale la sua esperienza di giurista cattolico,
intrisa del personalismo cristiano e della dottrina del diritto naturale
riconosciuta dalla Chiesa. Egli, parlando dei diritti della
famiglia, afferma a più riprese che compito della Repubblica
e del suo ordinamento giuridico è quello di tutelare un complesso
di posizioni giuridiche che hanno radici profonde nella coscienza del
popolo italiano, una rispondenza così immediata nell’animo umano,
da collocarsi per la loro forza cogente sul medesimo livello di quei
diritti primordiali e fondamentali della personalità umana come
i diritti alla vita e alla libertà. E come questi, infatti, essi
devono essere intangibili ed anteriori ad ogni legge positiva, «in
quanto una qualsiasi violazione di essi» comporterebbe
«offesa alla vita e alla libertà
della famiglia» e, per quella connessione che esiste tra
la famiglia e la società, costituirebbe «un
attentato alla saldezza morale ed alla prosperità della Nazione».
Analizzando il concetto della famiglia come “società naturale”,
egli si richiama al principio della pluralità degli ordinamenti
giuridici. La famiglia costituisce, dunque, una formazione sociale che
possiede «diritti anteriori alla legge positiva»,
diritti che lo Stato deve riconoscere e garantire.
È questa una teoria – egli precisa – che si contrappone a quella
della “statualità del diritto” di Hegel
e di Jellineck, trovando le sue radici
profonde nella scuola francese con Duguit
e Hauriou, ma soprattutto nel grande giurista
italiano Santi Romano.
Egli si oppone, poi, con successo all’art. 31
del progetto di Costituzione dove si commina, addirittura, la
sanzione della perdita dell’esercizio dei diritti politici nei confronti
di chi non lavora. A tale proposito si chiede, giustamente, se lo “status”
di lavoratore possa avere effetti nell’ordinamento costituzionale, nel
senso cioè che esso possa costituire «un
motivo di privilegio, di differenziazione tra i cittadini, una condizione
per la partecipazione stessa alla vita politica della società».
Dopo aver dottamente citato Dante, costretto
ad iscriversi alla Corporazione degli speziali per esercitare i diritti
politici, osserva che, al di fuori delle Costituzioni russa e iugoslava
(dove, peraltro, non è specificata la sanzione), l’Italia sarebbe
il primo Paese ad introdurre una limitazione nella capacità civile
a carico dell’individuo che non lavora. Così facendo, lo status
professionale inciderebbe sulla capacità giuridica del cittadino,
finendo col violare i diritti primordiali della personalità umana.
Profondo regionalista, egli si impegna instancabilmente
nella battaglia per l’istituzione delle Regioni, cercando di fugare
dubbi e perplessità di molti suoi colleghi che paventano un processo
di disgregazione del territorio nazionale. Il decentramento e il potenziamento
delle autonomie locali, in primis le regioni, portano, secondo
lui, due fondamentali vantaggi:
- l’identificazione del concetto di responsabilità,
[Consiste nella possibilità di assicurare ad «una
rilevante massa di interessi» una soddisfazione, non solo
più sollecita, perché immediata, ma anche più opportuna
e rispondente alle esigenze locali.]
- l’identificazione del concetto di interesse.
[Risiede nella stessa semplificazione dell’azione dello Stato, pressato
«dalla complicazione di congegni amministrativi
ingombranti» che pesano sul bilancio statale, mostrandosi
«lenti e torpidi nella tutela degli interessi
dei cittadini».
Un ulteriore vantaggio è, poi, rappresentato dalla possibilità
di localizzare una parte notevole delle spese venendo deliberate da
coloro al cui profitto sono destinate. Invece – osserva amaramente il
deputato lucano – ora sono deliberate dallo Stato, spesso «senza
una corrispondenza effettiva con le reali necessità, sotto l’azione
di pressioni parlamentari dirette o indirette». Ma un vantaggio
non meno importante, anzi moralmente elevatissimo, è «quello
di costituire, attraverso la cooperazione diretta dei cittadini, una
palestra di educazione civica», soddisfacendo così
il sentimento di libertà del singolo ed affinando il senso di
responsabilità, in modo da offrire al Paese «cittadini
coscienti e responsabili». Di fronte a coloro che temono
un allargamento delle differenze esistenti fra le diverse parti d’Italia
egli difende il potenziamento della vita locale come antidoto al perpetuarsi
dell’inferiorità di determinate zone. Il problema meridionale
si risolverebbe, dunque, proprio ampliando la libertà locale,
consentendo «attraverso una molla di emulazione»
il raggiungimento di livelli più alti di progresso.
Fonte: www.siderurgikatv.com]
1948
eletto al Senato (I Legislatura) per il collegio di
Potenza;
1953
eletto al Senato (II Legislatura) per il collegio di Potenza;
sottosegretario di Stato per il Tesoro:
16-28 luglio (VIII "governo
De Gasperi);
17 agosto-5 gennaio 1954 ("governo
Pella");
1954
-
1955
-
1956
-
1957
19 maggio-1° luglio 1958, ministro senza portafoglio
per la Riforma della pubblica amministrazione dal 19 maggio
1957 al 30 giugno 1958 ("governo
Zoli");
1958
rieletto senatore per il collegio di Potenza;
deputato al Parlamento Europeo di Strasburgo;
1963
21 febbraio, muore a Roma.
Fonti:
- Altre
- www.siderurgikatv.com |
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